Le riduzioni cinematografiche dei libri di Giovannino Guareschi ci hanno restituito l’immagine di un’Emilia un po’ stilizzata rispetto a quella che emerge dai testi, ma comunque veritiera: un’Emilia divisa tra il duro lavoro nelle campagne, la domenica alla messa e la fede nel comunismo. La rossa Emilia, la regione che più di tutte le altre in Italia ha preso sul serio il comunismo, declinato però, beninteso, nella sua versione al sapor di lambrusco e gnocco fritto. Un comunismo preso talmente sul serio che alla fine, per chi arriva in queste terre e le osserva con occhio analitico e senza lasciarsi trasportare, è impossibile da prendere sul serio. Dal dopoguerra a oggi poco è cambiato: gli emiliani sono sempre tra i popoli più ospitali e generosi d’Europa, le serate primaverili che trascorrono tra una polka e una mazurka nelle sale da ballo ai margini dei campi sono ancora vive, e i paesi delle zone rurali sono gli stessi dell’epoca di Guareschi, e sono rimasti pressoché identici a come li descriveva lui. Agglomerati di case a uno o al massimo due piani, con l’ingresso sul bordo della strada principale, e dove trovi tutto nel raggio di cento metri: l’edicola, il meccanico, la bottega degli alimentari, il tabaccaio, la chiesa, la sezione del partito.
Solo la fede nel comunismo non è più la stessa di una volta. L’ideologia è forse ancora viva negli animi di qualcuno, ma l’ingenuità ha ceduto il passo alla rassegnazione. Anche l’Emilia ha conosciuto amministratori che si professavano comunisti e di sinistra ma tutto hanno fatto fuorché gli interessi delle popolazioni amministrate e tutto avevano a cuore fuorché gli interessi dei cittadini. Anche queste terre hanno conosciuto il degrado, le speculazioni, le infiltrazioni mafiose. E anche queste terre hanno conosciuto una pesante disillusione. Così, se fino a qualche decennio fa praticamente tutti gli aventi diritto si recavano alle urne, alle ultime consultazioni, le elezioni regionali dello scorso anno, l’affluenza complessiva in tutta la regione è stata di un misero 37,70%: segno tangibile che la politica non è più un riferimento, segno tangibile che anche da queste parti la sfiducia ha raggiunto livelli mai visti prima, né prima d’ora neppur ipotizzabili. Chi oggi governa questa regione, lo fa con neanche il 50% dei voti di un terzo degli elettori. Perciò, non si comprende bene cosa o chi voglia rappresentare.
Siamo nelle campagne della provincia di Reggio Emilia, “la più filosovietica delle province dell’impero americano”, come ebbe a definirla Giovanni Lindo Ferretti qualche anno fa. E anche qui, nella terra più rossa d’Italia, l’affluenza alle urne si è attestata sul 35,98%. È emerso agli occhi di tutti ciò che Ferretti avvertiva, con il suo forte sarcasmo da pochi ancora capito, già ventott’anni fa. Benessere, piacere e ideologia, i pilastri su cui gli allegri emiliani hanno fondato la propria esistenza, sono stati tutti portati via. Oggi c’è un bellissimo sole di primavera su Cavriago, paesino di contadini e operai a una decina di chilometri dal capoluogo. E alla luce di tutto quello che s’è detto fin qua, il busto di Lenin che fa ancora bella mostra di sé in una delle piazze principali del paese, non può che suscitare un misto di simpatia e nostalgia.
Il busto di Lenin a Cavriago |
A dire il vero, il busto oggi in piazza Lenin è una copia: troppe le vicissitudini subite dall’originale. Talmente tante che l’amministrazione ha optato per il ricovero del busto in quello che un tempo era il Municipio e oggi è il Centro Culturale di Cavriago. Vuole il mito che lo stesso Vladimir Lenin, in uno dei suoi discorsi, abbia espressamente citato e lodato Cavriago per la sua applicazione del socialismo compiuto. Storia e leggenda si mescolano, ma è vero che, dopo che i socialisti vinsero le elezioni nel 1908, questo paesello sconosciuto ai più conobbe importanti riforme: l’amministrazione si preoccupò di dare alloggi ai meno abbienti costruendo case popolari, l’istruzione diventò una priorità e furono costruite scuole elementari per abbattere l’analfabetismo, si avviò la costruzione di un acquedotto che potesse irrigare le terre e dissetare armenti e persone. Il lavoro comunque è sempre stato una costante, qua. Il lavoro faticoso, nei campi prima e nelle fabbriche poi: si è detto che Reggio Emilia è a pochi chilometri, e Cavriago rappresentò, nel dopoguerra, una delle naturali espansioni industriali del capoluogo. Si lavorava, e ci si ritrovava poi nelle Case del Popolo per riunirsi a parlare di politica, di modi per cambiare il mondo, iniziando magari dalla propria cittadina, di fronte a una robusta merenda.
La dedica sul busto di Lenin: l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche alla popolazione di Cavriago |
Che fine abbia fatto l’esperienza sovietica, è sotto gli occhi di tutti. In che modo sia stato travisato il comunismo, anche. Nel frattempo, l’applicazione del socialismo dal sapor reggiano continua ancor oggi. Cavriago è il comune che per primo in Emilia Romagna ha aperto una artoteca, cioè un luogo in cui i cittadini possono scegliere un’opera d’arte, richiederla in prestito gratuitamente, e tenerla a casa per alcuni giorni. Perché “l’arte è per tutti”, specificano sul sito del Comune, consentendo peraltro a noi di Finestre sull’Arte di scoprire un insospettabile legame che ci unisce inmodo indissolubile ai cavriaghesi, dato che anche noi diciamo da anni che l’arte dev’essere di tutti. Un cittadino deve poter fruire dell’arte quale sia “il suo stipendio, il suo lavoro, il suo titolo di studio”. La biblioteca, a dispetto di ciò che accade in altre città d’Italia, anche molto più grandi, continua a essere centro di aggregazione. Cavriago ha una spesa in cultura che si aggira attorno al 10% del bilancio dell’amministrazione comunale: in percentuale, è dieci volte tanto rispetto a ciò che lo Stato spende in cultura. E sotto al busto di Lenin oggi i bambini del paese giocano con la palla, i vecchi chiacchierano, i giovani si riposano dopo una giornata di lavoro. Non è un’immagine da cartolina retorica: quando siamo stati a Cavriago in piazza Lenin, la situazione era veramente questa. Probabilmente facilitata dal fatto che la piazza è a pochissimi passi dal centro, nonché al limitare di un piccolo parco.
È ora di andare. Dalla nostra auto salutiamo piazza Lenin a Cavriago. Sullo sfondo, bambini e ragazzi giocano a pallone sotto un bellissimo sole di primavera. |
È molto difficile oggi guardare al busto di Lenin per gli ideali che incarna, un po’ perché il comunismo sovietico abbandonò ben presto il solco tracciato da Lenin, un po’ perché, malgrado ciò, anche Lenin viene associato a tutti gli errori e gli orrori delle applicazioni distorte del comunismo, un po’ perché le derive che il comunismo può assumere, di cui ha ben parlato, tra gli altri, Noam Chomsky nei propri saggi, ha portato molti a guardare con diffidenza a questa ideologia. Per cui oggi il busto di Lenin di Cavriago appare quasi come nostalgico simbolo di un’epoca in cui gli italiani avevano un approccio alla politica un po’ più naïf e sicuramente più schietto, ma guardavano con fiducia al futuro. Un’epoca in cui ci si scaldava per poco, in cui si riusciva ancora a provare stupore e in cui quasi tutti si infiammavano perché credevano in un’idea. Del resto, chi ha creduto in buona fede, in modo sincero e disinteressato, negli ideali incarnati da quel busto, non voleva nient’altro di diverso da quello che oggi auspichiamo un po’ tutti, chi più e chi meno consapevolmente, e cioè una società giusta, priva di degrado e di soprusi, in cui gli interessi dei cittadini onesti siano al primo posto.
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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