Come di consueto ormai da qualche anno, la Torre del Castello dei Vescovi di Luni di Castelnuovo Magra riserva ai suoi visitatori anche per il 2018 una mostra dedicata alla fotografia: nel 2015 infatti la torre di sei piani ha ospitato un’esposizione fotografica che presentava gli scatti di Elliott Erwitt raffiguranti cani. Immagini per la maggior parte in bianco e nero che ritraevano i fedeli amici dell’uomo in pose e situazioni alquanto bizzarre. E contemporaneamente alla mostra, il Comune ha organizzato un’interessante lectio magistralis, ovviamente sulla fotografia, con Steve McCurry, il celebre fotografo contemporaneo che ritrasse, tra le altre, la Ragazza afgana. Quest’ultimo è stato poi l’anno successivo protagonista di una nuova mostra fotografica all’interno della torre, dal titolo Football and Icons, nella quale McCurry ha presentato il calcio come linguaggio universale, come comune denominatore che unisce tutti i luoghi del mondo, poiché comprensibile a qualunque persona, senza tener conto della differenza di lingua e di cultura. E in occasione della sua mostra, l’artista era tornato nel borgo di Castelnuovo Magra per tenere un altro incontro sul tema.
Il 2017 ha portato nella torre tre mostre, anch’esse molto interessanti e non banali: da marzo fino a ottobre si sono succedute nell’ordine le esposizioni di Tano d’Amico, Mario Dondero e Bruce Chatwin. La prima, dal titolo Tano D’Amico. La lotta delle donne, ha presentato al pubblico gli scatti del fotografo siciliano dedicati alle donne e alle battaglie che hanno combattuto nella storia per la conquista dei diritti e per il miglioramento della loro condizione; la seconda, Omaggio a Praga, sulle tracce di Utz, è stata una celebrazione del ventennale della pubblicazione di Utz, romanzo storico ambientato a Praga scritto da Bruce Chatwin. Proprio quest’ultimo è stato protagonista della terza mostra di quell’anno, intitolata Bruce Chatwin. Il viaggio continua, in cui si è reso noto un aspetto poco conosciuto dello scrittore di In Patagonia, ovvero quello di fotografo: Chatwin amava fotografare unicamente in viaggio per creare una sorta di taccuino visivo, nel quale annotava le cose che gli rimanevano più impresse. Quest’anno si continua la tradizione delle mostre fotografiche dentro la stretta torre di piazza Querciola con Vivian Maier (New York, 1926 - Chicago, 2009), la tata fotografa divenuta famosa in tutto il mondo solo dopo la sua morte.
La storia di Vivian, ancora poco nota ai più, ha incuriosito Roberto Carlone (Vercelli, 1955), attore e musicista, fondatore della Banda Osiris nel 1980. La sua passione, nonché la sua curiosità di conoscere sempre qualcosa di nuovo su una figura che solo recentemente ha cominciato a interessare il grande pubblico, lo ha condotto a ideare un originale spettacolo, che ha debuttato nel 2016 e che ha girato in Italia, Francia e Svizzera, in cui si intrecciano vari personaggi e diverse forme d’arte, quali la fotografia, il videomapping e la musica, oltre ovviamente alla narrazione teatrale affidata allo stesso Carlone.
Lo spettacolo, dal titolo Gli occhi di Vivian Maier (I’m a camera) ruota interamente attorno alla vita della tata fotografa e alla scoperta dei suoi innumerevoli scatti – oltre 150.000 – da parte di un ragazzo di venticinque anni, John Maloof. Uno spettacolo rappresentato in una bella sera d’estate proprio sotto la Torre del Castello dei Vescovi di Luni, che alla sua conclusione ha invogliato chi scrive a visitare l’omonima mostra curata dallo stesso Roberto Carlone e da Caterina Cavallari, aperta al pubblico fino al 14 ottobre 2018 e vivamente consigliata. Accompagna la mostra, una pubblicazione scritta anch’essa da Carlone, intitolata L’Autre Vivian. Un viaggio inedito nella Francia di Vivian Maier, che racconta attraverso narrazioni, testimonianze, interviste, dialoghi immaginarî e fotografie, scattate dallo stesso autore, un’altra Vivian Maier, molto più intima rispetto al caso eclatante esploso nel 2009, presentato al mondo, come afferma Carlone, come “una sorta di Mary Poppins”. Un fenomeno divenuto commerciale, che parte dalla casuale scoperta di John Maloof, colui che alla cifra di quattrocento dollari ha acquistato alcuni di quei tanti scatti, rimasti per anni e anni nascosti dentro scatoloni, che ha successivamente stampato, messo on line e venduto (non solo stampe e negativi, ma anche le bobine di plastica delle pellicole) e che qualcuno gli ha consigliato di non disperdere, ma anzi di divulgare. Entusiasta, Maloof si è appassionato e ha dato inizio alle prime ricerche su quella prolifica fotografa.
Locandina della mostra L’autre Vivian a Castelnuovo Magra |
Roberto Carlone |
Ma lo spettacolo, la mostra e il libro ideati da Roberto Carlone intendono evidenziare la figura di Vivian Maier dal punto di vista di “una donna, che ha vissuto in prima persona una storia di disagio e di migrazione”. Una fotografa che durante la sua esistenza ha sempre voluto rimanere fuori dal mondo del commercio, come testimoniato dalla sua volontà in vita di non sviluppare i suoi scatti (ne ha stampati pochi) ma di tenerli per se stessa, come una passione che doveva rimanere a suo avviso personale, per “avere un segreto da custodire”. Come si legge in L’Autre Vivian, “Vivian è una tra le prime testimoni di un grande momento: la documentazione dell’irreparabile frattura tra il mondo consumistico senza pietà e le sue vittime, tra l’inurbamento selvaggio a scapito dei ritmi più lenti della natura e di una vita semplice e attenta allo sviluppo umano”. E ancora: “La fotografia è una questione privata! Lo scatto erige una barriera. Chiude in una stanza un momento che ho visto solo io. E lì finisce. Lì resta, nel mio scrigno segreto”. Ben pochi scatti sono stati da lei sviluppati nella camera oscura, una stanza tenuta chiusa a chiave per non farvi entrare nessuno, per non far vedere i suoi scatti a nessuno.
La cosa insolita è che lei non ha quasi mai stampato, pubblicato né visto le sue foto, ma quelle rinvenute sono tutte tecnicamente perfette, precise, sono “foto riuscite” che permettono di percepire la grandissima capacità di Vivian. Con un unico scatto era in grado di dare vita a veri e propri ritratti di storie comuni, di persone comuni con le quali creava una certa empatia: uno straordinario talento accompagnato da una forte dose di sensibilità e di umanità. Nell’intervista ad Alain Robert, uno degli abitanti del Champsaur, la regione francese dove Vivian trascorse sei anni della sua infanzia, dai sei ai dodici anni, e dove tornò da adulta dopo la morte della zia nel 1950, si legge che lei aveva un approccio da fotografa umanista, un approccio umano, reso possibile anche dal tipo di strumento: possedendo una Rolleiflex, che teneva sempre al collo, poteva scattare e contemporaneamente interagire col soggetto, parlare con le persone. E soprattutto, grazie a quella macchina fotografica, si poteva avvicinare: stava a una distanza compresa tra i 60 e gli 80 centimetri dalla persona che desiderava ritrarre e nello stesso tempo conversava con lei per conoscere un po’ dell’anima di quest’ultima. Il suo obiettivo era conservare, “raccogliere in uno scrigno il mondo”, creare uno “sterminato dizionario monumentale visuale”, “catalogare i sentimenti delle persone, entrando per un attimo nelle vite degli altri”. Con al collo la sua macchina fotografica lei viaggiava, vedeva, esisteva; si spingeva fino al limite. Senza di lei sarebbe morta. Lei stessa era una macchina fotografica. “I’m a camera”.
In occasione della mostra L’Autre Vivian, all’interno dei sei piani della Torre si susseguono cinquanta fotografie in bianco e nero che non intendono costituire una semplice esposizione fotografica, bensì il racconto di una Vivian sconosciuta: quella che ha trascorso i suoi anni più felici in Francia, nelle Alte Alpi, nella regione d’origine di sua madre, Maria Jaussaud. Anche lei si divertiva a scattare fotografie, quindi probabilmente aveva trasmesso questa passione alla figlia, benché Vivian si considerasse un’autodidatta. La grande influenza per la fotografia le giunse tuttavia da Jeanne Bertrand, tra le prime fotografe professioniste a esporre al MOMA. Suo padre, Carl von Maier, era un disgraziato che aveva abbandonato tutta la famiglia: per questa ragione Maria Jaussaud era tornata alle sue origini portando con sé la piccola Vivian, che all’epoca aveva sei anni. Qui poteva stare in mezzo alla natura, tra boschi, siepi, paludi e terreni coltivati, tra quel paesaggio rurale che cominciò a raffigurare fin da giovane nei suoi scatti.
Una sala della mostra L’autre Vivian a Castelnuovo Magra. Ph. Credit Comune di Castelnuovo Magra |
Una sala della mostra L’autre Vivian a Castelnuovo Magra. Ph. Credit Finestre sull’Arte |
Le immagini presenti in mostra provengono da una collezione privata e non sono mai state esposte in Italia, mentre altre sono le uniche originali esistenti, stampate e autografate dalla stessa Vivian. Tra queste ultime, Homme avec trois agneaux dans les bras, St Bonnet entouré du bocage Champsaurin vu de la montagne de Moutet, Troupeau de moutons avec berger, fotografie originali con stampa argentica che insieme a stampe contemporanee introducono il visitatore alla mostra: questa si apre con ritratti e paesaggi di quel mondo rurale citato, tanto amato dalla tata-fotografa. Protagonisti sono perciò i bergers, i pastori raffigurati spesso con i loro agnellini o pecore, siano greggi o pochi esemplari: tenere e dolci le immagini Homme avec trois agneaux dans les bras e Le berger, nelle quali entrambi i giovani pastori stringono affettuosamente tra le braccia agnellini; nel primo caso tre, che dimostrano tra loro amorevolezza (un agnellino sembra dare bacini a un altro). Altri animali rappresentati sono i muli, accompagnati da uomini in mezzo ai prati.
Suggestiva la vista dall’alto di Saint-Bonnet, paesino del Champsaur, sede anche dell’Entreprise Festa, azienda che si occupa da decenni di costruzioni. A quest’ultima è dedicata una bella foto di gruppo. Tra i ritratti di persone locali compare la coppia Augusta Blanchard e suo fratello Hubert, due paesani immortalati davanti a una costruzione rurale. Merita una menzione il ritratto del nonno di Vivian Maier, anche lui pastore, rappresentato qui immerso in un vasto prato, abbigliato con i vestiti da lavoro e il berretto sulla testa, mentre stringe nella sua mano destra il caratteristico bastone da pastore.
Vivian Maier, Homme avec trois agneaux dans les bras (s.d.; fotografia originale con stampa argentica; Collezione privata) |
Vivian Maier, St. Bonnet entouré du bocage Chapsaurin vu de la montagne de Moutet (s.d.; fotografia originale con stampa argentica; Collezione privata) |
Vivian Maier, Troupeau de moutons avec berger (1950; fotografia originale con stampa argentica e annotazione autografa di Vivian Maier »End of may 1950«) |
Vivian Maier, L’homme et son mulet (s.d.; stampa contemporanea anticata a getto d’inchiostro; Collezione privata) |
Vivian Maier, Augusta Blanchard ép. Boyer dit »Carabi« et son frère Hubert (s.d.; stampa contemporanea anticata a getto d’inchiostro; Collezione privata) |
L’esposizione prosegue con ritratti di donne: in La femme au miroir, una donna è raffigurata mentre si sta specchiando, in una sorta di doppio ritratto; in Vielle dame au chapeau de paille et à la faucille, un’anziana in primo piano in mezzo ai campi posa con un cappello di paglia e una falce in mano. Se queste sono stampe contemporanee, originali e autografate sono Femme au foulard, scattata il 6 marzo 1951, raffigurante una donna di mezza età con un foulard che le ricopre il capo rivolta verso l’obiettivo, e Madelaine Reynier épicière à St Bonnet, anch’essa realizzata nel marzo 1951, che ritrae una giovane donna di un negozio (indossa un grembiule a quadri) seduta mentre tiene sulle ginocchia un cane nero.
Un’altra sezione è dedicata ai bambini ritratti in ambiente rurale o in città: nel primo è un ragazzino con bretelle, sorridente verso l’obiettivo, nello scatto originale dell’estate 1950, e una coppia di bambini, probabilmente fratelli, Roland e Alain Mazet, entrambi in primo piano con un berretto sulla testa e un rametto tra le mani; in città, negli Stati Uniti, i tre ragazzini che posano abbracciati e orgogliosi di farsi fotografare nell’immagine Ils sont trois, ils se prêtent au jeu de la photographe (New York, 1952), e il piccolo ometto che si affaccia da una grande finestra di un palazzo in una sorta di presentazione al pubblico in L’appel du dehors – USA. Molto originale secondo chi scrive la foto dal titolo L’enfant, dove in primo piano una bambina dai capelli lisci e chiari e la frangetta si nasconde dietro una panchina lasciando vedere solo un occhio rivolto verso la macchina fotografica: un’inquadratura insolita che dà luogo a un risultato di eccezionale fascino.
La mostra si conclude con un piano interamente dedicato agli autoritratti di Vivian Maier realizzati nei luoghi più disparati. L’unico autoritratto originale presente in esposizione raffigura la fotografa seduta su un appoggio di legno in una specie di parco; dietro di lei si intravede una costruzione simile a una torre. Lo scatto è anche l’unico, tra quelli presenti, in cui Vivian non compare davanti a uno specchio e con la sua macchina fotografica in mano: la fotografa amava fare autoritratti allo specchio non per vanità, bensì per una ricerca d’identità, per “registrare uno stato d’animo”, “per esistere”. Si raffigura da una prospettiva dal basso attraverso uno specchio rotondo in Dans un miroir rond, davanti a una vetrina in Dans une vitrine de Saint Bonnet e in Whole sale, nello specchio all’interno di un negozio in Dans un magasin, mentre in USA si scatta una fotografia tenendo la sua Rolleiflex al collo senza guardare verso lo specchio e facendo intravedere alle sue spalle il paesaggio urbano che la circonda, con alti palazzi finestrati e lampioni sulla strada.
L’Autre Vivian. L’altra Vivian Maier è consigliata non solo a coloro che amano la fotografia, ma anche a chi desidera scoprire la figura di una donna del Novecento che durante la sua esistenza, grazie a una forte sensibilità umana e artistica, ha coltivato la sua passione unicamente per se stessa, rimanendo fuori dagli schemi del business. Una passione che le ha permesso di sentirsi viva raccontata in un inedito viaggio tra i suoi scatti meno conosciuti.
Vivian Maier, Femme au foulard (1951; fotografia originale con stampa argentica e annotazione autografa di Vivian Maier »March 6th 1951 (tucs) Agathe Nicolas Le Domaine«; Collezione privata) |
Vivian Maier, Ils sont trois, il se prêtent au jeau de la photographe (1952; stampa contemporanea anticata a getto d’inchiostro; Collezione privata) |
Vivian Maier, L’enfant (s.d.; stampa contemporanea anticata a getto d’inchiostro; Collezione privata) |
Vivian Maier, L’appel du dehors (s.d.; stampa contemporanea anticata a getto d’inchiostro; Collezione privata) |
Vivian Maier, Autoritratto ”Dans un miroir rond“ (s.d.; stampa contemporanea anticata a getto d’inchiostro; Collezione privata) |
Vivian Maier, Autoritratto (s.d.; fotografia originale con stampa argentica; Collezione privata) |
Vivian Maier, Autoritratto ”Dans une vitrine de Saint Bonnet“ (s.d.; stampa contemporanea anticata a getto d’inchiostro; Collezione privata) |
Vivian Maier, Autoritratto ”Dans un magasin“ (s.d.; stampa contemporanea anticata a getto d’inchiostro; Collezione privata) |
Vivian Maier, Autoritratto ”Whole sale“ (s.d.; stampa contemporanea anticata a getto d’inchiostro; Collezione privata) |
Vivian Maier, Autoritratto ”USA“ (s.d.; stampa contemporanea anticata a getto d’inchiostro; Collezione privata) |
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.