La mostra Rubens Van Dyck Ribera. La collezione di un principe, ospitata al primo piano di Palazzo Zevallos di Stigliano, sede della “filiale” napoletana delle Gallerie d’Italia, ha aperto al pubblico il 6 dicembre 2018. L’esposizione mira a raccogliere, negli ambienti del medesimo palazzo che li aveva ospitati dall’ultimo terzo del Seicento, i quadri già appartenuti ai mercanti fiamminghi Gaspare Roomer (Anversa, 1595 - Napoli, 1674), Jan (1590 circa - 1671) e Ferdinand Vandeneynden (1626 - 1674), passati poi, per via ereditaria, ai Colonna e ai Carafa e oggi sparsi tra musei pubblici e collezioni private in Europa e negli Stati Uniti. Per gli “addetti ai lavori”, in particolare napoletani, i nomi dei collezionisti non sono nuovi, ma certamente lo sono per il grande pubblico, al quale, per la prima volta, è presentata la ricchezza di una collezione “principesca”, creata, però, da una grande famiglia di mercanti e finanzieri, a capo di un impero commerciale con traffici ed interessi estesi dall’Egitto alla Scandinavia.
Il percorso espositivo si snoda attraverso sette sale del piano nobile del palazzo e avvicina opere di singoli artisti, appartenenti alla medesima “corrente” o dalla stessa provenienza, formato e genere. I curatori, Antonio Ernesto Denunzio, insieme a Giuseppe Porzio e a Renato Ruotolo, danno conto, attraverso la corposa bibliografia presente in catalogo, della lunga gestazione che ha portato alla nascita di questa mostra, attraverso studi che risalgono a più di trentacinque anni fa (è questo il caso di Ruotolo che nel 1982 pubblicava l’inventario del 1688 di cui si dirà in seguito).
Tra gli studiosi moderni, fu per primo Francis Haskell (Londra, 1928 - Oxford, 2000), nel suo denso Patrons and Painters del 1963 (tradotto in italiano tre anni dopo col titolo di Mecenati e pittori), a osservare l’incredibile caso della collezione Roomer. Lo studioso inglese riconosceva al magnate una fortuna sconfinata, pari a circa cinque milioni di ducati, ed individuava, in una raccolta di più di millecinquecento dipinti, una particolare predilezione per “il grottesco, l’orrido, il crudele, che i pittori di Napoli erano abilissimi a soddisfare”. Provenienti dalla sua collezione erano il Sileno ebbro ed uno Scorticamento di Marsia, entrambi di Jusepe de Ribera (Xàtiva, 1591 - Napoli, 1652) benché solo il primo sia in mostra, così come dipinti di Battistello Caracciolo (Napoli, 1578 - 1635), del giovane Massimo Stanzione (Napoli, 1585 - 1656) e dei francesi Valentin de Boulogne (Coulommiers, 1591 - Roma, 1632) e Simon Vouet (Parigi, 1590 - 1649). Grandissima parte della sua collezione era poi occupata da quadri dai soggetti “nordici”, come nature morte con selvaggina e lucidissimi argenti, piccoli paesaggi e tempeste di mare; del tutto assente dalla medesima, secondo la ricostruzione haskelliana, erano, invece, la chiarezza e la serenità del classicismo romano e del colore veneziano. Ad ogni modo, pezzo forte della collezione Roomer, entratovi intorno al 1640, e sfavillante capolavoro in mostra è, senz’altro, il Banchetto di Erode di Pieter Paul Rubens (Siegen, 1577 - Anversa, 1640), oggi nella Scottish National Gallery di Edimburgo, alla cui descrizione di Haskell davvero poco si può aggiungere: “Il festino ha luogo in una sala affollata e soffocante di lusso e stravaganza, mentre gli ospiti riccamente vestiti, un ragazzo con una scimmia e i servi neri stanno a guardare. In primo piano una giovane, alta e con il viso arrossato, tiene in mano su un piatto d’argento la testa mozzata di Giovanni Battista, e la figlia di Erodiade, con un’espressione strana e ambigua sul volto, si accinge a trafiggere con la forchetta la lingua ingiuriosa, un tocco di crudeltà che doveva particolarmente affascinare Roomer. Soltanto Erode, seduto a capotavola, reggendosi il mento con la mano, pare rendersi tormentosamente conto che è stata commessa una terribile ingiustizia”.
Jusepe de Ribera, Sileno ebbro (1626; olio su tela, 185 x 229 cm; Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte) |
Jusepe de Ribera, Sileno ebbro, dettaglio della firma dell’artista |
Pieter Paul Rubens, Banchetto di Erode (1635-38 circa; olio su tela, 208 x 272 cm; Edimburgo, National Galleries of Scotland) |
La presenza eccentrica di un pittore di Anversa nella collezione del mercante poteva spiegarsi non solo con la loro comune provenienza fiamminga, ma anche attraverso una rete di contatti e frequentazioni che tenevano il Roomer costantemente aggiornato su quello che avveniva nelle principali piazze commerciali europee. Inoltre, lo stesso Roomer inviava quadri di artisti napoletani nelle Fiandre ed è, forse, proprio grazie alla sua mediazione che la Maestra di scuola di Aniello Falcone (Napoli, 1600/07 - 1665), oggi a Capodimonte, ed un dipinto di Ribera si trovavano nel 1673 ad Anversa, nella collezione del mercante Peter Wouters. Alla morte di Roomer, nel 1674, almeno cinquanta dei suoi dipinti passarono a Ferdinand Vandeneynden, figlio del suo ex socio in affari, Jan.
I Vandeneynden possedevano già una raccolta di quadri che certamente molto aveva risentito, durante la sua formazione, del gusto di quella di Roomer, la più importante in città e l’unica a non rientrare in Spagna con l’avvicendarsi dei viceré. Nella collezione Vandeneynden approdarono, quindi, il quadro di Rubens, il Sileno ebbro di Capodimonte e, forse, alcune opere di Mattia Preti (Taverna, 1613 - La Valletta, 1699), molto apprezzato, poi, da Ferdinand e di cui sono presenti in mostra, nella stessa sala, un Banchetto di Erode , una Decapitazione di San Paolo (già Roomer) ed un San Giovanni Battista ammonisce Erode. Vandeneynden morì a pochi mesi di distanza dal Roomer, ma la sua collezione non si mosse dal palazzo di via Toledo, acquistato dagli Zevallos ed ingrandito dal 1663 da lui e dal padre Jan. Nel 1688, un personaggio d’eccezione come Luca Giordano (Napoli, 1634 - 1705), ne stilò un inventario dettagliato, al fine di dividerla tra le tre figlie ed eredi del mercante: Caterina, Giovanna ed Elisabetta. Giovanna ed Elisabetta sposarono, quello stesso anno, rispettivamente, Giuliano Colonna di Stigliano e Carlo Carafa di Belvedere e, da questo momento, due gruppi di dipinti seguirono due linee ereditarie distinte.
Quello che caratterizzò la collezione Vandeneynden (opera di Ferdinand, più che di Jan) fu un rapporto preferenziale con Mattia Preti e Luca Giordano, reso evidente, come si è visto, anche dal fatto che fu quest’ultimo a stilare l’inventario dei quadri, riconoscendo tra questi varie sue opere “alla maniera di”. Oltre alla Nascita di Venere , proveniente dal Musée Vivant Denon di Chalon-sur-Saôn, è presente in mostra un interessantissimo quadro di Giordano in cui l’artista, imitando lo stile di Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 - 1528), arrivò a contraffarne il monogramma, pur di dimostrare la sua abilità mimetica e, a quanto scrive il divertito De Dominici, truffare il priore della certosa di San Martino che lo acquistò come un originale per seicento scudi. Rispetto al gusto di Roomer, faceva il suo ingresso nella collezione Vandeneynden una serie di quadri di pittori classicisti “romani”, in particolare appartenenti alla corrente “neo-veneta”, come Nicolas Poussin (Les Andelys, 1594 - Roma, 1665) e Giovan Battista Castiglione detto il Grechetto (Genova, 1609 - Mantova, 1664). Insolito per una collezione napoletana era pure l’apprezzamento per i classicisti bolognesi, rappresentati da una scena comica di Annibale Carracci (Bologna, 1560 - Roma, 1609), individuata in un’opera oggi al Fitzwilliam Museum di Cambridge, e da una pala d’altare, riconosciuta da Porzio come opera di Francesco Albani (Bologna, 1578 - 1660) e oggi nella basilica dell’Incoronata Madre del Buonconsiglio a Capodimonte.
Un “elenco annotato dei dipinti” precede il catalogo delle opere in mostra e in esso Giuseppe Porzio e Gert van der Sman propongono nuove ed inedite identificazioni; mentre, alla fine del volume, Luigi Abetti riporta l’intero inventario dei beni Vandeneynden, a restituire la gigantesca eredità divisa tra le tre eredi, che includeva anche arazzi, sculture, carrozze, argenti, biancheria, arredi, crediti, rendite, immobili, terre e titoli nobiliari ed ammontava a più di un milione e centomila ducati. È probabilmente proprio la presenza di un connoisseur d’eccezione come Giordano a permettere un’operazione, forse rischiosa, ma, comunque, doverosa, come il tentativo d’individuare nei corpora dei pittori menzionati le opere loro attribuite nell’inventario antico. Così, con le dovute cautele, è stato possibile rilevare alcune presenze interessanti nella collezione Vandeneynden. Tra queste, forse, tre copie da dipinti del Caravaggio (Milano, 1571 - Porto Ercole, 1610), ovvero un’ Incoronazione di spine, un Bacio di Giuda ed una Flagellazione; tre quadri del Guercino (Cento, 1591 - Bologna, 1666), di cui una Samaritana al pozzo presente in mostra; i tre menzionati capolavori di Mattia Preti, quasi “pittore di casa”; alcune opere di Ribera, Giordano e Poussin (in mostra è presente una copia della Sacra Famiglia con san Giovannino , l’originale è un’opera inamovibile del Metropolitan Museum di New York). Diversi erano poi i quadri di Aniello Falcone e circa venti quelli di Andrea Vaccaro (Napoli, 1604 - 1670), esponenti locali del classicismo romano; così come i paesaggi, le “bambocciate”, le nature morte e le battaglie terrestri e navali di autori nordici: una componente forte e caratterizzante della collezione, ma con cui Giordano, come nota acutamente Porzio, aveva minore dimestichezza.
Mattia Preti, Banchetto di Erode (1655 circa; olio su tela, 177,8 x 252 cm; Toledo, Ohio, The Toledo Museum of Art) |
Annibale Carracci, Scena comica con bambino in maschera (1582-85 circa; olio su tela, 90,2 x 69,8 cm; Collezione Francesca e Massimo Valsecchi, in prestito a Cambridge, The Fitzwilliam Museum) |
Luca Giordano, Piscina probatica (1653; olio su tavola, 96 x 87 cm; Atene, Galleria Nazionale – Museo Alexandros Soutzos) |
Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, Cristo e la Samaritana al pozzo (1640-41; olio su tela, 116 x 156 cm; Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza) |
Diverse guide napoletane, oltre alle Vite del Dominici, annoveravano quadri della collezione Vandeneynden e finanche Tommaso Puccini, il futuro primo direttore degli Uffizi, durante il suo viaggio napoletano, avrebbe fatto visita alla collezione dei Colonna di Stigliano, in cui, come si è detto, erano nel frattempo entrati alcuni quadri già Vandeneynden.
L’operazione messa in piedi da Palazzo Zevallos di Stigliano è encomiabile, poiché dà finalmente contezza della ricchezza di una collezione nata, trasformata e smembratasi in quasi quattro secoli e lo fa in un “contenitore” che non potrebbe essere più filologicamente idoneo. La mostra si colloca all’interno di altre esposizioni di alto profilo, che hanno già visto coinvolti Antonio Ernesto Denunzio e Giuseppe Porzio, come le mostre su Louis Finson (Bruges, 1580 - Amsterdam, 1617) del 2013 e su Tanzio da Varallo (Alagna Valsesia, 1582 circa - Varallo, 1633) del 2014, e che sono frutto e solo possibile risultato di lunghe ricerche, documentarie e non. All’interno di numerose iniziative private (che, talvolta, rivendicano pericolosamente l’assenza di progettualità e di ricerche preliminari adeguate), Palazzo Zevallos di Stigliano si propone come un esempio virtuosissimo di cooperazione tra pubblico e privato, di buone pratiche curatoriali, di un’amministrazione che lascia fare agli specialisti, di cooperazione tra studiosi internazionali, giovani e non più giovani, sempre in grado di dire bene e, una volta sembrava superfluo doverlo specificare, di dire qualcosa. L’unica pecca, forse, per un catalogo che si propone, giustamente, come un utile strumento per future ricerche sulla collezione Vandeneynden e su altre collezioni napoletane, è l’assenza di un indice dei nomi che non si limiti a quelli presenti nell’inventario del 1688, ma che comprenda quelli contenuti nell’intero catalogo. L’anno è appena iniziato, ma le premesse sono ottime. Voto: 9+.
L'autore di questo articolo: Vincenzo Sorrentino
Nato a Napoli nel 1990, si è laureato a Pisa in Storia dell’arte nel 2014 e si è addottorato a Firenze nel 2018, all’interno del programma “Pegaso” in cui sono consorziate le Università toscane. Ha svolto un internship di sei mesi nel dipartimento di scultura della National Gallery of Art di Washington D.C. e da gennaio 2019 è iscritto alla Scuola di Specializzazione in beni storico artistici dell’Università di Firenze.