di
Federico Giannini
(Instagram: @federicogiannini1), scritto il 17/04/2017
Categorie: Recensioni mostre / Argomenti: Fotografia - Arte contemporanea
Recensione della mostra 'Tano D'Amico. La lotta delle donne' a Castelnuovo Magra, Torre del Castello dei Vescovi di Luni, fino al 28 maggio 2017.
Trentaquattro anni di donne in prima linea. Di donne che hanno lottato, lottano e continueranno a lottare per ottenere diritti e migliorare la propria condizione (e spesso anche quella degli uomini). Trentaquattro anni di passioni accese, di amori intensi, di desiderî ardenti. Di lotte che si sono concluse con vittorie storiche o con brucianti disfatte. Trentaquattro anni di gioia, di tragedie, di conquiste, di sconfitte, di unione, di amicizia, di litigî, di orgoglio, di dignità. Trentaquattro anni di emozioni vere, provate perché si è creduto in qualcosa, e non perché indotte da qualcuno che vuole guidare anche i sentimenti. Di sguardi entusiasti, lieti, miti, cupi, allegri, dolci, arcigni, severi, amichevoli, fieri. Trentaquattro anni, dal 1970 al 2004: questo è il lungo periodo raccontato dalla mostra La lotta delle donne, che espone le fotografie di uno dei più grandi fotografi italiani contemporanei, Tano D’Amico (Lipari, 1942), alla Torre del Castello dei Vescovi di Luni di Castelnuovo Magra.
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Ingresso della mostra Tano D’Amico. La lotta delle donne a Castelnuovo Magra, Torre del Castello dei Vescovi di Luni |
Una mostra che cade in un anno particolare, perché sono passati esattamente quarant’anni da quel 1977 che diede il nome al Movimento di contestazione, lotta e azione che Tano D’Amico raccontò in diversi suoi scatti. Manifestazioni, cortei, scontri con le forze dell’ordine, violenza, morte. Ma anche speranza nel futuro, fiducia nel prossimo, tentativi di cambiare il mondo. Così potrebbe essere riassunto il Movimento del ’77, le cui tracce nel presente sono piuttosto difficili da rinvenire. Tano D’Amico era lì, ma non per documentare. Il documento è un’arma a doppio taglio, l’immagine utilizzata come documento è un’immagine priva di anima, che si può prestare facilmente a manipolazioni. E Tano D’Amico lo ha ricordato anche all’inaugurazione della rassegna di Castelnuovo Magra: una fotografia può prendere un attimo di una realtà ingiusta e perpetuarla per sempre. È l’operazione più reazionaria che si possa immaginare. Dunque, le fotografie di Tano D’Amico raccontano. Una storia, un sogno. Sono fotografie che quasi mai catturano il momento culminante di un evento o di un’azione: si soffermano invece sui volti. E alla base di ciò sussiste anche la memoria di una ragione pratica, di quando il fotografo, come da lui stesso dichiarato in una bella intervista a Robinson, agli inizî della sua carriera non aveva mezzi né denaro per raggiungere subito i luoghi dov’era successo qualcosa. Di conseguenza, Tano D’Amico imparò “a leggere la storia negli occhi della gente”.
Ed è proprio negli occhi delle protagoniste delle sue opere che si leggono gli eventi di questo abbondante trentennio della nostra storia. Merito dell’istituto che ha curato la mostra (gli Archivi della Resistenza di Fosdinovo) è quello di aver seguito, a grandi linee, una suddivisione tematica che segue i sei piani della Torre del Castello dei Vescovi di Luni. I visitatori possono dunque individuare una sorta di percorso di massima (perché la suddivisione comunque non è rigorosa) che li possa guidare all’interno di quella lotta delle donne che dà titolo alla rassegna (benché si possa tranquillamente parlare di lotte, al plurale, data la molteplicità delle battaglie e la vastità del periodo affrontato) e che, in mostra, inizia con le rivendicazioni femministe: cortei in cui la critica al maschilismo insito nella società prende le concrete forme d’un mostruoso idolo accompagnato dalla scritta “patriarcato”, manifestazioni per affermare a gran voce che il corpo della donna non è un oggetto di cui disporre a piacimento, girotondi e abbracci tra donne di tutte le età, momenti di felicità e di convivialità. Una sorta d’introduzione, di dichiarazione d’intenti, e il messaggio è chiaro: la donna è parte attiva della società e non si tira mai indietro, neanche di fronte alle battaglie più dure. E una di queste battaglie è quella che le donne della Ragnatela di Comiso combatterono negli anni Ottanta: si cercava allora di impedire che la NATO installasse una base nella cittadina siciliana. L’abbraccio tra due ragazze della Ragnatela sotto lo sguardo di un carabiniere durante un processo è l’immagine che sancisce la sconfitta di quell’esperienza e che apre la sezione che possiamo immaginare dedicata alla resistenza.
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Immagini con le lotte del femminismo |
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Tano D’Amico, Genova 2001. Donne in piazza |
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Tano D’Amico, Roma 1975 |
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Tano D’Amico, Ragusa 1983. Donne della Ragnatela picchiate e processate |
L’immagine-simbolo è quella della ragazza con il fazzoletto calato sul volto che osserva con aria di sfida un carabiniere. Una fotografia diventata (e lo possiamo dire senza esagerare) un’icona delle lotte del XX secolo: la sconfinata bellezza di quello sguardo è pregna non soltanto di sfida, ma anche di orgoglio e di passione. A Castelnuovo è esposta vicino a un’immagine del 2004, quindi di ventisette anni dopo, scattata a Riva del Garda: un’altra ragazza, con una kefiah a coprire la bocca, sfida parimenti la polizia, a braccia conserte, quasi a voler dire che la paura di subire un attacco fisico durante la protesta è minore rispetto alla voglia di cambiare la società. Può sembrare retorica, ma chi ha provato almeno una volta nella vita a partecipare a una manifestazione, a una dimostrazione, a uno sciopero o, in generale, a un’occasione per affermare le proprie convinzioni e i propri desiderî, sa che così non è. E soprattutto lo sanno le donne di Tano D’Amico: donne “protagoniste del cambiamento, che abitano e agiscono nella storia, piene di una fierezza che spesso sfocia nella rabbia, e di una dignità che si manifesta tanto nel dolore, quanto nella gioia, nell’amicizia e nella festa, che sono il preambolo indispensabile a una costruzione di un sé diverso, di un’autodeterminazione di gruppo e corale”, come scrivono nel catalogo Simona Mussini e Alessio Giannanti degli Archivi della Resistenza. Non mancano neppure i momenti di lutto: uno dei punti centrali della rassegna è la foto delle sorelle di Giorgiana Masi, la studentessa uccisa a Roma il 12 maggio del 1977 nel corso di una manifestazione, un delitto i cui responsabili sono tuttora ignoti. Una sorta di tragedia greca con le protagoniste che corrono disperate verso noi che osserviamo e i coreuti che, alle spalle, narrano il contesto entro cui si sviluppò l’atroce vicenda.
Una cospicua selezione di fotografie celebra poi l’amore, il sentimento umano sul quale più s’è scritto e dibattuto e il cui ruolo è fondamentale anche nella lotta: senz’amore la passione non si può accendere. Sono forse le fotografie che più colpiscono il pubblico, perché quelle in grado di comunicare in maniera meno suscettibile d’interpretazioni: una ragazza dal dolce profilo mediterraneo che, durante un corteo dell’otto marzo, con delicatezza sfiora le guance di una bambina intabarrata in un eskimo da cui spunta fuori un viso paffutello e malinconico, è un’immagine che arriva diretta, che parla a tutti nello stesso modo, senza possibilità d’essere equivocata. E lo stesso vale per le due bambine che, al campo dei pacifisti di Comiso del 1982 (lo stesso da cui provenivano le ragazza della Ragnatela picchiate e processate), si arrampicano su un albero, si abbracciano affettuosamente e con meravigliosi sorrisi si scambiano un bacio che in mostra è posto vicino a quello delle due ragazze che uniscono le loro labbra durante la Street Parade di Bologna del 2002. Sono immagini di rara bellezza, fotografie che infondono speranza, scatti su cui ci si sofferma a lungo e che una volta impressi rimangono indelebili.
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Il confronto con le due donne di Roma e Riva del Garda |
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Tano D’Amico, Roma 1977. Ragazza e carabinieri |
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Tano D’Amico, Riva del Garda 2004. Braccia incrociate |
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Fotografie che celebrano l’amore |
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Tano D’Amico, Roma, 8 marzo 1978 |
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Tano D’Amico, Comiso 1982. Al campeggio dei pacifisti |
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Tano D’Amico, Bologna 2002. Street Parade |
Gli ultimi tre piani sono dedicati alle lotte per i diritti fondamentali: casa, lavoro, salute. La selezione si apre con una fotografia ribattezzata da Tano D’Amico stesso "Cinque destini": tre soldati dell’esercito, una donna e una bambina si guardano attorno mescolando per un attimo le loro esistenze nel contesto delle rivolte per la casa scoppiate nel 1974 nei quartieri di San Basilio e Casal Bruciato a Roma. Tensioni, barricate, scontri con quelle forze dell’ordine che spesso radunano individui ancor più disperati di quelli che contro di loro combattono, donne che fronteggiano la polizia, spesso con gesti perentorî. Una donna e due bambini che inscenano un improvvisato presepe nel pieno di una sommossa a Casal Bruciato, quasi a voler instaurare un parallelo tra le sofferenze di chi oggi sta per perdere la casa e di chi duemila anni fa, secondo il racconto, era costretto a girovagare per trovare accoglienza. E poi volti sorridenti dentro fabbriche occupate, cortei per chiedere parità di trattamento sul luogo di lavoro, le assemblee nel reparto occupato nel 1978 al Policlinico Umberto I di Roma per organizzare uno spazio in cui accogliere degnamente e con calore le donne che necessitavano d’interrompere la gravidanza in accordo con l’appena emanata legge 194, il susseguente sgombero.
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Tano D’Amico, Roma 1974. San Basilio, Cinque destini |
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Tano D’Amico, Roma 1974. Presepe a Casal Bruciato |
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Tano D’Amico, Roma 1974. Donne in lotta per la casa a Casal Bruciato |
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Tano D’Amico, Roma 1970. L’ultima lavandaia di Trastevere |
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Tano D’Amico, Milano 1973. Nella fabbrica occupata |
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Fotografie del Policlinico occupato |
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Tano D’Amico, Roma 1978. Assemblea nel reparto occupato del Policlinico Umberto I |
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Tano D’Amico, Roma 1978. Sgombero del reparto del Policlinico occupato per garantire il rispetto della legge 194 |
In un’epoca di piena regressione nell’ambito dei diritti, e segnatamente dei diritti delle donne, l’importanza di una mostra come quella di Castelnuovo Magra è fondamentale. Molti dei risultati delle lotte raccontate dall’esposizione sono indubbiamente andati in fumo, ma le immagini rimangono un potente mezzo per stimolare il cambiamento. È l’obiettivo principale della fotografia di Tano D’Amico: “captare un attimo di cambiamento”. Di conseguenza, la fotografia non è che un punto di partenza: “per ridare senso alla vita, per costruire una memoria collettiva, per riscrivere tutte e tutti insieme una nuova storia”, come da conclusione del saggio introduttivo del catalogo. Un punto di partenza che ci sprona ad andare alla ricerca della bellezza: individuare le belle immagini è, per Tano D’Amico, un modo per aprire la nostra mente e la nostra anima a una visione nuova o diversa del mondo. E alla base dei suoi scatti (e, ovviamente, nella mostra di Castelnuovo Magra) è possibile trovare questa straordinaria bellezza che può farci da guida per cercare ulteriori belle immagini. “Bellezza” è oggi un termine abusatissimo: pertanto, su questa rivista lo utilizziamo con estrema parsimonia. Ma di fronte alle immagini di Tano D’Amico non è possibile non parlare di bellezza: perché non si tratta di quella bellezza vuota, futilmente estetizzante, banale, buona giusto per la vacua e inconcludente retorica di certa politica o per le effimere ed esibizionistiche estasi di quanti pensano che l’arte debba rimanere avulsa dalla realtà, confinata in un modo ovattato di carinerie e buoni sentimenti. No: la bellezza vera, quella straordinaria e carica di significato delle fotografie di Tano D’Amico alberga altrove. Nel fango di Casal Bruciato, in un polveroso campeggio siciliano, tra i manganelli dei celerini nelle piazze di Roma, in un capannone occupato nell’hinterland milanese, nell’assemblea della facoltà di un ateneo. E per qualche settimana troverà ospitalità entro le mura della Torre del Castello dei Vescovi di Luni.
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L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).