Una Villa di vita nuova per Castel Gandolfo. Correggio e Raffaello nel palazzo papale


Dallo scorso 23 marzo, il Redentore del Correggio e l’arazzo della Pesca Miracolosa di Raffaello hanno lasciato i Musei Vaticani e sono esposti a Castel Gandolfo per la stagione espositiva del palazzo papale. Un incontro diretto con le due opere.

Escluso per secoli alla frequentazione di cittadini e popolo il ritiro estivo dei Pontefici romani, posto qual gemma sulla sponda del Lago di Albano, conosce da oggi un ruolo nuovo e accogliente di corale invito come sede gaudibile con le sue stanze storiche arredate e con il celebrato complesso dei suoi famosi giardini, ma particolarmente come ala splendente votata alla fruizione più intensa di capolavori assoluti dei Musei Vaticani. In realtà la Villa papale con le relative dipendenze, in forza della sua appartenenza allo Stato della Chiesa, aveva conosciuto durante la seconda guerra mondiale l’accoglienza di migliaia di profughi e di intere famiglie sfuggenti alle rappresaglie naziste. Circa 12.000 persone poterono trovare protezione e cibo grazie all’intensa attività promossa da Pio XII, e – particolare toccante – 40 bambini poterono venire alla luce sul letto stesso del papa: quel letto che ancora oggi si vede lì, non senza emozione, nella stanza accogliente al piano nobile. Purtroppo gli alleati anglo-americani, nonostante tutte le garanzie assicurate diplomaticamente, sbagliarono taluni bombardamenti diretti alle postazioni tedesche, e vi furono alcune centinaia di vittime entro la zona extraterritoriale vaticana. Questo lavacro di eroismi e di sangue viene giustamente ricordato con una esposizione documentaria e fotografica nelle prime sale a pianterreno che i visitatori possono percorrere per prendere coscienza di una vita non soltanto formale entro il solenne Palazzo la cui facciata domina la piazza alta di Castel Gandolfo.

Dopo Paolo VI che vi morì (1978), la sede sui Colli Albani ebbe molte presenze di Giovanni Paolo II, eppoi conobbe il ritiro dalla carica papale di Benedetto XVI (alle ore 20 del 28 febbraio 2013). Ne seguì un decennio di silenzio e di stasi. Questo ci da l’abbrivio per spaziare brevemente su quel territorio-paradiso che sono i Castelli Romani: i quali si estendono a sud di Roma e sono formati geologicamente da una vastissima area vulcanica che – riposando – lasciò fertilissime alture e ondulazioni, molto ricche di acque sorgive. Due laghi sono rimasti da altrettanti crateri antichi: quello di Nemi dove Caracalla fece posare le decantate navi da divertimento, e quello più grande di Albano sulle cui rive l’imperatore Domiziano si fece costruire la sua superba villa. Questo lago facilmente esondava e in età romana fu realizzato un condotto mirabile per la regolazione delle acque, che oggi offre una acrobatica visita archeologica. Ma è l’intero paesaggio che incanta, costellato dai piccoli abitati dei produttori del celebre vino e inanellato dalle Ville storiche dei grandi secoli che spesso sono affascinanti antologie di architetture, sculture, e giardini modellati.

Veduta dall'alto di Castel Gandolfo. La Villa Pontificia sta fra il borgo, il lago e i suoi giardini
Veduta dall’alto di Castel Gandolfo. La Villa Pontificia sta fra il borgo, il lago e i suoi giardini
Il Lago di Albano. L'attraente complesso lacustre si è formato da due crateri vulcanici contigui, che gli danno la forma allungata. Foto: Stefano Bolognini
Il Lago di Albano. L’attraente complesso lacustre si è formato da due crateri vulcanici contigui, che gli danno la forma allungata. Foto: Stefano Bolognini
Castel Gandolfo. Uno scorcio dei giardini della Villa papale. Foto: Wikimedia/Sonse
Castel Gandolfo. Uno scorcio dei giardini della Villa papale. Foto: Wikimedia/Sonse

Questo sguardo al poeticissimo paesaggio dove sostarono tanti pittori ci consente di tornare alla “aedes pontificum” che cerca oggi un proprio futuro chiamando schiere animose di visitatori. Infatti, per volontà di papa Francesco (che non va mai in vacanza) la residenza pontificia, pur conservando alcune articolazioni particolari come la Specola Vaticana, si trasforma adesso in un Museo vivo, articolato tra architettura e natura, ed assume il compito raro, ma di straordinaria efficacia, che è quello di presentare e approfondire – di stagione in stagione – alcuni capi d’opera delle innumerevoli raccolte d’arte della Sede petrina. La visita infatti del percorso museale entro le mura leonine, in Roma, affonda l’ospite giornaliero in un oceano di elementi che rendono labile la percezione anche dei titoli più celebri e ne toglie la partecipazione profonda, la comprensione necessariamente legata all’epoca, al contesto storico e spirituale, al metodo esecutivo, all’animo stesso dell’artista autore. E qualche volta anche lo studioso non riesce a decrittare, a prelevare pienamente i molti aspetti.

Di contro a Castel Gandolfo (il cui nome è legato ad una famiglia ligure che ne tenne a suo tempo il mandato feudale) avverrà da oggi in poi un’offerta specialissima: quella dell’incontro diretto, personale, avvolgente, con pochissime opere di altissima qualità, portate qui nelle loro condizioni migliori e corredate ciascuna da un ambiente ad hoc, illuminatissimo e doviziosamente ricco di un accompagnamento critico, informativo, esplicativo, tale da farne vibrare ogni valore. Qui – quasi parafrasando il ricercato sospiro dell’inquieto doctor Faust di goethiana memoria – ogni animo desideroso dell’arte potrà esclamare al tempo della sosta il "fermati, sei bello", quale spessore autentico della meditazione e nutrimento appagante della sostanza di un cogente messaggio. Un lungo tempo pertanto.

Nella corrente estate 2024 questa esperienza si può provare su due opere, prescelte entrambe da sommi maestri del rinascimento italiano: Antonio Allegri detto il Correggio, e Raffaello Sanzio da Urbino. Il merito va primieramente alla dottoressa Barbara Jatta, direttrice in capite dei Musei Vaticani, che compie così una prova realmente all’avanguardia nel rapporto col pubblico, un ruolo decisivo e nuovo di mostre sceltissime a Castel Gandolfo. In questo un merito particolare lo hanno avuto – anch’essi dei Musei Vaticani – Andrea Carignani, responsabile dell’Ufficio Mostre; Matteo Mucciante dell’Ufficio del Conservatore, che si è occupato dell’illuminotecnica; e Barbara Bellano, della Sovrintendenza ai Beni Architettonici. Nella presente fase estiva seguono ad evidenza i contributi di studio del dottor Fabrizio Biferali e della dottoressa Alessandra Rodolfo nelle rispettive specializzazioni.

Come nota di cronaca diremo che il Correggio (Antonio Allegri; Correggio, 1489 – 1534) nacque e morì nella sua piccola città, capitale di un feudo dell’Impero, ma operò soprattutto in Parma con i famosi affreschi nelle cupole, le gaudiose pale d’altare e gli incantevoli miti d’amore; mentre Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma, 1520) svolse la sua ben nota carriera dapprima in Firenze, eppoi costantemente in Roma. I due artisti si incontrarono nell’estate del 1513, quando l’Allegri scese a Roma con Gregorio Cortese per ritirare la “Madonna Sistina”, e quasi certamente discussero sulle preparazioni pittoriche. Nella stessa occasione Michelangiolo mostrò al Correggio il suo “Mosè”, che - esule dalla tomba non più prevedibile di Giulio II - stava ricoperto e sdegnoso nell’antro scultoreo di Macel de’ Corvi. Antonio lo riprodusse nella sua “Madonna di San Francesco” (1514-1515).

Castel Gandolfo. La facciata della Villa, o Palazzo Papale, verso la piazza principale dell'abitato. Foto: Wikimedia/Daderot
Castel Gandolfo. La facciata della Villa, o Palazzo Papale, verso la piazza principale dell’abitato. Foto: Wikimedia/Daderot
Correggio. Il Redentore in gloria
Correggio. Il Redentore in gloria (1522 circa; olio su tela, 105 x 98 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani). Partendo dal pian terreno incontriamo, in una sala affascinante, il Redentore in gloria, opera di Antonio Allegri detto il Correggio. Dal 1612 fu oggetto di varie vendite successive, sino alla attuale destinazione presso i Musei Vaticani, dove risultava come copia. L’intervento degli Amici del Correggio (2008) e le analisi di Claudio Rossi de Gasperis portarono alla estesa radiografia, alla indispensabile pulitura, e alle analisi delle preparazioni, assolutamente tipiche del Correggio: un pieno riconoscimento di autografia.

Si tratta della tela sommitale di un apparato complessivo che chiudeva l’abside della chiesa sodale di Santa Maria della Misericordia in Correggio; vi si vedeva in basso la composizione statuaria “al vero” della Madonna col Bambino – il cui busto estremamente prezioso è tuttora presso il Museo Civico di Correggio, opera in terracotta policroma di Desiderio da Settignano – affiancata dalle due tele allegriane di San Giovanni Battista, giovane penitente nel bosco, e di San Bartolomeo in atto di offrire a Gesù la pelle che gli sarà tolta nel martirio. Gianluca Nicolini, architetto, ne ha disegnato la ricostruzione monumentale.

Le tele del Correggio sono state studiate a suo tempo dallo scrivente, dal Nicolini e da Margherita Fontanesi, con il contributo importante di Rodolfo Papa e dei restauratori vaticani: a tutti è andato il plauso aperto di Antonio Paolucci e di David Ekserdjian. In questa mostra la tela è proposta dall’ottima esegesi di Fabrizio Biferali. Ecco che il Redentore in gloria appare per noi illuminatissimo, quale visione beatificante come non mai si possa vedere in pinacoteca, e si espone in presa diretta con la sua iconografia inconsueta, cogente, molto singolare: è nudo sino al torace, siede sull’iride e tiene i piedi sulle nubi mentre si espande dietro di Lui la luce divina; Egli, che copre con forza tutta la dimensione della tela quadrata, apre le braccia dispiegando le mani protettrici ed accoglienti con uno sguardo che possiamo definire universale. Dobbiamo pensare a dov’era il dipinto: all’interno di una Confraternita della Misericordia, che assisteva gli ammalati i poveri, le vedove, e che allevava i bambini abbandonati dalle famiglie, realizzando una somma di opere di carità che non può non commuoverci! Il dipinto stava in alto e questo portò il pittore ad alcuni evidenti ed ultimi aggiustamenti che aiutano lo sguardo da sotto. Tornando a Gesù protagonista, con la sua nudità e il suo gesto, potremmo chiamarlo Il Redentore in misericordia, pronto ad accogliere e a ripagare. Nel Paradiso Egli è attorniato da quei fanciulli che tanto amava e che noi, sul piano pittorico, possiamo ammirare all’infinito, nelle loro meravigliose espressioni e nel loro dissolversi entro il fulgore celestiale: un capolavoro ottenuto da un “maestro senza pari” come lo definì il Guercino, e sulla cui tela possiamo trovare le stupefacenti preparazioni cromatiche che soltanto Raffaello – nella storia della pittura – poté equiparare.

Ed è sulle preparazioni cromatiche che è avvenuta la scoperta più esaltante della lettura critica con una capacità attualissima che ci accompagna realmente all’interno del processo pittorico, passo dopo passo, di un Correggio che mira al risultato finale e agli ultimi pigmenti attraverso una gradazione di susseguenti velature colorate, fedeli e miste, le quali rendono la materia visibile così tenera e forte, sempre penetrabile alla luce, sempre effusiva e parlante, sino al risultato che l’epigrafe in alto, ripresa dal Vasari, dichiara “di stupendissima maraviglia”. Così, grazie alla lezione di Claudio Rossi de Gasperis, documentata ferreamente pure in loco, anche noi possiamo provare l’angelica emozione di essere insieme ai “bimbi volanti – nei limbi dei santi – splendori vaganti – ai cori di bimbi, d’amori”, musicati da Arrigo Boito.

Il Trittico della Misericordia. Ricostruzione grafica di Gianluca Nicolini
Il Trittico della Misericordia. Ricostruzione grafica di Gianluca Nicolini
Il Redentore in misericordia. Ripresa ravvicinata
Il Redentore in misericordia. Ripresa ravvicinata
Correggio. Particolare dal Redentore in gloria. I passaggi costruttivi e i contrasti cromatici.
Correggio. Particolare dal Redentore in gloria. I passaggi costruttivi e i contrasti cromatici.
Correggio. Particolare dal Redentore in gloria. Le preparazioni, le velature.
Correggio. Particolare dal Redentore in gloria. Le preparazioni, le velature. Le indagini scientifiche su questo capolavoro del Correggio, e di altre opere del maestro - intorno al quale non terminano le scoperte - dovranno portare ad un sistema di approccio e di tavole comparative che permetterà indagini assai più complete rispetto alle opere pittoriche dei grandi secoli.
Raffaello (su disegno di), La Pesca Miracolosa
Raffaello (su disegno di), La Pesca Miracolosa (1514-1515; arazzo, 493 x 440 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani). Al piano superiore del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo sta ora il mirabile arazzo fiammingo della Pesca Miracolosa eseguito su accuratissimo cartone di Raffaello. L’arazzo, studiato e pubblicato criticamente insieme agli altri esemplari, è qui curato con estrema competenza da Alessandra Rodolfo, e porta le ampie misure di cm 493 x 440.

Lo stupendo e magnifico retablo è il primo della serie di dieci scene commissionate a Raffaello da papa Leone X de’ Medici sin dal 1514 (un anno dopo la sua elezione) per le quali l’Urbinate eseguì i cartoni fondamentali in scala al vero impegnandovisi genialmente per due anni. I soggetti vanno dagli ultimi episodi della Vita di Gesù dopo la Resurrezione ad alcuni degli Atti degli Apostoli e ai primi Martiri, completando così il grande disegno teologico dell’intera Cappella Sistina, dove – in occasioni speciali – gli arazzi, che aprono alla Storia della Chiesa, possono essere ancora esposti in luogo del panneggio dipinto. Infatti al momento della commissione papale tutta la ricezione artistica di Roma era impregnata dal rimbombo eroico della volta michelangiolesca dove gli atti divini e i biblici legami genealogici non semplicemente venivano illustrati a mo’ di racconto – come nelle proposte peruginesche alle pareti – ma si espandevano nella energheia della potenza celeste, nella volontà cosmica, creativa e imperativa dell’Eterno Padre. Raffaello sente di dover rispondere a tale intensità e Alessandra Rodolfo fa notare come egli si distolga dalla continuità di impegno degli affreschi delle Stanze e si concentri sui cartoni richiesti dal papa. Leone X era stato eletto essendo semplicemente diacono e non aveva una formazione autenticamente forgiata sui “magnalia Dei”, pertanto il Sanzio deve aver ricercato un’assistenza adeguata che gli abbia permesso di raccogliere i significati profondi della consegna dei poteri sacramentali da parte di Gesù Risorto agli apostoli, i quali erano ancora giovani discepoli, e di conseguenza far risaltare l’intima trasfigurazione eroica di questi primi Sacerdoti. Anche questa ricerca fa parte dell’eccellente cultura del Sanzio.

L’innica volta di Michelangelo declarava il Principio, la Creazione, il Peccato, la prima Alleanza. Le scene della squadra fiorentina sulle pareti portavano la Liberazione del Popolo eletto, la venuta del Redentore, la nuova ed eterna Alleanza. Ed ora la serie degli Arazzi dava l’abbrivio della vita della Chiesa dopo la riapertura del Giardino e l’offerta della Perdonanza universale a tutti accessibile. L’intelligenza di Raffaello volle dunque la composizione delle scene, riferibili soprattutto a san Pietro e san Paolo, come un controcanto potente all’epos biblico e cristologico. La loro posizione, vicinissima ai visitatori, e soprattutto la mirabile qualità, fece stupire tutti coloro che, subito dopo il Natale del 1517 poterono ammirare in Cappella i primi arrivi.

I cartoni erano stati inviati a Bruxelles per l’esecuzione in tessuti presso il celebre maestro Pieter van Aelst che vi impegnò tutto il suo laboratorio. Spiegare la tecnica esecutiva è cosa molto complessa: diciamo che l’arazzo è un tessuto forte, con incroci e nodi, che viene formato da fili colorati di seta, lana e oro, i quali compongono la vasta scena dipinta nel cartone consegnato. L’esecuzione avviene infatti davanti al cartone a colori, sempre molto vicino; un ampio arazzo può richiedere più di un anno di lavoro da parte di uomini e donne abilissime. I tessuti venivano poi foderati e servivano come sontuosi arredamenti appesi lungo le pareti nei saloni e nelle stanze, ma abbastanza distaccati dai muri.

Il soggetto figurativo della Pesca miracolosa è paradigmatico in vario modo: innanzitutto Gesù sta seduto egli stesso sulla barca di Pietro – teologica allusione alla sempiterna presenza di Cristo nella vita della Chiesa – e inoltre mostra i due gesti di Pietro: la disillusione dovuta al proprio lavoro eppoi l’obbedienza a Gesù “sulla tua parola” che produce la pesca miracolosa dei centocinquantatré grossi pesci. Notiamo che la raccolta prodigiosa coinvolge in pieno la seconda barca, che è quella dei compagni di Pietro, i quali misticamente rappresentano i Sacerdoti, solidali con Pietro, che – come avverrà sempre nella vita ordinaria della Chiesa – sono coloro che ottengono i risultati della Grazia divina. Qui Raffaello ci ha consegnato una scena potente e ricca di vita. Una scena dinamica, dove il grande rotulus della presenza apostolica si estende per l’intera visione e termina in Cristo. È straordinario ammirare i riflessi azzurro-argentati di una esecuzione direttamente sollecitata dal cartone raffaellesco, e trovarvi i guizzi dorati nelle acque Una lettura più analitica, che ci viene consentita da questa esposizione in piena luce e a giusta altezza vuole vedere dall’estremo bordo inferiore la “madre terra”, la creazione feconda che Dio Padre consegnò ai progenitori con l’ordine di governarla.

La pesca in atto
La pesca in atto. L’avvicinamento alla diretta operazione della pesca, qui evidentemente faticosa, è una forte risposta al Michelangelo della Volta. Gli apostoli-pescatori quasi sussultano per il miracolo in atto, pur timorosi che le reti non si frangano, e a loro rispondono indispettiti i tre trampolieri che si vedono sottratto tanto tesoro mangereccio; una presenza, questa, di bel disegno naturalistico che forse Raffaello lasciò al suo stimato allievo Giovanni da Udine.
Pietro e Gesù.
Pietro e Gesù. Qui la scena rende esplicita, per volontà divina, la perfetta consonanza tra Gesù e Pietro. Qui infatti il pescatore di Galilea si inginocchia e si consegna ai disegni di Cristo: un incontro non dimenticabile nel repertorio altissimo di Raffaello.
Arazzo, dettaglio
L’Urbe lontana, la vita della comunità. Si tratta di un particolare ampio e articolato, che deve la propria scelta certamente ad un pensiero meditato da Raffaello. Ed è proprio qui che l’Urbinate, già staccatosi dai paesaggini estremi della Val Tiberina torna al piano lontano ma per assegnargli un ruolo vitale, storico-evangelico: quello indispensabile della vita del popolo, del “mondo” che rappresenta il nuovo mare dove gli Apostoli dovranno gettare le reti. E non a caso la spiaggia al di là delle barche appare come una nursery affollata, mentre la città e il paesaggio sono quelli del lavoro dell’uomo.

Ringraziamenti sono dovuti alla Direzione dei Musei Vaticani, agli studiosi qui citati, alla Sala Stampa dei Musei (dott.ssa Biller).


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L'autore di questo articolo: Giuseppe Adani

Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.



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