Walter Valentini: la moderna poesia della geometria


Recensione della mostra 'Walter Valentini. Il rigore della geometria, le fratture dell'arte 1973 - 2017' al Camec, La Spezia, fino al 1° ottobre 2017.

C’è un afflato antico, classico e solenne, ad animare le opere di Walter Valentini (Pergola, 1928). Artista urbinate di nascita e milanese d’adozione, come Donato Bramante. Artista avvezzo a varcare quotidianamente, in gioventù, le porte del Palazzo Ducale d’Urbino, in quell’ala in cui aveva sede la locale Scuola del Libro. Artista dunque abituato, fin dai suoi esordî, a meditare sulle opere di Luciano Laurana, di Piero della Francesca, di Francesco di Giorgio Martini, e di tutti quei magnifici artefici che fecero grande il Rinascimento della cittadina marchigiana. Osservando le opere di Valentini si respira il rigore del Laurana, si osserva l’eclettismo di Francesco di Giorgio, ci si perde nelle astrazioni matematiche di fra’ Luca Pacioli, ci si infila nelle costruzioni prospettiche di Piero. E Valentini, come un artista del Rinascimento, è animato da una continua smania di sperimentare. Non c’è tecnica con la quale non si sia cimentato: tavole, tele, carta, incisioni, sculture “per via di porre” in terracotta, in bronzo, in alluminio, in vetro, senza ovviamente tralasciare quei libri d’artista che rappresentano un filone considerevole della sua produzione.

E ancora, come gli artisti del Rinascimento, anche Walter Valentini aspira all’universale. Le sue opere sono connotate da una forte impronta personale benché l’io dell’artista paia quasi nascondersi dietro le sue arcane macchinazioni geometriche, matematiche e spaziali, superano la mera contingenza perdendo i contatti con dimensioni spazio-temporali precise e definite, parlano un linguaggio elevato e al contempo spingono alla meditazione, partono dalla storia dell’arte ma sanno anche esplorare strade nuove, mettendo in dubbio tutto quanto è stato sinora conquistato. Per tali ragioni quel Rinascimento a cui s’accennava poco sopra non rappresenta che un punto di partenza: sarebbe riduttivo ancorare la produzione di Walter Valentini al Quattrocento urbinate, per quanto radicata in quelle esperienze possa dirsi. Sussiste, in Valentini, una tensione straordinariamente moderna.

Lo si percepisce fin da quando s’oltrepassa la soglia della sua ultima personale, Walter Valentini. Il rigore della geometria, le fratture dell’arte 1973 - 2017, in corso al CAMeC di Spezia e curata da Marzia Ratti. Ad accogliere il visitatore, nella prima sala, si presenta un’opera, Tempo fermo IV, che introduce le prime ricerche degli anni Settanta: forme geometriche su campo nero, immutabili, fisse ed eterne rimandano alle riflessioni sul tempo della pittura metafisica con la quale Valentini s’era inevitabilmente confrontato. Profondi silenzî, costruzioni che paiono architetture, ombre che si stendono sugli elementi. C’è, in queste forme, il senso dell’arte di De Chirico: l’opera oltrepassa il tempo fermandosi in un istante immoto, la composizione si appropria dei suoi strumenti tipici quali la geometria e gli scorci prospettici, il linguaggio di Valentini somiglia alla “scrittura di sogni” di De Chirico, della quale aveva parlato Ardengo Soffici in un articolo pubblicato nel 1914 su Lacerba, che lodava il modo in cui il grande pittore ferrarese era arrivato, “per mezzo di fughe quasi infinite d’archi e di facciate, di grandi linee dirette, di masse immani di colori semplici, di chiari e di scuri quasi funerei”, a esprimere “quel senso di vastità, di solitudine, d’immobilità, di stasi che producono talvolta alcuni spettacoli riflessi allo stato di ricordo nella nostra anima quasi addormentata”. Il sostrato, del resto, è comune: se lo stesso Soffici paragonava De Chirico a Paolo Uccello, altro artista capace d’una straordinaria, intensa, moderna e unica “scrittura di sogni”, Valentini, dal canto suo, celebra il grande artista rinascimentale con un Omaggio a Paolo Uccello che, tramite un trittico di studî geometrici che hanno per oggetto la stessa figura, par quasi rievocare le ossessioni del pittore fiorentino per la prospettiva.

Il decennio successivo, in mostra, è rappresentato dall’enorme Stanza del tempo, che introduce quelle nuove ricerche di Walter Valentini che, in certe forme, perdurano sino a oggi. Il legame con la tradizione urbinate permane solido e manifesto: Valentini, qui, s’avvale del nuovo mezzo del filo di piombo o del filo di cotone nero che, teso su nugoli di chiodini fissati sul supporto, regola e accentua le proporzioni degli elementi che dànno vita alla composizione. Ancora forme geometriche pure che paiono dar luogo a fantastiche architetture: in quegli archi che dominano le composizioni sembra quasi di vedere il loggiato del Palazzo Ducale di Urbino, si entra in stretto contatto con quella “ritmica musicalità” dei mondi visivi di Walter Valentini, come da puntuale definizione della curatrice, si percepisce quanto forte sia la cultura del rigore, dell’equilibrio, dell’armonia che anima la produzione di questo raffinato artista. Ma c’è anche altro: ne La stanza del tempo, il succedersi degli eventi, diventato protagonista assoluto “nel suo divenire, nel suo segnare e corrodere le cose, nel suo riproporre la speranza di nuovi spazi in cui vivere, nuovi cieli da scrutare, tempi nuovi da misurare” (così scriveva nel 2006 Roberto Budassi, citato in catalogo da Gian Carlo Torre) introduce un contrasto, un dissidio profondo e forse anche irrisolvibile tra l’ordine razionale che l’uomo cerca nel cosmo e che tenta di render manifesto mediante le proprie costruzioni, e la potenza distruttrice del tempo che aggredisce la materia ferendola e lacerandola. Valentini si dimostra artista originale attento alle ricerche dello spazialismo, di Alberto Burri e di quanti, negli anni precedenti, s’erano posti il problema del tempo nell’arte. Ma lo spazialismo affascina Valentini anche nel suo tentativo di superamento della bidimensionalità del supporto pittorico: un tentativo andato a buon fine proprio con La stanza del tempo.

Ingresso alla mostra di Walter Valentini al CAMeC
Ingresso alla mostra di Walter Valentini al CAMeC


Una sala della mostra
Una sala della mostra


Una sala della mostra
Una sala della mostra


Walter Valentini, Tempo Fermo IV
Walter Valentini, Tempo Fermo IV (1974; carbone e tempera su tela, 150 x 150 cm)


Walter Valentini, La stanza del tempo
Walter Valentini, La stanza del tempo (1982; tecnica mista su tavola, 200 x 540 cm)

Questo sofferto dissidio, che contiene l’essenza della condizione umana, fatta com’è di opposti e di continue contraddizioni, non abbandonerà più l’arte di Walter Valentini, e ne aumenterà la dimensione contemplativa, perché lo scarto tra razionalità (con tutto ciò che ne consegue in termini d’aspirazioni, di desiderî, di ambizioni: si vedano a tal proposito le opere della serie La città del sole, chiaro omaggio all’utopia di Tommaso Campanella) e ineluttabilità del tempo genera una crisi che, secondo Enzo Di Martino, è “deliberatamente cercata per giungere non a una semplice opera fatta ad arte, ma piuttosto a vivere direttamente, e dunque proporre ai riguardanti, un irrinunciabile evento poetico”: in altri termini Valentini, intanto, mette continuamente in discussione quell’ordine che appartiene a un passato “che egli sa bene irripetibile”, sfoderando quasi un atteggiamento da artista neoclassico, e poi rivela un’inquietudine di fondo che lascia intendere come i significati apparenti dell’opera, con le sue proporzioni rigorose e i suoi equilibri, vengano in qualche modo abbandonati, negati per lasciare all’osservatore nuovi spazî di riflessione. È un modo di fare che ha molti tratti in comune con la poesia e che, per tal ragione, in Valentini si fa alquanto denso e lirico. “Anche con la geometria si può fare poesia”, ha ribadito l’artista. E con un semplice gesto, con un segno, con una proporzione, con un filo teso, Valentini è in grado di aprire squarci sull’universo, di riportarci a epoche remote, di guidarci in riflessioni intime sulla nostra esistenza. È forse in questa capacità che risiede gran parte del senso della sua arte.

L’osservatore è guidato in queste meditazioni da titoli fortemente evocativi, che fanno costante riferimento al tempo, al cielo, agli astri. La mostra spezzina riunisce gran parte di queste opere, in cui ricorre spesso la sezione aurea alla ricerca d’una proporzione tra gli elementi che popolano le composizioni, dove non sono rari gli omaggi agli artisti del Rinascimento (s’è visto poc’anzi l’Omaggio a Paolo Uccello, ma vale la pena citare anche l’Omaggio a Raffaello: una complessa composizione che riprende geometrie e direttrici prospettiche degli affreschi della Stanza dell’Incendio di Borgo, in particolare sembra quasi di vedere un’analisi geometrica della scena della Battaglia di Ostia) o alla letteratura (magnifico il trittico Inferno, Purgatorio e Paradiso che si pone l’apparentemente paradossale obiettivo di dare razionale ed equilibrata interpretazione della cosmologia dantesca), dove si cerca d’afferare l’ineffabile, dove convivono infinito e finito (e non finito). Superfici su cui trovano spazio orbite complesse che sembrano avvicinarsi, talvolta in modo incombente, a elementi architettonici quali i soliti archi a tutto sesto, come a voler dimostrare che le attività dell’uomo sono influenzate da quelle del cielo (così si potrebbe pensare osservando un’opera complessa come La casa del cielo). E poi, quei “tracciati grafici” che, scrive Mario Botta, sembrano “messi in atto per rispondere a verifiche di calcoli matematici complessi che richiedono appropriate competenze”, “schemi geometrici fatti di immagini che padroneggiano la composizione dell’opera con gerarchie e proporzioni pensate per i singoli temi”.

Walter Valentini, La città del sole
Walter Valentini, La città del sole (1986; tecnica mista su tavola e tela, 200 x 200 cm)


Walter Valentini, Omaggio a Raffaello
Walter Valentini, Omaggio a Raffaello (1984; tecnica mista su tavola, 195 x 195 cm)


Walter Valentini, La casa del cielo
Walter Valentini, La casa del cielo (2008; tecnica mista su tavola con intervento foglia oro, 200 x 500 cm)


Walter Valentini, Inferno, Purgatorio e Paradiso
Walter Valentini, Inferno, Purgatorio e Paradiso (1988-1991; tecnica mista su carta Duchêne, 86 x 62 cm)

Meritano un discorso a parte le splendide sculture per le quali Walter Valentini, pur nel suo costante sperimentalismo che lo ha portato, nell’arco della sua lunga carriera, a provare svariate soluzioni, predilige due materiali: il bronzo e la terracotta. Le sculture in bronzo, dove tornano le ellissi orbitali tipiche delle opere su carta e su tela, s’animano d’uno slancio verticale che, sommato all’astrazione geometrica propria dell’artista, rende ancor più evidente i suoi debiti nei confronti del costruttivismo russo. Le misure, il cielo è un’opera, in tal senso, particolarmente significativa: un mezzo disco di bronzo attraversato da uno gnomone che lo rende pertanto simile a una meridiana (a simboleggiare la dimensione del tempo) e che porta impressi sulla superficie segni che evocano orbite e costellazioni (lo spazio, ma anche il movimento). E come rimanere indifferenti di fronte alla Porta d’oro, piccola scultura in bronzo che, nell’allestimento della mostra, è stata posta esattamente di fronte alla grande composizione monocromatica Zeta 3, in modo che il semicerchio sulla sommità, se osservato da un certo punto di vista, in prospettiva finisca col combaciare esattamente con le omologhe forme dell’opera su tela?

Le terrecotte, poi, sono opere il cui procedimento che ne determina la nascita è particolarmente consonante con lo spirito dell’artista, proprio perché nella creazione della terracotta è sempre presente una componente di imprevedibilità: “per comprendere appieno il valore di un operare creativo condotto secondo le regole dell’arte ceramica, ma sottomesso all’accidentalità dell’imprevisto, che è sempre presente nelle procedure alchemiche che mutano la fisionomia e consistenza del materiale plastico trattato”, scrive Roberto Budassi, “dobbiamo valutare anche l’imprevedibilità della cottura controllata dal fuoco, che nel forno forgia la terra come il metallo nella fucina di Vulcano. [...] Cottura ad altissime temperature, quasi da fusione, dove è il fuoco a decidere le sorti di una rinascita del manufatto o a provocarne definitivamente la morte, la distruzione”. Le terrecotte di Valentini sono forse la sua opera più incline a evocare il senso dell’antichità: ruvide, sabbiose, arse, sembrano quasi reperti di lontane civiltà, e financo il nome della serie delle Tabulae rimanda alle tavolette cerate su cui gli antichi romani scrivevano con lo stilo.

Walter Valentini, Le misure, il cielo
Walter Valentini, Le misure, il cielo (2002; fusione in bronzo lucido e patinato, base in marmo bianco, 97 x 78 x 45 cm)


Walter Valentini, La porta d'oro
Walter Valentini, La porta d’oro (2010; fusione in bronzo lucido e patinato, 88 x 52 x 30 cm)


Walter Valentini, Tabula II
Walter Valentini, Tabula II (2016; terracotta refrattaria con intervento foglia oro, 67 x 45 cm)

Il CAMeC regala al proprio pubblico una mostra di grande qualità, una retrospettiva completa su un interessante maestro dell’arte contemporanea, colto, raffinato e versatile, che ha lavorato a contatto con i più grandi maestri ed esposto nei contesti più prestigiosi, Biennale di Venezia inclusa. Com’è tipico delle monografiche del museo spezzino, anche questa ripercorre l’intera carriera dell’artista, esplorando ogni aspetto della sua produzione, con un’organizzazione che segue, fondamentalmente, una linea cronologica ma che riesce anche a discostarsene per approfondire certe tematiche (sale apposite sono dedicate, per esempio, alle terrecotte, alla grafica e ai libri d’artista). Il catalogo, sobrio ed essenziale, con un ricchissimo apparato iconografico, contiene cinque saggi per meglio sondare le profondità dell’arte di Walter Valentini: si segnalano, in particolare, quello d’apertura della curatrice e i due che trattano delle terrecotte e dei libri d’artista, rispettivamente a firma di Roberto Budassi e Gian Carlo Torre.

Vale infine la pena sottolineare che, con oltre cento lavori esposti, l’antologica del CAMeC è la più esauriente rassegna di opere di Walter Valentini che si sia mai vista. E vale la pena concludere con alcuni versi che, alcuni anni fa, il poeta Eugenio De Signoribus ha dedicato all’artista suo conterraneo: descrivono con sintesi e lirismo l’essenza più alta dell’arte di Walter Valentini. “Hai alzato al cielo / Lo sguardo e lì scrutato / Le sue trame segrete... / Il tuo nitore geometrico / Le ha portate alla vista / Con naturale armonia... / Ora sono carte e misure / Per una navigazione celeste / Linee che vincono lo scuro / E mai precipitano / Ecco, a fronte del male / La tua città ideale / È una fortezza nel cosmo / La mappa del tuo infinito / Offre allo sguardo recluso / La grazia di un segno puro / Nessun muro si salta / Nessuna eternità si sfiora / Senza un seme di luce!”.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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