Tocca alla Maremma il compito di lanciare Stefano di Giovanni detto il Sassetta, elegante protagonista della pittura senese del primo Quattrocento, nell’affollato agone delle mostre d’arte antica. Mai prima d’ora era stata dedicata una monografica a questo artista, nonostante le prime ricostruzioni della sua personalità e della sua produzione rimontino a più di cent’anni fa, e nonostante il suo nome primeggi nella Siena che comincia a guardare alle novità del Rinascimento. Il campo sul quale il Sassetta esordisce è il Museo di San Pietro all’Orto di Massa Marittima, che ha atteso sei anni prima di tornare a organizzare una mostra di richiamo: nel 2018 era stato per un nome più altisonante, quello di Ambrogio Lorenzetti, con una mostra costruita attorno alla Maestà qui conservata. Si veniva però dalla grande mostra organizzata a Siena l’anno prima, e la piccola rassegna massetana allestita poco dopo, seppur godibilissima e scientificamente irreprensibile, pareva più una sorta di coda della sorella maggiore del Santa Maria della Scala, un modo per tenere viva l’attenzione, una specie di piccolo best of maremmano. Questa volta il paradigma è diverso: il pubblico che fino a metà luglio andrà al Museo di San Pietro all’Orto per Il Sassetta e il suo tempo avrà l’opportunità di visitare una mostra ricca d’interessanti novità.
Due le circostanze che hanno portato a organizzare la mostra a Massa Marittima. La prima è legata a una presenza: com’era stato per la mostra su Ambrogio Lorenzetti, anche in questo caso l’occasione è stata fornita da un’opera conservata nella collezione del museo ospitante: nella fattispecie si parla della cuspide con Arcangelo Gabriele, in antico parte d’un polittico poi smembrato e dal quale proviene anche la Vergine annunciata, purtroppo assente dal percorso espositivo, oggi custodita alla Yale University Art Gallery. Ovvero in quel museo che si formò a fine Ottocento dalla raccolta d’un critico d’arte americano, James Jackson Jarves, innamorato della pittura senese. Per lui, il Sassetta era un pittore “mistico, eccellente nelle allegorie, capace di dimostrare sentimenti sinceri nella pittura”. Difficile mettere in dubbio le sue parole. La seconda circostanza è invece legata al pluridecennale lavoro del curatore, Alessandro Bagnoli, funzionario della Soprintendenza di Siena e Grosseto dal 1980 al 2018, autore d’una lunga ricognizione sul territorio che ha permesso di ricostruire in mostra, con grande precisione, il contesto in cui il Sassetta operò, di ridefinire alcune personalità già note e anche d’introdurne una nuova, quella di Nastagio di Guasparre, nome ch’è stato recuperato proprio in occasione di questa rassegna, pittore che seguì, grosso modo, lo stesso percorso del Sassetta.
Chi era, dunque, questo Sassetta capace anche d’imporre un pensiero? Potremmo vederlo come un artista che guardava tanto alla tradizione della sua città, quella dei Simone Martini e dei fratelli Lorenzetti, ma che s’apriva anche al nuovo di Gentile da Fabriano, di Masolino, di Masaccio. Un artista che nel primo Novecento piaceva tantissimo, tanto da attirare le attenzioni dei varî Bernard Berenson, Roberto Longhi, John Pope-Hennessy, Enzo Carli, e pure di quel Robert Langton Douglas, autore d’una piacevole Storia della Repubblica di Siena ch’ebbe un vasto successo, e al quale si deve il merito d’aver tentato una prima, pionieristica, sintetica perlustrazione dell’arte del Sassetta, prima ancora che Berenson gli dedicasse la sua stravagante monografia A Sienese painter of the Franciscan Legend, peraltro stroncata da Longhi, e prima ancora che chiunque altro s’avvicinasse a questo pittore che dettava i gusti nella Siena della sua epoca.
Ignoriamo le ragioni del soprannome Sassetta, che compare solo in un testo settecentesco e non è attestato nelle fonti antiche. Non esistono prove di legami col piccolo, omonimo borgo della Val di Cornia, non lontano da Massa Marittima. Più probabile, come ipotizza Gabriele Fattorini, che il nomignolo gli sia stato assegnato per un errore di lettura di chissà quali documenti. Suonava però bene ed era più pratico di “Stefano di Giovanni”, dunque gli è rimasto incollato addosso fino a oggi, e si presume che nessuno gli staccherà quest’etichetta. Anche dei suoi inizî si sa poco: è ragionevole ritenere che nacque attorno al 1400, a Cortona, città d’origine del padre che di mestiere faceva il cuoco, e che dovette avere un avvio di carriera fulminante se già nel 1423, poco più che ventenne, aveva ottenuto l’incarico di dipingere un polittico per l’Arte della Lana di Siena, la prima base per ogni ricostruzione della sua carriera. E da qui parte anche la mostra, che però, prima d’introdurre quel che rimane del polittico, apre con una Madonna dell’umiltà custodita al Museo dell’Opera del Duomo di Siena, ritenuta dipinto giovanile, eseguita verso il 1423, eppure già in grado di palesare tangenze masaccesche, come osservava Paolo Dal Poggetto notando “la figura grande, quasi abnorme, del Bambino che è una mirabile interpretazione del Bambino della Sant’Anna Metterza di Masaccio”. Il Sassetta rivede l’erculeo Gesù Bambino di Masaccio secondo il proprio gusto, forgiato da un continuo, proficuo, moderno cavalcare le onde della scuola senese del Trecento: ne viene fuori dunque un Bambino più delicato, così come delicata è la Madonnina che lo tiene, figura esile e diafana nascosta sotto l’ampio mantello che, cadendo a terra, descrive irrealistiche, goticissime calligrafie. A fianco della Madonna dell’Umiltà, ecco i resti del polittico dell’Arte della Lana, la singolare pala smontabile che il Sassetta aveva dipinto per la corporazione dei lanieri senesi: veniva esposta solo in occasione di celebrazioni e feste liturgiche, ragion per la quale doveva rimanere riposta dentro un armadio quando non veniva utilizzata, e di qui la necessità di architettare una macchina che si potesse smontare con facilità. Una facilità che però, probabilmente, ha agevolato lo smembramento, all’epoca in cui la corporazione venne soppressa, e la successiva dispersione dei frammenti, tanto che le tre tavole grandi, lo scomparto maggiore con il Trionfo dell’Eucarestia e i due laterali con sant’Antonio abate e san Tommaso d’Aquino, non ci sono arrivati.
A Massa Marittima, Bagnoli ha fatto arrivare i dodici lacerti abitualmente conservati alla Pinacoteca Nazionale di Siena (museo lodevolmente generosissimo nei prestiti per questa mostra), senza alcuna reunion con gli altri frammenti superstiti, oggi sparpagliati tra Budapest, la Pinacoteca Vaticana, l’Australia, l’Inghilterra. Non possiamo immaginare come il Sassetta avesse dipinto le tavole del polittico, ma dai santi che ornavano i pilastrini ricaviamo l’idea d’un pittore che ci appare immediatamente capace di somme finezze (da vedere, a tal proposito, l’accuratezza con cui sono dipinte le barbe dei profeti, oppure la qualità dei motivi delle punzonature), che si pone in continuità con la propria tradizione ma ch’è comunque ben disposto a sperimentare, come ci dimostra il frammento di predella con l’Ultima cena, in cui il Sassetta si pone il problema d’una rappresentazione credibile dello spazio. E si rivela un pittore dotato anche di discreti doti narrative: indimenticabile il frammento di predella con la scena in cui sant’Antonio abate viene torturato dai diavoli che infieriscono su di lui prendendolo a mazzate e tirandolo per il saio. A riprova di questo gusto sono le tavolette coi dolenti provenienti da una perduta croce dipinta che il Sassetta aveva eseguito per la chiesa di San Martino a Siena (ai due capicroce con la Madonna e san Giovanni va aggiunto un terzo frammento, una tavoletta con san Martino che dona il mantello al povero): l’intensità della Vergine che esprime il suo dolore per la perdita del figlio piangendo nascosta nel mantello e con le mani giunte ha pochi altri eguali nella pittura del tempo. Il grande Sant’Antonio abate, dalle proporzioni allungate e dai panneggi leggeri, resto d’un polittico smembrato al quale è stato associato anche un San Nicola di Bari oggi al Louvre, evoca i modi della coeva Madonna della neve degli Uffizi, capolavoro eseguito attorno al 1430 e conservato agli Uffizi, sfortunatamente non presente in mostra. L’albo dei prestatori, si noterà, non travalica i confini d’una ristretta area a cavallo tra le province di Siena e Grosseto, con poche eccezioni fuori da questo territorio, e tutte comunque ricomprese in Toscana. La mostra, fa sapere l’organizzazione, è stata immaginata anche secondo principî di “etica professionale”, ovvero dando precedenza alle opere del territorio e a quelle spostabili senza particolari difficoltà, e di “sostenibilità”, che dobbiamo immaginare anzitutto finanziaria, dacché si parla d’un’esposizione, del costo di 160mila euro, costruita con le forze di un piccolo comune, oltre che di due sponsor (Interalia e Toscana Energia) e di quattro mecenati (BF spa, Massa Marittima Multiservizi, Patrizio Forci e Fondazione CR Firenze) che ne hanno sostenuto l’impegno: va comunque evidenziato che le presenze fondamentali che non sono state fatte convergere su Massa Marittima vengono adeguatamente evocate dalla pannellistica nelle sale.
Accanto al Sant’Antonio abate ecco invece l’Arcangelo Gabriele attorno al quale è stata costruita la mostra, e sulla parete attigua l’Adorazione dei Magi prestata dalla Collezione Chigi Saracini, piccola tavola che segna il punto di massimo avvicinamento a Gentile da Fabriano, della cui grande Adorazione, quella dipinta nel 1423 per Palla Strozzi e oggi conservata agli Uffizi, il Sassetta offre qui la sua personale rivisitazione, secondo un’eleganza un poco più leziosa e meno orientata ai preziosismi ma capace di brani sorprendentemente gustosi, come il cagnetto colto mentre gioca con un bastoncino. La fase successiva della carriera del Sassetta, quella che si colloca tra la metà e la fine degli anni Trenta, è rappresentata da tre capolavori che il visitatore incontra in successione: si comincia con la Madonna delle ciliegie, tavola del 1435 circa prestata dal Museo Archeologico e d’Arte della Maremma di Grosseto. La Vergine richiama da vicino quella della Madonna della neve degli Uffizi, aggiornando però il modello, per così dire, su linee ancor più dolci e raffinate, con proporzioni ulteriormente allungate, un’impostazione meno paludata e più vivace, e col volto della Madonna che assume quei tratti così personali, così riconoscibili, col mento appuntito, le arcate sopracciliari alte e perfettamente curve, il viso triangolare, quest’ultimo da ritrovare anche nel più tardo San Bernardino esposto nella parete di fronte. Sono le stesse caratteristiche che si ritrovano nella Madonna col Bambino proveniente dalla pieve di San Giovanni Battista a Molli, vicino a Sovicille, alle porte di Siena: è la principale novità dell’esposizione, un capolavoro del Sassetta scoperto proprio mentre s’andava organizzando la mostra di Massa Marittima. Tagliata su tutti i lati, in antico forse parte d’un’opera più grande, come la Madonna delle ciliegie del resto, è stata trovata sotto una pesante ridipintura secentesca che l’aveva totalmente offuscata: un particolare, il taglio degli occhi, ha mosso Bagnoli a indagare più a fondo quella pesante immagine di due secoli più tarda, e così, grazie al lavoro della restauratrice Barbara Schleicher, la Madonna sovrammessa è stata rimossa ed è stato dunque possibile far tornare alla luce il Sassetta perduto, “manifesto”, come lo chiama lo stesso Bagnoli, della sua pittura. L’iconografia è quella della Madonna dell’umiltà, la stessa impiegata per la tavola centrale del polittico di Cortona, il terzo capolavoro della piena maturità del Sassetta che il pubblico trova in mostra. Opera del 1435 circa, in prestito dal Museo Diocesano di Cortona, era in antico la pala d’altare della cappella di San Nicola situata nella chiesa di San Domenico a Cortona, ed è uno dei lavori meglio documentati del Sassetta, dal momento che conosciamo anche il nome del committente (uno speziale cortonese di nome Niccolò di Angelo di Cecco del Peccia), oltre che uno dei suoi dipinti meglio conservati. La finezza dell’artista si nota qui anche nel grado di sperimentazione sulla materia: la pannellistica di sala ci fa notare “le ali e i mantelli degli angeli intorno alla Vergine dipinti a velature di colore su lamina e le minutissime decorazioni a sgraffito, ora realizzate a risparmio come nella veste dell’angelo alle spalle della Madonna e ora con velature di lacca traslucida sopra l’oro di fondo nella pianeta di san Nicola”. Sul piano formale, il polittico di Cortona riprende l’eleganza dei modelli della tradizione senese (da riscontrare specialmente nei santi che affiancano la Vergine negli scomparti laterali), aggiornandoli però secondo volumi che s’aprono a Masaccio e inserendo le figure in uno spazio prospettico unitario, altra novità che il Sassetta accoglie di buon grado nella sua arte. Anche la Vergine acquista una nuova, piena umanità: non è più, notava anche John Pope-Hennessy nella sua monografia del 1939, la ieratica Vergine in trono della Madonna della neve, ma una Madonna dell’umiltà più dimessa e al contempo più solida.
Il Sassetta tardo, quello che va dagli anni Quaranta fino al 1450 della scomparsa, nell’impossibilità di radunare a Massa Marittima i varî pezzi del Polittico di Borgo San Sepolcro, oggi sparsi in mezzo mondo da Firenze al Louvre, da New York a Mosca, da Londra a Berlino, viene documentato attraverso una coppia di santi, un San Bartolomeo e un San Francesco, un tempo parti d’un polittico smembrato eseguito per l’altare di San Bartolomeo nella chiesa di San Pietro in Castelvecchio a Siena: le figure del Sassetta, nell’ultima fase della sua carriera, conquistano una nuova, inedita solidità, un rilievo plastico che si misura con l’arte rinascimentale ormai già avviata, un’ancora inesplorata monumentalità, che conserva sì alcuni elementi tardogotici (il panneggio di san Bartolomeo è qualcosa di vicino, per esempio, alle sculture di Lorenzo Ghiberti), ma che pare già avviata all’indagine di strade non ancora percorse: il Sassetta scomparve però troppo presto per seguirle su di un tratto più lungo.
Accanto alle sue opere, il finale della mostra, disposto su due diverse sale, introduce il pubblico al contesto della Siena tra gli anni Trenta e Cinquanta del Quattrocento, con immagini d’artisti soprattutto senesi che documentano l’alto livello della scuola artistica cittadina, e che soprattutto consentono di comprendere più a fondo, dichiara Bagnoli nella sua introduzione nel catalogo, “le stesse linee di interesse seguite dal Sassetta e confrontandosi necessariamente con il suo ammirevole e condizionante esempio”. Tra i pezzi più interessanti un’Assunzione della Vergine, con tanto di cintola volante lasciata a san Tommaso, interessante tavoletta di Sano di Pietro che collaborò con il Sassetta (fu lui a portare a termine due opere lasciate incompiute dal collega, tra cui il San Francesco esposto in mostra), e poi ancora una Lamentazione sul Cristo deposto, dal profumo nordico, del Maestro dell’Osservanza la cui personalità viene ulteriormente indagata in mostra, tanto da essere presentato in questa sede come un collaboratore d’alto livello di Sano di Pietro nella sua bottega: e se Sano e il Maestro dell’Osservanza possono essere considerati due pittori vicini al Sassetta, se non addirittura a lui complementari, la mostra presenta anche un suo antagonista, ovvero il più longevo Giovanni di Paolo (scomparve nel 1482 a ottantaquattro anni d’età), pittore più aspro ed evanescente rispetto al cortonese, e anche meno interessato alle novità in arrivo da Firenze, e che tuttavia non mancò di confrontarsi col collega. Ci sono poi sculture, come quelle di Domenico di Niccolò “dei cori”, specialista della statuaria in legno, artista che immaginava le sue figure ispirandosi al Sassetta, come già notava Roberto Longhi e come si può verificare in mostra mettendo a paragone i suoi angeli portacandele o il suo San Francesco con le figure di Stefano di Giovanni. Infine, altra novità della mostra, è il recupero d’una personalità cui finora non era stato ancora dato un nome: si tratta di Nastagio di Guasparre, pittore documentato dalle fonti ma finora mai rintracciato, che Bagnoli propone d’identificare coi lavori dell’artista che la critica, a partire da Miklós Boskovits nel 1983, aveva chiamato il “Maestro di Sant’Ansano”. Nastagio, scrive Bagnoli, “recupera un importante ruolo di coprotagonista della pittura tardogotica a Siena, che segue il percorso culturale caro al Sassetta, collabora con questi e sa tener conto anche di quanto producevano Sano di Pietro e Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta”: sono sue, in mostra, una Madonna col Bambino e santi concessa dal Castello di Gallico, una vetrata proveniente dalla chiesa di San Sebastiano a Chiusdino e oggi nel Museo Civico della cittadina, e una Madonna in umiltà col Bambino e gli angeli.
Per Alessandro Bagnoli, che era stato peraltro uno dei curatori della grande mostra senese su Ambrogio Lorenzetti, non ci sono dubbî: il curatore ha definito a più riprese il Sassetta come il più importante pittore senese della stagione tardogotica, giungendo ad assegnarli anche un ruolo di primo piano, come scrive nel catalogo della mostra, “nell’ultima vitale stagione dello stile gotico”, in quanto artista capace di “recuperare la lezione dei grandi novatori senesi del primo Trecento, innervandola con una personale fantasia narrativa, unita alle moderne tendenze di eleganza e decorativismo estremo proprie del tempo e accogliendo le novità delle modernissime manifestazioni artistiche del primo Rinascimento fiorentino”. Il confronto coi maggiori del Sassetta va però immaginato, dal momento che in mostra non figurano le opere dei precursori, né s’ha modo di vedere opere di quel Gentile da Fabriano che pure fu punto di riferimento ineludibile per Stefano di Giovanni.
Eppure, non s’avvertono mancanze, intanto perché occorre tener conto del contesto in cui nasce questa ottima mostra: s’è detto di come il Museo di San Pietro all’Orto di Massa Marittima abbia improntato la sua azione su criterî di sostenibilità economica, motivo per cui, peraltro, anche la sua programmazione non può reggere ogni anno mostre di richiamo. Il tema è semmai culturale, e non riguarda solo Massa Marittima, ma è ben più largo: tra costi per le assicurazioni e i trasporti che salgono, la pratica del loan fee spesso applicata alla cieca, la difficoltà nel trovare sponsor privati, come si potrebbe agevolare un museo di un piccolo comune che pure avrebbe gli spazî e le risorse intellettuali per progettare una mostra più grande? E poi, c’è da considerare che l’obiettivo dichiarato fin dal sottotitolo è quello d’offrire uno “sguardo” sul Quattrocento senese. E la mostra sul Sassetta riesce bene, con una ricostruzione intelligente e vivace, a osservare cosa accadde nella Siena degli inizî del XV secolo, attraverso la lente di uno dei più affascinanti artisti che videro l’alba del Rinascimento.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).