In conclusione al loro saggio pubblicato nel catalogo della grande mostra Paris Bordon. Pittore divino, allestita al Museo di Santa Caterina a Treviso fino al 15 gennaio 2023, i curatori Simone Facchinetti, ricercatore presso l’Università del Salento, e Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi a Firenze, sottolineano che dal loro punto di vista “non c’era bisogno di restituire a Paris una nuova posizione nel Rinascimento veneziano, per il semplice motivo che la occupava già di diritto”. E tengono a specificare nello stesso saggio che l’attuale mostra si colloca sulla scia delle iniziative che la città natale di Paris Bordon (Treviso, 1500 – Venezia, 1571) ha sostenuto per celebrare il suo più illustre pittore, che lo storiografo veneziano Marco Boschini definì “Divin Pitor” (da qui il titolo dell’attuale retrospettiva): nel 1900, per i quattrocento anni dalla nascita di Bordon, Luigi Bailo e Gerolamo Biscaro avevano dato il via a un’accurata ricerca e a una serie di studi con l’intento di restituire il maggior numero di dati sulla vita del pittore; seguì nel 1984 una monografica nel Palazzo dei Trecento e l’anno successivo un convegno internazionale con i medesimi obiettivi. La monografica in corso vuole dunque essere una “mostra pensata per un pubblico ampio”, a cui si aggiunge un “catalogo appositamente scritto in forme semplici”, come dichiarato in modo esplicito dai curatori, e costituita da “opere di Paris Bordon attentamente selezionate”, provenienti dai principali musei europei.
Un obiettivo lodevole quello dei curatori, che hanno seguito come principio base quello di una mostra rivolta a tutti, raccontata sia negli spazi espositivi che nel catalogo in modo comprensibile e adatto al grande pubblico, per far comprendere la varietà e la qualità straordinaria della produzione dell’artista. Non una mostra solo per cultori e studiosi, ma un’esposizione divulgativa: il percorso espositivo si suddivide infatti per sezioni, otto per l’esattezza, che accompagnano il visitatore attraverso la produzione di Paris Bordon, dagli inizi nella bottega veneziana di Tiziano (Bordon fu infatti tra i suoi più grandi allievi) ai generi e ai temi che affrontò, come i ritratti, i quadri di devozione privata e le grandi pale d’altare per la devozione pubblica, ma dedicò grande attenzione anche a temi come la mitologia e l’eros. Il pubblico ha qui occasione di conoscere l’arte di Bordon nei suoi diversi aspetti, poiché la più ampia monografica mai realizzata finora in Italia dedicata al pittore trevigiano, come è stata definita, offre l’opportunità di vedere da vicino ben trentacinque opere del pittore, tra dipinti e disegni, provenienti dai più importanti musei del mondo, quali l’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera, il Louvre, la National Gallery di Londra, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Muzeum Narodowe di Varsavia, l’Ashmolean Museum di Oxford, il Musée des Beaux - Arts di Caen per quanto riguarda l’estero e le Gallerie degli Uffizi, la Galleria Doria Pamphilj di Roma, la Pinacoteca Nazionale di Siena, i Musei di Strada Nuova di Genova, la Ca’ d’Oro di Venezia, l’Accademia Carrara di Bergamo, la Pinacoteca “Corrado Giaquinto” di Bari e i Musei Vaticani. Una totale immersione nell’arte di Paris Bordon che segna davvero il passo tra le iniziative volte alla conoscenza del pittore compiute nei decenni.
Si parte da una selezione di dipinti del terzo decennio del Cinquecento, tra il 1518 e il 1530, dove si riconosce il forte influsso di Tiziano, presso la cui bottega veneziana Paris si formò. Non conosciamo le opere precedenti a questo decennio, perciò i suoi primi dipinti risalgono a quando aveva già lasciato la bottega di Tiziano: il 21 giugno 1518 Bordon è infatti documentato come “pictor habitator in Venetiis in contrada Sancti Iuliani”, dunque già autonomo. Quelle esposte sono dunque opere di un pittore già formato, ma l’eredità tizianesca risulta ben visibile soprattutto per l’impostazione orizzontale della Sacra Famiglia nel dipinto della Galleria Doria Pamphilj di Roma, accostabile per composizione alla Sacra Famiglia con un pastore di Tiziano della National Gallery di Londra, non in mostra. Più disinvolte e con un tentativo di emancipazione dall’impostazione tizianesca sono invece le tavole di Glasgow, in cui si intravede uno sguardo verso Jacopo Palma il Vecchio. Una di queste, La Madonna con il Bambino, i santi Girolamo e Antonio abate e un devoto, è tra i primi dipinti in cui Paris si firma Paris Bordon Tarvisinus, valorizzando la propria origine.
Segue una sezione dedicata alla fortuna critica di Bordon, a cominciare da Pietro Aretino che nel dicembre 1548 scrisse una lettera in cui lo paragonò a Raffaello, per proseguire con Vasari che nelle sue Vite del 1568 tracciò una sorta di descrizione di Bordon come continuazione della vita di Tiziano indicandolo come unico suo degno erede. La descrizione è il frutto dell’incontro tra Vasari e Bordon nella casa di quest’ultimo a Venezia in contrada San Marcillian nel maggio 1566. Lo descrive come un uomo pacifico e semplice, lontano da intrighi; un uomo che conduceva una vita appartata, “fuggendo la concorrenza e certe vane ambizioni”, e un “eccellentissimo musico”. A quasi un secolo dalle Vite, furono le Maraviglie dell’arte di Carlo Ridolfi, nel 1648, a descrivere il pittore: gli dedicò un intero profilo riprendendo le informazioni di Vasari e lo considerò capofila di una schiera disomogenea di pittori originari o attivi a Treviso. Agli inizi dell’Ottocento l’abate Luigi Lanzi lo descrisse nel terzo tomo della Storia pittorica come un uomo d’ingegno e un pittore dotato di grande originalità, allievo di Tiziano per poco tempo e poi fervido imitatore di Giorgione. L’attenzione di Giovan Battista Cavalcaselle è invece mostrata attraverso una serie di disegni accompagnati da annotazioni di alcuni famosi dipinti di Bordon come la Pala Manfron della Galleria dell’Accademia di Lovere. Infine, nel 1900, nel quattrocentesimo anniversario della nascita del pittore, i summenzionati Luigi Bailo e Gerolamo Biscaro pubblicarono la prima monografia moderna a lui dedicata.
Il percorso espositivo prosegue con i ritratti, genere molto diffuso nella Venezia del Cinquecento, in cui Paris Bordon era abilissimo. Sono esposti qui i ritratti di sette personaggi di cui, per la maggior parte, non si conosce l’identità. Tra i cinque uomini raffigurati, spicca il Ritratto di gentiluomo proveniente dalla Alte Pinakothek di Monaco di Baviera che costituisce il più antico ritratto realizzato dal pittore, datato 1523. Il Ritratto richiama quelli di Giorgione caratterizzati da un velo di malinconia e da una forte intensità psicologica, come il Ritratto Giustiniani della Gemäldegalerie di Berlino. Pare infatti che circa dieci anni dopo la morte per peste di Giorgione del 1510, Bordon “si mise [...] in animo di volere per ogni modo seguitar[n]e la maniera”, come afferma Vasari. Più fieri sono invece i ritratti di Nikolaus Körbler, mercante diventato nobile per volere di Carlo V, del cosiddetto Attaccabrighe e di Thomas Stahel, mercante di Augusta che ricoprì un ruolo importante nella città. Quest’ultimo è identificato grazie alle iniziali T.S. e dallo stemma di famiglia sulla colonna, mentre sulla lettera che tiene in mano appare il nome del mercante di Augusta Hieronymus Kraffter. Ha in mano una lettera anche il Gentiluomo di Palazzo Rosso: in questo dipinto si assiste contemporaneamente a due momenti tra loro consecutivi. Il nobile gentiluomo in primo piano, dalle maniche di un rosso sgargiante, tiene la lettera che in un secondo momento, come si vede nella scenetta alla sinistra, dietro di lui, una donna riceverà da un servo. Con una composizione simile, anche la giovane donna della National Gallery è in attesa di notizie dall’uomo che si vede tra gli elementi architettonici sullo sfondo. Abbigliata lussuosamente e impreziosita da gioielli e da perle tra i capelli, della giovane ci è dato sapere solo l’età: sul basamento della colonna è infatti scritto “Aetatis suae / Ann. XVIIII”. Entrambi i dipinti potrebbero rimandare a rapporti amorosi, dato che l’abito rosso era di solito indossato in occasione delle nozze. Tuttavia, se la Giovane donna della National Gallery di Londra ha fattezze più reali, la Giovane donna del Kunsthistorisches Museum risulta più idealizzata. In un’ambientazione domestica, la giovane è raffigurata con sguardo sfuggente, pelle eterea e lunghi capelli biondi, tra i quali fa scivolare le dita della mano sinistra, mentre con la destra tiene aperta una piccola scatola di legno.
Le successive due sezioni sono strettamente legate perché i dipinti a soggetto mitologico di Paris Bordon raffigurano spesso personaggi molto sensuali, soprattutto per quanto riguarda le figure femminili. Ne sono esempi la Venere e Cupido di Varsavia e quella della Ca’ d’Oro di Venezia: la prima vicina alle Veneri di Palma il Vecchio, la seconda a quelle di Giorgione e di Tiziano. Quello della giovane e bellissima fanciulla sdraiata su un drappo e completamente nuda immersa in un paesaggio boschivo mentre le si avvicina il figlioletto Cupido è comunque uno dei soggetti profani più diffusi nell’arte veneziana del Cinquecento. Lasciano il seno scoperto le sensuali figure femminili bordoniane, caratterizzate da una carnagione madreperlacea, da lunghi capelli fulvi e da morbidi tessuti cangianti: Vasari ricorda nelle sue Vite di un quadro “d’una donna lascivissima” inviato da Bordon a Ottaviano Grimaldi. Anche se tuttavia non sappiamo a quale dipinto Vasari si riferisse, certamente si tratta di un’opera simile al Ritratto di giovane donna di collezione privata esposta in mostra.
Talvolta ritratti più o meno marcatamente lascivi vennero realizzati in contesti matrimoniali, come la donna nelle vesti di Flora, simbolo di fecondità e di concordia coniugale, in cui la giovane vestita ma con un seno scoperto ruota leggermente il busto e solleva il braccio per cogliere le rose per poi porle su un lembo dell’abito che tiene sollevato con l’altra mano. Ancora più esplicitamente legato al tema nuziale è il bellissimo dipinto che raffigura Marte, Venere e Cupido incoronati da Imeneo, capolavoro del Kunsthistorisches Museum di Vienna, ricco di elementi amorosi ed erotici. Al centro della scena Venere, a seno completamente scoperto, è stretta in un tenero abbraccio da Marte, in armatura; i due si tengono per mano mentre vengono incoronati dal protettore del rito nuziale Imeneo con serti di rose (gesto che compie anche l’amorino nella Coppia di amanti della National Gallery di Londra) e Cupido, dopo aver abbandonato faretra e arco, rovescia sul ventre di Venere un cestino di rose. La dea porge con la mano destra fiori di rosa a Marte, che lui sta per cogliere, e con la mano sinistra coglie dall’albero una mela cotogna, simbolo di amore e di fertilità. Un recente studio, che ha avuto inizio con la ricostruzione della collezione di Jeremias Staininger, considera questo grande dipinto parte del ciclo a tema profano realizzato per Christoph Fugger, mecenate di Augusta. Gli Staininger erano originari di Augusta e nell’elenco dei loro dipinti ne figurano sei di Paris Bordon, alcuni dei quali ora al Kunsthistorisches Museum e coincidono sia nei soggetti che nei formati con quelli del ciclo pittorico.
In mostra si ha poi occasione di ammirare alcuni disegni dell’artista che fanno comprendere l’attento studio che c’è dietro a ogni immagine dei suoi dipinti. L’arte veneziana è tradizionalmente poco legata al disegno, a differenza di quella fiorentina, mentre risulta molto legata al colore: di Paris Bordon è giunto a noi invece un notevole corpus grafico; si tratta di studi su un’anatomia o su una posa, studi concentrati su un’unica figura. I disegni esposti provengono dal Louvre e dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi e da sottolineare sono in particolare, oltre allo Studio per uomo nudo riconducibile forse al Cristo al Limbo (di cui l’originale risulta perduto, ma di cui si conserva una copia in collezione privata), lo studio preparatorio per la Vergine dell’Annunciazione del Musée des Beaux-Arts di Caen, esposto al termina del percorso espositivo, e lo studio preparatorio per una Betsabea al bagno, tema frequente nella produzione pittorica bordoniana, come testimoniato dal dipinto in mostra dell’Ashmolean Museum di Oxford nella sezione sull’eros.
Avvicinandosi alla conclusione della monografica, il visitatore viene posto di fronte a opere devozionali, private e pubbliche: le prime rappresentate dai due esemplari del Cristo Redentore dall’Accademia Carrara di Bergamo e dal MAR di Ravenna, iconografia molto ricorrente nella produzione di Bordon; le seconde rappresentate principalmente da importanti pale d’altare, come la Pala Tanzi e la Pala Manfron. La Pala Tanzi, raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra i santi Enrico di Uppsala e Antonio da Padova, è oggi conservata alla Pinacoteca “Corrado Giaquinto” di Bari ma proviene dalla cappella della famiglia di Enrico Tanzi, console generale dei milanesi e dei lombardi residenti nel Regno di Napoli, nella cattedrale barese di San Sabino; la Pala Manfron, raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra i santi Giorgio e Cristoforo (quest’ultimo visibilmente simile al san Cristoforo di Tiziano nel Palazzo Ducale veneziano) e custodita dal 1827 a Lovere, costituisce un capolavoro giovanile dell’artista compiuto a seguito della morte del condottiero Giulio Manfron, ucciso all’età di trentacinque anni nel 1526 durante l’assedio di Cremona. Commissioni ottenute dal pittore a Venezia che lo portarono a recarsi in altri territori della penisola già a partire dagli anni Venti del Cinquecento, come la commissione che ricevette a Noale per realizzare uno dei suoi dipinti più monumentali, ovvero il San Giorgio che uccide il drago per la chiesa di San Giorgio a Noale per volontà del giureconsulto Alvise Campagnari. Il santo con la sua lucente armatura è qui raffigurato mentre in sella al suo cavallo ha già trafitto il drago, già a terra per ricevere l’ultimo colpo mortale, e accanto vi è il corpo mutilato di un giovane. La principessa osserva la scena tra la boscaglia, mentre un gruppo di curiosi scavalca o si affaccia da un edificio in stile tardogotico per assistere alla lotta. È proprio questo imponente e monumentale dipinto, restaurato per l’occasione e oggi custodito alla Pinacoteca Vaticana a chiudere la mostra, insieme all’Annunciazione di Caen ambientata in una suggestiva scenografia architettonica che richiama le strutture antiche di Serlio e databile tra il 1545 e il 1550 circa.
Il percorso non segue un filo cronologico, ma procede come detto per temi e generi attraversando i momenti significativi della produzione del pittore, che lo condussero anche fuori dal suo territorio. E data la necessità di portare in mostra una selezione delle opere di Paris Bordon, a completamento viene proposto un ampio itinerario a cura del direttore dei musei civici di Treviso Fabrizio Malachin per andare alla scoperta dei capolavori dell’artista che si trovano nel territorio trevigiano e veneto, a cominciare dalle collezioni permanenti del Museo di Santa Caterina che conservano vari suoi dipinti, tra cui il monumentale Paradiso, per proseguire nel Duomo e nelle vie della città e per arrivare alle Gallerie dell’Accademia di Venezia dove è possibile ammirare la Consegna dell’anello al doge, capolavoro di cui il Museo di Santa Caterina ne possiede una copia di piccolo formato. Mancano, nella mostra, opere di contesto, ma si può colmare la lacuna intanto con una visita al piano superiore del museo per entrare in familiarità con l’ambiente nel quale Bordon visse e operò, e poi visitando il territorio, dato che la mostra è indissolubilmente legata all’area geografica che la ospita.
A distanza di quasi quarant’anni dalla prima monografica trevigiana, Paris Bordon. Il Pittore divino si colloca dunque nella storia delle iniziative, per divulgazione e per accuratezza, volte a far conoscere l’arte dell’illustre allievo di Tiziano che seppe farsi strada diventando uno dei più grandi artisti del Cinquecento veneto.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.