Gli spazi espositivi ristretti di Palazzo della Meridiana a Genova non sono semplici da gestire per allestire al loro interno una mostra: il rischio di affastellare sulle pareti troppe opere per il timore da parte dei curatori di creare un progetto incompleto è dietro l’angolo, ma non è accaduto per l’attuale percorso espositivo in corso fino 16 luglio 2023, dal titolo Straordinario e quotidiano da Strozzi a Magnasco. Umane contraddizioni negli occhi dei pittori, a cura di Agnese Marengo e Maurizio Romanengo. I due curatori hanno scelto infatti di dare forma a una piccola mostra con poco più di trenta opere (l’equilibrata quantità per questi spazi a parere di chi scrive), disposte ben distanziate sulle pareti per fornire all’occhio del visitatore lo spazio adatto per poterle ammirare al meglio, e scegliendo di dare inoltre uniformità di colore agli allestimenti al fine di dare risalto ai dipinti e allo stesso tempo non disturbare la vista con troppi colori.
Come si può intuire già dal titolo, la mostra è costruita sugli opposti, e ad ogni coppia di opposti è dedicata una diversa sezione, cinque in tutto. Sono opposti tra sacro e profano, accostamenti tematici a contrasto che nell’intento dei curatori mettono in luce attraverso l’arte le umane contraddizioni della società del tempo. Si va dal tardo Manierismo ancora cinquecentesco al Settecento con dipinti e disegni di ambito genovese perlopiù provenienti da collezioni private. E se il Seicento genovese è stato affrontato da recenti esposizioni, è obiettivo dei curatori presentare questo secolo in questa sede “in una versione intima, attento alle sue variegate espressioni, dal naturalismo materico e intriso di luce di Bernardo Strozzi alla pittura geniale e inconfondibile del Grechetto, dal barocco consapevole di Domenico Piola all’umanità osservata dal vero dei fratelli De Wael, dal lirismo di Giovanni Andrea De Ferrari alle note caravaggesche di Luciano Borzone e Domenico Fiasella”.
La dicotomia che riunisce in sé “il grandioso e l’insignificante, l’universo mitico e il dettaglio minimo, il mistero del sacro e il gesto feriale” è Straordinario e quotidiano, che dà il titolo sia all’intera mostra che alla sua prima sezione.
Costruire una mostra sugli opposti pare fornire una lettura semplificata e comprensibile a tutti della storia dell’arte, ma in realtà a una lettura più profonda molte di queste opere in mostra rivelano particolarità iconografiche che rendono il percorso espositivo interessante e intrigante e non banale. Si comincia da una coppia di dipinti del Grechetto, un pendant riunito per la prima volta in occasione di questa mostra: si tratta della Natura morta con l’incontro tra Abramo e Melchisedech e della Natura morta con il viaggio dei figli di Giacobbe sullo sfondo. In entrambi il quotidiano della natura morta è posto in primo piano, mentre lo straordinario, ovvero l’evento biblico, è posto sullo sfondo, perciò per decifrare l’episodio sul fondo il visitatore è invitato a una lettura più profonda. All’interno dei dipinti si trovano infatti due iscrizioni che rimandano ai passi della Genesi a cui si fa riferimento: il capitolo XIIII, ovvero l’incontro di Abramo con Melchisedech, e il capitolo XLII, ovvero il ritorno dei figli di Giacobbe verso Canaan. In un paesaggio che pare ininterrotto nei due dipinti, nel primo il Grechetto abbozza sullo sfondo la stretta di mano tra i condottieri e pone in primo piano il bottino costituito da armature, trombe e oreficeria cesellata; nel secondo, sullo sfondo è accennata la carovana dei figli di Giacobbe, mentre in primo piano sono una lanterna che allude alla notte, una capra, una brocca e una borraccia che alludono alla carestia, e il denaro nascosto nella cesta.
Nell’Annunciazione di Bernardo Strozzi lo straordinario dell’evento sacro si inserisce nel quotidiano di un interno che viene suggerito solo dalla sedia-inginocchiatoio e dalla cesta in primo piano con panni; tutt’intorno nuvole e luce da cui si affacciano angioletti, il Dio Padre e la colomba dello Spirito Santo. La scena tuttavia non rappresenta solo un’Annunciazione, ma il momento dell’Incarnazione successivo all’annuncio. Lo si percepisce dall’atteggiamento di Maria che sembra già consapevole del concepimento divino, dalla veste rigonfia sopra il ventre e dall’arcangelo Gabriele che non indica il cielo ma è in ginocchio in posa di devozione.
La Madonna nel disegno di Sinibaldo Scorza diventa una madre che aiuta il figlio piccolo a compiere i suoi primi passi, aiutato dal cuginetto, il San Giovannino, in una scena che racconta la quotidianità della vita. E ancora, il Riposo durante la fuga in Egitto nel disegno di Domenico Piola sembra ambientato non in un paesaggio esotico, ma nel giardino di una villa di delizia. Infine, lo stesso Piola nelle Nozze di Cana introduce una nobile quotidianità nella scena del matrimonio evangelico: l’orchestra che suona sotto il baldacchino, i piatti d’argenteria, la scimmia che scherza con il cane, il giovane servo che aspetta istruzioni dal maestro di tavola.
La seconda saletta a cui si accede è dedicata alla dicotomia Miseria e nobiltà, espressa in due grandi dipinti a tema sacro: l’Adorazione dei Magi di Andrea Semino e l’Adorazione dei pastori attribuita a Bernardo Strozzi. Semino fa convivere nella sua opera sia la povertà della Sacra Famiglia, rappresentata sotto una capanna dal tetto di paglia, sia lo sfarzo delle stoffe e dei doni dei Magi. Sullo sfondo si intravedono poi i cavalieri e i dromedari del corteo di Magi, mentre tra lo sfondo e il primo piano sono raffigurati tre personaggi che appartengono a un’altra epoca, poiché vestiti alla moda tardo cinquecentesca, che documentano l’abilità del pittore come ritrattista. Al dipinto di Semino fa da contraltare l’inedita Adorazione attribuita alla prima maturità di Strozzi ambientata in un rudere con colonne in rovina: qui il fulcro è Gesù Bambino, ma se nell’altra opera sono le ricche vesti dei Magi a risaltare, in particolare di quello inginocchiato in primo piano, in questa Adorazione è il gioco di riflessi e di luce a catturare l’attenzione.
Si passa poi alla sezione Ozio e negozio: i genovesi erano notoriamente dediti al commercio, soprattutto di denaro. A detenere il potere economico e politico era l’aristocrazia, mecenate anche di un’arte di altissimo livello, ed era nei giardini delle loro ville e dimore che si tenevano quei momenti di “trattenimento” e di ozio spesso rappresentati in pittura, come nel dipinto di Lucas de Wael in cui nello scenografico giardino di una villa, della quale si vede appena il profilo sulla sinistra, gentildonne e gentiluomini si intrattengono tra chiacchiere e musica. Ozio e negozio si trovano tuttavia ben rappresentati nel Paesaggio con contadini che raccolgono zucche di Antonio Travi, allievo di Bernardo Strozzi, dove il contrasto è espresso dai contadini al lavoro in primo piano e una ricca villa padronale sullo sfondo. Il giardino o campagna può essere dunque luogo di intrattenimento o di lavoro (particolare anche il dipinto di Anton Maria Vassallo che raffigura in un paesaggio bucolico il giovane dio Apollo intento a mungere una mucca), come il mare, anch’esso luogo di attività soprattutto di commercio ma anche di momenti di pausa dal lavoro: ne sono esempi l’Allegra brigata di Cornelis de Wael in cui è raffigurato un gruppo di uomini che dopo un bagno fa un pic-nic sugli scogli accompagnato dalla musica, o il dipinto inedito dello stesso autore con gruppo di schiavi e mercanti al porto che si disseta e si rinfresca bagnandosi la faccia alla fontana. Una scena di ozio al mare è raffigurata inoltre nell’insolito ed inedito disegno di ignoto artista cinquecentesco attivo a Genova che fa fare il bagno in mare a uomini nudi e ad uno fa fare pure un tuffo. La sezione si chiude con una nicchia dedicata ad Alessandro Magnasco e al suo modo di presentare le occupazioni quotidiane di frati e monache, i primi arrotini, le seconde filatrici; entrambi assorti in lavoro e preghiera, in osservanza delle regole di povertà e devozione.
L’ozio come gioco, soprattutto con le carte, esprime un aspetto peccaminoso nella sezione dedicata alla dicotomia Santi e peccatori: il vecchio in camicia ne I giocatori di carte di Luciano Borzone ha appena perso la giacca giocando a carte contro ragazzini che probabilmente lo hanno ingannato (uno gli sta facendo anche un gesto volgare). Una scena che sembra tratta dal genere picaresco molto diffuso in tutta Europa a partire dai primi decenni del Seicento e che vede protagonisti furfanti e perditempo. Anche Magnasco raffigura nel dipinto esposto in mostra picaros, personaggi che paiono poco raccomandabili, che giocano a carte. A questi sono affiancati soggetti religiosi che, come spiegano i curatori, “avessero al loro interno un cortocircuito fra giustizia ed errore, come l’omicidio eseguito dalla retta Giuditta” di Domenico Fiasella o “la cacciata della innocente Agar da parte di Abramo” di Giovanni Andrea De Ferrari. Entrambi inediti ed entrambi con un particolare da sottolineare: come spesso accade, De Ferrari inserisce nelle sue opere un brano di natura morta per catturare l’attenzione dell’osservatore ma soprattutto per comunicare il senso della narrazione; in questo caso, la fiasca in terracotta data da Abramo ad Agar che oltre ad essere segno delle attenzioni verso la donna, rimanda alla loro esperienza nel deserto e al successivo intervento angelico che indicherà ad Agar la fonte. La Giuditta di Fiasella è intrisa della luce caravaggesca, ma è da notare la testa mozzata tenuta per i capelli, nella quale il curatore vede i lineamenti di un giovane Fiasella trentenne.
La quinta e ultima sezione si concentra infine sui ritratti e sui nudi nella dicotomia Corpi svelati e abiti indossati. Aprono il Ritratto di Gerolamo Doria di Domenico Piola, in cui il personaggio indossa una ricca veste da camera decorata, e il Ritratto di Bianca Maria Carpineto di Giovanni Maria Delle Piane detto il Mulinaretto, a cui si riconosce un certo gusto per una descrizione dettagliata delle vesti e degli accessori, e si conclude con l’inedito nudo femminile di Antiope in Giove e Antiope di Gioacchino Assereto che offre uno sguardo disinibito e nuovo sulla nudità in un’epoca in cui a Genova si poteva trovare solo nelle vicende degli antichi dèi, e con la vestita e dormiente Danae nella Giove e Danae di Bartolomeo Guidobono che intende essere una “riflessione erudita e ambigua sulla natura dell’amore”. La scena si svolge sotto le fronde di un albero e, all’arrivo di Giove che versa la sua pioggia d’oro da un vassoio d’argento, la giovane è la sola a non esserne minimamente interessata, al contrario della vecchia nutrice, di un’altra giovane figura femminile e di un putto che con slancio raccoglie l’oro ai piedi della Danae. Particolare è anche il Bacco ebbro di Giovanni Battista Langetti che lo raffigura con la testa appoggiata a una parete mentre è immerso in un sonno profondo e stringe a sé una grande fiasca di vino.
Tornando alla sensuale Antiope di Assereto, che non ha precedenti così espliciti a quel tempo nella particolare rappresentazione della figura femminile di spalle, Giacomo Montanari nella scheda dell’opera scrive che c’è da considerare che nel 1649 passò per la seconda volta da Genova Diego Velázquez diretto a Roma. E proprio a Roma avrebbe realizzato la Venere allo specchio della National Gallery di Londra, in cui si riconoscono le medesime soluzioni offerte nella genovese esposta in mostra. Forse Velázquez potrebbe aver visto il dipinto di Assereto nel suo passaggio genovese del 1649, ma nessuna fonte documentaria finora attesta l’ipotesi.
Si chiude così la piccola mostra di Palazzo della Meridiana che, come si è visto, offre al pubblico non poche particolarità. Una rassegna da vedere, accompagnata da un catalogo completo delle schede delle opere, per uno sguardo insolito e con tanti inediti sul Seicento e Settecento genovese.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.