di
Federico Giannini, Ilaria Baratta
, scritto il 10/06/2015
Categorie: Viaggi - Opere e artisti / Argomenti: Verona - Arte medievale - Arte antica
Le arche scaligere sono il mausoleo della famiglia della Scala, che resse Verona per più di cento anni. Scopriamo questo maestoso complesso monumentale.
Passeggiando per il centro di Verona, è impossibile non fermarsi ad ammirare le arche scaligere, le antiche tombe dei membri della famiglia Scala, che resse le sorti di Verona dal 1262 al 1387. Maestose, slanciate e monumentali, eleganti e solenni allo stesso tempo, ma anche un po’ inquietanti con quei cavalli in posa montati dai loro signori che sembrano quasi balzare giù da un momento all’altro dalla sommità del baldacchino che copre i sarcofaghi scolpiti per ospitare i loro corpi, le arche scaligere sono, oltre che uno dei complessi monumentali più importanti della città, anche un notevole capolavoro d’arte gotica, incredibile fusione tra scultura e architettura.
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Le arche scaligere di Verona |
Si trovano nel cuore medievale di Verona, vicino alla chiesa di Santa Maria Antica: siamo a pochi passi da piazza dei Signori, la principale piazza del centro. Il mausoleo degli Scaligeri è un complesso formato da tre arche principali, quelle che meglio si notano, vale a dire quelle a baldacchino (la più antica è l’arca di Cangrande, alla quale seguirono quelle di Mastino II e di Cansignorio) e dalle tombe di altri sei membri della famiglia: Mastino I, Alberto I, Bartolomeo, Alboino, Giovanni e Cangrande II. La prima delle arche a essere realizzata fu, come si diceva, quella di Cangrande della Scala (1291-1329), il membro forse più famoso della dinastia, celebre anche in quanto fu probabilmente il più sensibile nei confronti delle arti e delle lettere: in questo campo si ricorda soprattutto la famosa epistola in cui Dante Alighieri dedica a Cangrande il Paradiso della sua Commedia.
L’arca di Cangrande è addossata alla chiesa di Santa Maria Antica, e ne sormonta l’ingresso: così, chi entra in questa chiesa che fu cara alla dinastia, compie un ideale omaggio al più illustre dei signori di Verona. L’impianto è tipico dell’arte gotica: due colonne reggono un arco a sesto acuto su cui si innesta il baldacchino, e sopra la sommità di quest’ultimo troviamo il monumento equestre di Cangrande: quello che vediamo oggi nella piazzetta è una copia, perché l’originale, per motivi di conservazione, è stato spostato nel Museo di Castelvecchio.
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La statua di Cangrande. Credit |
Alla figura un po’ sinistra del cavallo avvolto nella sua gualdrappa mossa dal vento e che si gira di scatto verso l’osservatore, fa da contraltare il
volto sorridente del signore in armatura, colto nell’atto di riporre la spada nel fodero, a simboleggiare la pace che seppe stabilire dopo molti conflitti con le città vicine: i suoi concittadini vollero scolpirlo sorridente per ricordare la benevolenza che Cangrande aveva sempre dimostrato nei confronti di Verona. E infatti, di lui i veronesi hanno sempre serbato un buon ricordo. Sotto al tabernacolo si trova il
sarcofago entro il quale Cangrande riposa: è sorretto da quattro cani (il cane è un simbolo scaligero, e lo attestano bene anche i nomi di molti membri della famiglia) che mostrano all’osservatore lo stemma della famiglia (raffigurante, semplicemente, una scala), ed è decorato con motivi religiosi e militari, come le allegorie delle numerose conquiste ottenute da Cangrande durante le proprie imprese belliche. Il sarcofago è sormontato da un letto su cui giace la statua del signore, che tiene tra le mani la sua spada. Si ritiene che l’arca di Cangrande sia opera del
Maestro di Sant’Anastasia, autore di altre sculture che si trovano in giro per la città: alcune sono anch’esse al Museo di Castelvecchio.
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La statua di Cangrande al Museo di Castelvecchio |
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La statua di Mastino II al Museo di Castelvecchio. Credit |
Non sappiamo con sicurezza quando sia stata realizzata l’arca di Cangrande, ma sappiamo per certo che quella di
Mastino II (1308 - 1351), che nella cronologia segue quella di Cangrande, fu avviata nel 1345, pochi anni prima della scomparsa del signore, che volle dunque l’arca quand’era ancora in vita: quella per Cangrande fu invece realizzata dopo la sua scomparsa. Non è addossata alla chiesa, perché si trova in uno spazio libero, recintato da una cancellata: è stata quindi progettata e scolpita su quattro lati. Interessante notare che in origine l’arca di Mastino II era dipinta: si cercò quindi di raggiungere un armonioso equilibrio tra scultura, pittura e architettura, le tre arti principali. Le colonne reggono quattro eleganti archi a sesto acuto
trilobati e
cuspidati, ovvero gli archi sono formati a loro volta da tre piccoli archi e sono sormontati da cuspidi, ognuna delle quali, nell’arca di Mastino II, ospita altorilievi con scene tratte dalla
Genesi, a simboleggiare la terribilità del peccato. Il baldacchino presenta agli angoli
quattro edicole che ospitano al loro interno statue raffiguranti quattro virtù. Anche in questo caso, il sarcofago si trova sotto al tabernacolo e sul coperchio possiamo osservare il corpo di Mastino, mentre la sua statua equestre domina la sommità del monumento. Specifichiamo che anche il monumento equestre di Mastino II è una copia, e l’originale è anch’esso a Castelvecchio. La statua è impressionante, suscita quasi timore, perché Mastino II è completamente in armatura con l’elmo calato sul volto, ha le armi da torneo ben salde in mano e cavalca il suo destriero che sembra quasi pronto a partire. Probabilmente fu lo stesso Mastino II, sempre assetato di potere (fu infatti lui a portare la signoria scaligera alla sua massima estensione), a volersi far rappresentare in quel modo: se Cangrande mostra quindi benevolenza e cordialità nei confronti dei suoi cittadini, l’immagine che Mastino II volle dar di sé è quella di un signore orgoglioso, potente, battagliero, che cercava forse di essere temuto più che di essere amato. Da notare il curioso elmo, alato e sormontato da una testa di
cane. Non sappiamo bene cosa colleghi i cani agli Scaligeri: probabilmente il tutto deriva dal soprannome del primo dei membri della famiglia a diventare signore di Verona,
Leonardino della Scala, passato poi alla storia con il suo soprannome di
Mastino. Altri invece mettono in relazione il cane con il termine orientale
khan che designava i comandanti mongoli, ma non sappiamo bene se e come la famiglia conobbe l’utilizzo di questo esotico titolo.
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Dettaglio del monumento di Cansignorio. Credit |
L’ultima delle arche monumentali, in ordine cronologico, è quella dello spietato
Cansignorio (1340 - 1375). La sua signoria fu caratterizzata da congiure, delitti e uccisioni, ma anche lui volle farsi ricordare con una degna sepoltura. La sua arca fu iniziata nel 1364, su progetto di uno dei più illustri scultori del tempo,
Bonino da Campione. E delle tre arche è quella che presenta l’apparato decorativo più sontuoso e complesso, probabile riflesso del carattere del committente: per averla, Cansignorio sborsò diecimila fiorini, una cifra estremamente considerevole. Al contrario di quella di Mastino II, che è a pianta quadrata, quella di Cansignorio è a
base esagonale e gli archi poggiano su bizzarre colonne tortili. Anche l’arca di Cansignorio è recintata, e sui sei angoli del recinto trovano spazio sei edicole che ospitano altrettante statue di santi: Ludovico, Martino, Sigismondo, Valentino, Giorgio e Luigi, tutti accomunati dal fatto che furono santi guerrieri. Gli archi che reggono il baldacchino sono
polilobati, ovvero formati da più archetti, e il sarcofago si trova su una base a sua volta rialzata. Quest’ultimo è decorato con scene tratte dai Vangeli: spicca, nella decorazione, il rilievo con l’
Incoronazione di Maria, nella quale trova spazio anche la figura di Cansignorio, che assiste alla scena. Gli archi sorreggono il baldacchino esagonale che a sua volta regge una base, anch’essa esagonale, sulla quale trova spazio il monumento equestre del signore. È l’unico dei tre che monta un cavallo senza gualdrappa, ed è raffigurato mentre incede in groppa all’animale con sguardo fiero e sprezzante, impugnando una lancia.
Le tombe degli altri signori ospitate nel complesso sono invece semplici sarcofaghi, più o meno decorati: spicca soprattutto il più antico, quello di Mastino I, il primo signore scaligero. L’opera risale al 1277 e si contraddistingue perché è del tutto priva di decorazioni al contrario di quella, per esempio, di Giovanni della Scala, più elaborata, con al centro la statua della Madonna col Bambino, mentre sugli spigoli del sarcofago nicchie ospitano statue di santi.
Nella bella Verona, quindi, una tappa a questo complesso è obbligatoria. Non si tratta solo di osservare una serie di emozionanti capolavori d’arte, e di lasciarsi trasportare da uno dei massimi risultati raggiunti dall’arte gotica in città. Si tratta anche e soprattutto di ripercorrere l’affascinante epopea di una famiglia che per più di cento anni governò una delle città più potenti d’Italia, che arrivò a estendere i propri domini fin sul mar Tirreno, e di celebrare il luogo della memoria della signoria scaligera e dei tempi in cui i membri della famiglia Scala la portarono alla sua massima espansione: un luogo della memoria particolarmente caro ai veronesi, che da secoli contribuisce a formare la loro identità storica e culturale.
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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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