L’appuntamento con la nostra iniziativa Storie di giovani e di cultura si apre con la storia di Stefania Lorandi, una giovane altoatesina che, assieme a due soci, ha voluto creare quasi dal nulla un centro culturale costituito da un museo con annesso spazio espositivo, nell’ambiente di un rifugio antiaereo della II Guerra Mondiale che si trova nel sottosuolo di Bolzano e che è il più grande rifugio antiaereo dell’Alto Adige. Tutto è nato da un progetto di appena una settimana, che poi si è ampliato grazie al lavoro della cooperativa fondata da Stefania, che racconta per noi la propria esperienza!
Cari amici lettori,
mi chiamo Stefania, ho 25 anni e sono all’ultimo anno della magistrale di Conservazione e gestione dei beni culturali, indirizzo storico - artistico. In questo periodo sono alle prese con gli ultimi due esami e con la preparazione della tesi e il panico è dilagante. Basta leggere un qualsiasi quotidiano, cartaceo e non, per rendersi conto delle difficoltà in cui il nostro paese si trova, difficoltà ancora più pesanti per noi giovani. In questa situazione la cultura è inoltre l’ultima ruota del carro, quando potrebbe in realtà trasformarsi in forza motrice e dunque le prospettive per noi del settore sono ancora peggiori. Personalmente penso di potermi ritenere fortunata perché due anni fa ho avuto la possibilità di fondare una cooperativa culturale dal nome Talia (nome della musa della commedia greca) assieme ad altri due soci.
Obiettivo era, ed è tutt’ora, quello di creare eventi culturali inerenti la storia, l’arte e l’archeologia dell’Alto Adige, zona in cui risiedo. Dal momento che il lavoro non c’era ho pensato: “Perché non provare a creare le occasioni adatte?”. Dopo un inizio un po’ in sordina, con iniziative gratuite per avvicinare il pubblico, sono arrivati i primi lavori tra cui la gestione di un gazebo per il prestito libri durante il periodo estivo e le visite guidate a un rifugio antiaereo della II Guerra mondiale conservatosi sotto un edificio della città di Bolzano. Proprio quest’ultima iniziativa, durata in realtà una sola settimana, ci ha fatto capire quanto le persone fossero interessate a questo periodo storico; erano infatti previste solamente 17 visite, ma alla fine ne abbiamo effettuate 43 con un afflusso di 800 visitatori in pochi giorni.
Questa esperienza ci ha profondamente segnati, sia per l’interesse dimostrato, sia perché abbiamo avuto la fortuna di apprendere testimonianze molto toccanti da parte di persone che hanno vissuto la guerra. Per cui abbiamo iniziato a pensare a un progetto più articolato, immaginando di poter aprire al pubblico il rifugio antiaereo più vasto dell’Alto Adige con i suoi 4500 mq ricavati tutti all’interno di una parete rocciosa e di crearne un “piccolo” museo. La nostra idea era di offrire, oltre alla visita guidata, uno spazio allestito con mostre fotografiche, storiche, artistiche, concedendo gratuitamente gli spazi per trasformare un manufatto dimenticato e abbandonato in un centro culturale. In ultima istanza ci premeva continuare a raccogliere testimonianze di persone anziane, prima della loro inevitabile perdita. I primi passi legati alle varie richieste, alla prassi burocratica, al rilascio di permessi, sono stati piuttosto lenti e in questi casi è sempre importante avere pazienza e non demordere.
Una volta ottenuti tutti i documenti iniziava la parte più faticosa dal punto di vista fisico, ovvero la pulizia di gran parte della superficie del rifugio. Abbiamo iniziato a lavorare in due, armati di tuta e spruzzino anti polvere, spostando pietre, macerie, portando via spazzatura, riportando alla luce un pezzo di storia dimenticato, ma non dai tanti ragazzi che nel corso degli anni erano entrati in quel luogo lasciando tracce del loro passaggio. A un certo punto ci siamo resi conto che da soli non ce l’avremmo mai fatta e fortunatamente è arrivata una proposta inaspettata: una mia amica, che proprio in quel periodo faceva un tirocinio presso la Caritas, mi ha parlato della possibilità di far lavorare giovani immigrati, dando loro l’opportunità di guadagnare qualcosa dietro compenso da parte della Caritas a cui noi abbiamo fatto una successiva donazione. Credo che questo tipo di collaborazione sia fondamentale in un momento come quello che ci troviamo a vivere, dove la cooperazione tra realtà anche diverse è molto importante. Posso dire che questi quattro giovani ragazzi africani sono stati una presenza fondamentale e ci hanno veramente aiutati nel portare avanti il lavoro. Passo successivo è stato il sopralluogo effettuato dai geologi (vi starete chiedendo come mai il sopralluogo non fosse stato fatto prima dell’immane fatica, la risposta è che a volte purtroppo si sbagliano le tempistiche) con successivo disgaggio di alcune parti della roccia.
A questo punto mancavano solamente le catenelle per delimitare i corridoio percorribili, la segnaletica e l’acquisto di una serie di torce elettriche, dei caschetti di protezione e di 25 sedie per i visitatori. A proposito delle mostre che avevamo pensato di organizzare, in effetti è accaduta una cosa curiosa. Poco dopo aver fatto richiesta per il passaggio sulla particella provinciale siamo stati contattati da un funzionario che da anni si occupa dello studio dei bunker e dei rifugi del nostro territorio, il quale ci ha proposto una sua bellissima mostra fotografica su questo argomento che è stata prontamente allestita con tredici pannelli all’interno di una sala.
Da domani, sempre grazie al suo intervento, avremo una mostra storica sui bunker del Vallo Alpino, realizzata qualche anno fa dalla Provincia e ora riproposta. Il rifugio è stato aperto il 19 di aprile ed è visitabile tutti i venerdì e tutti i sabati pomeriggio. Su richiesta effettuiamo anche visite in altri orari e in altri giorni. Assieme a noi ci sono i volontari della Protezione civile dell’Ana che con grande professionalità accolgono le persone al loro arrivo e ci aiutano nel distribuire caschetti e pile. Da aprile a oggi abbiamo avuto oltre 700 visitatori con una media di 100 visitatori per ogni week end e numerose classi delle scuole. La visita dura in media un’ora durante la quale percorriamo con gruppi di massimo venti persone i lunghi corridoi del rifugio con la sola illuminazione delle pile. Arrivati all’interno di una stanza, illuminata da dodici candele, spegniamo le torce e iniziamo a parlare del periodo dei bombardamenti a Bolzano, dell’occupazione nazista, dei rifugi antiaerei, delle difficoltà della popolazione, ma anche del forte senso di solidarietà che non mancava mai. Leggiamo anche testimonianze che ci sono state rilasciate. Successivamente, per distendere un po’ il clima portiamo le persone a vedere un laghetto che si è creato all’interno di una galleria e nel corridoio successivo una meraviglia naturale, una lunga volta con stalattiti e per terra stalagmiti. Tornando indietro, verso l’uscita, facciamo vedere il nostro piccolo museo: alcuni oggetti ritrovati facendo pulizia nei diversi ambienti. Infine ci si ferma a guardare le mostre allestite.
Ho voluto raccontare questa mia esperienza nonostante non si tratti di un lavoro in un vero e proprio museo, ma piuttosto in uno spazio culturale ricavato ex novo all’interno di un ambiente già esistente semplicemente recuperato da anni di oblio. Si tratta di un progetto che pensiamo essere importante e che è stato possibile realizzare grazie all’aiuto di più persone e grazie alla volontà di noi soci di investire del denaro credendo nel nostro progetto. Il pubblico ci sta ripagando della fatica fatta con la presenza, con i commenti e con l’interesse dimostrato. Penso che la strada per il futuro sia questa: collaborare, creare opportunità di incontro e scambi di idee tra persone di diversi settori culturali, ragionare e soprattutto osare.
Stefania Lorandi
Immagini:
Ingresso al rifugio
Una delle mostre allestite
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo