È vero che Edvard Munch è uno degli artisti più angosciati di sempre: lui stesso affermava che le sue sofferenze, la sua ansia e la sua malattia facevano parte di sé e della sua arte, tanto che la loro distruzione avrebbe distrutto anche la sua arte, ma dalla mostra che Palazzo Reale di Milano gli dedica fino al 26 gennaio 2025 in occasione dell’ottantesimo anniversario della sua scomparsa uscirete probabilmente depressi e con un senso di pessimismo cosmico se già tendete talvolta a farvi prendere dall’ansia e dall’inquietudine. Il titolo scelto, Edvard Munch. Il grido interiore, mette già in guardia sul carattere della mostra, ma soprattutto funge da rimando diretto all’opera più celebre, più significativa e più reinterpretata dell’artista norvegese, L’Urlo, che in mostra vedrete solo in forma di litografia. Dunque se pensate di visitare l’esposizione milanese per vedere da vicino quella figura umana con il volto dalle fattezze di teschio, vestita di nero, che si porta le mani alle orecchie mentre spalanca gli occhi e la bocca per far uscire un sonoro grido di disperazione, un grido che apparentemente è di un solo individuo ma che può rappresentare il grido di tutti perché universali sono le sensazioni di solitudine, di angoscia e i tormenti della morte, e quel cielo infuocato e sinuoso che segue le linee del paesaggio, deformate come quelle della stessa figura umana, no, sappiate che non lo vedrete: né il dipinto a tempera né il pastello de L’Urlo della collezione del Munchmuseet di Oslo, il museo da cui provengono tutte le opere in mostra, sono arrivati a Milano per l’occasione; vi è solo una litografia in bianco e nero del 1895.
C’è da considerare inoltre che intento della mostra, come si legge in una delle prefazioni del catalogo, è “restituire una visione più articolata di Munch che allarghi, partendo dal necessario biografismo psichico dell’artista, la nostra visione e comprensione” dell’artista stesso; “allargare il campo di indagine per comprendere, da una parte, come Munch si inserisca nel processo evolutivo della storia dell’arte e, dall’altra, come le manifestazioni artistiche-letterarie, le speculazioni filosofiche a lui coeve, insomma, la sua cultura abbiano inciso sulla sua arte” e mettere in evidenza come, al di là del vissuto personale, le opere di Munch siano inquadrate nell’humus socio-culturale di matrice nordica. In mostra questi intenti si concretizzano in realtà in lunghi pannelli da leggere (preparatevi perché ce ne saranno molti, scritti con il supporto di Costantino D’Orazio) e nell’esposizione di qualche opera del norvegese che raffigura il circolo bohémien di Kristiania (l’attuale Oslo), un gruppo, in cui entra a far parte anche Munch, di intellettuali norvegesi che si batte contro i valori restrittivi della classe media, i pregiudizi di genere e di classe e contro il potere costituito, e nella presenza del ritratto a Stanisław Przybyszewski, scrittore polacco con cui Munch entrò in contatto a Berlino nel circolo letterario del drammaturgo e scrittore svedese Johan August Strindberg. È in questo contesto che Munch si trovò a condividere con altri intellettuali riflessioni attorno a filosofi esistenzialisti come Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, sotto l’influsso di un simbolismo pessimista che imperniava le idee del circolo, nonché idee sui meccanismi dell’inconscio. Sarebbe stato utile, a mio avviso, proporre confronti o documenti scritti per far comprendere più concretamente e in maniera più diretta quel legame tra l’arte di Munch e il contesto culturale di matrice nordica.
Come detto, tutte le opere esposte provengono dal Munchmuseet di Oslo, perciò la mostra milanese è comunque una buona occasione per vedere dal vivo dipinti che non sono custoditi proprio dietro l’angolo e a cui difficilmente potremmo trovarci di fronte in mostre italiane (dall’ultima grande mostra in Italia delle opere della collezione del Munchmuseet sono passati dieci anni, allestita a Palazzo Ducale di Genova, mentre ne sono passati quaranta dalla mostra dedicata all’artista norvegese che si tenne al Palazzo Reale di Milano e a Palazzo Bagatti Valsecchi tra il 1985 e il 1986, per la quale era stata scelta come immagine guida Le ragazze sul ponte, opera che chiude l’attuale esposizione milanese). Anche se, come già anticipato, L’Urlo è presente solo in litografia in bianco e nero, non mancano tuttavia capolavori come l’Autoritratto, Malinconia, Disperazione, Il bacio, Vampiro, La morte di Marat, Autoritratto tra il letto e l’orologio, Notte stellata e Le ragazze sul ponte. E alcune opere sono presentate ripetute in diverse versioni e con diverse tecniche per evidenziare come Munch fosse solito nel corso degli anni e della sua produzione a elaborare gli stessi motivi. Ne sono esempi La bambina malata (acquaforte del 1894 e litografia stampata a colori del 1896), Sul letto di morte. La febbre (pastello, 1893) e Lotta contro la morte (olio su tela, 1915), La morte nella stanza della malata (olio su tela del 1893 e litografia del 1896), Bacio vicino alla finestra (olio su tela, 1891) con Il bacio IV (xilografia, 1902) e Il bacio (olio su tela, 1897); e ancora, due litografie della celebre Madonna e sei versioni di Vampiro, dall’olio su tela (1895 e 1916-1918) al pastello (1893) alla tavola di legno (1902).
La lunga e a tratti ripetitiva immersione nell’angoscia, nelle inquietudini, nelle ossessioni e negli incontri con la morte di Munch prende il via nella prima sezione con Malinconia, in cui è raffigurata una donna sola, seduta in un ambiente domestico, la cui espressione rimanda al titolo del quadro, e con il ritratto di Laura Munch, la quarta dei cinque fratelli dell’artista che cominciò a soffrire di disturbi psicologici fin dall’adolescenza contro cui si trovò a combattere per tutta la vita. Il dipinto costituisce tuttavia un esempio della commistione tra elementi che appartengono alla sua formazione accademica ed elementi che suggeriscono un approccio più libero alla pittura, come il ritratto della zia Karen sulla sedia a dondolo: la sorella della madre di Munch, che si trasferì a casa Munch quando Edvard perse la sua mamma all’età di appena cinque anni per tubercolosi e che coltivò e sostenne il suo talento artistico in quanto anche lei artista dilettante, è qui raffigurata in controluce e con pennellate morbide che Munch aveva cominciato a sperimentare sotto la guida di Christian Krohg. Ma soprattutto sono opere in cui si percepisce un approccio emotivo nel raffigurare i soggetti influenzato da una visione interiore e dai ricordi. Sono frutto di ricordi anche le vedute qui mostrate di viale Karl Johan, la strada principale di Kristiania poco distante da dove abitava da bimbo il piccolo Edvard. La prima sezione si chiude con le già citate raffigurazioni del circolo bohémien di Kristiania e con il ritratto di Stanisław Przybyszewski.
La malattia e la morte, esperienze tragiche che segnarono la famiglia e la vita di Munch, sono protagoniste della seconda sezione: l’artista elimina i dettagli superflui e riesce a cogliere l’essenza stessa del dolore e della morte. Nelle opere qui esposte si vedono figure in preda alla disperazione o figure spettrali immerse in atmosfere cupe che mettono di fronte all’osservatore la precarietà della condizione umana e lo fanno immedesimare nel dolore che si prova a vegliare una persona malata, specie se si tratta di una bambina, o nella sensazione di perdita provata di fronte alla morte di una persona. Sono opere che raccontano l’agonia della perdita, in cui il lutto diviene tangibile in una potente immagine pittorica ambientata in una stanza di casa. Ne sono esempi La bambina malata, La morte nella stanza della malata, Lotta contro la morte. Da Chiaro di luna. Notte a Saint-Cloud traspare invece nettamente un forte senso di isolamento. Inquietante il dipinto Visione: una testa senza corpo con gli occhi chiusi spunta dalla superficie dell’acqua, mentre un cigno e altre forme non distinte fluttuano sopra la testa, e ancora non meno inquietante la Bambina in procinto di affogare. A spiccare in questa sezione è tuttavia Disperazione, dove una figura umana vestita di nero è immersa nello stesso paesaggio del famoso Urlo. Segue infatti la litografia di quest’ultimo, accompagnata da un video che ne narra la storia e il furto, e infine due xilografie di Angoscia, in cui una folla di persone dai volti alienati e con gli occhi spalancati cammina verso l’osservatore, esprimendo la solitudine umana presente anche se si è in mezzo a una folla.
La morte continua a essere presente anche nella terza sezione: in un caso è al timone di una barca a vela in mezzo al mare, in un altro caso, sotto forma di teschio, dà un bacio ad una ragazza. Ma anche il bacio d’amore, come pure la sensualità (esposte due litografie della sua sensualissima Madonna), viene visto da Munch nel suo duplice aspetto: come fonte di appagamento, esplicitato in dipinti come Il bacio o Bacio vicino alla finestra, in Coppie che si baciano nel parco o in Attrazione, ma anche nel suo lato oscuro, nella sua forza distruttrice, come in Vampiro. L’artista prova empatia nei confronti di tutte le persone che vengono irretite dalla seduzione e rovinate dalla dissoluzione dell’amore. Particolarmente rilevante è il rapporto con Tulla Larsen, l’unica donna che Edvard Munch abbia preso in considerazione di sposare: la loro relazione iniziò con entusiasmo ma poi si deteriorò poiché lui, convinto di incubare malattie ereditarie e bisognoso di dedicarsi alla sua arte, resisteva sempre di più al desiderio di intimità di Tulla, fino ad arrivare a un traumatico litigio in cui un colpo di pistola mutilò un dito dell’artista. Il loro rapporto ispirò opere che esplorano la relazione conflittuale tra uomo e donna, dove la figura femminile è presentata come seduttrice e l’artista stesso come vittima sacrificale: ne è un chiaro esempio La morte di Marat qui esposta, dove, in una stanza, un uomo nudo giace sul letto con un braccio che pende dal materasso e la mano e il polso appaiono macchiati di color ruggine; la donna è invece in piedi, nuda e immobile come una statua. La scena potrebbe rappresentare una scena erotica, ma in realtà il titolo fa capire che l’uomo è stato assassinato, di fronte alla freddezza della donna. Emblematico è inoltre il dipinto diviso in due con l’autoritratto e il ritratto di Tulla su sfondo verde, a significare la fine della loro relazione.
La mostra poi dedica una sezione a un aspetto poco conosciuto di Munch, ovvero il suo rapporto con l’Italia: la visitò per la prima volta nel 1899 e poi nuovamente nel 1900, 1920, 1922 e nel 1927. Durante i suoi soggiorni in Italia, ebbe occasione di confrontarsi con le tradizioni rinascimentali e fu colpito in particolare da Michelangelo (definì la Cappella Sistina come la “stanza più bella del mondo”) e Raffaello. Dell’urbinate eseguì un ritratto su carta, qui esposto, ma anche opere come Ponte di Rialto, Venezia e La tomba di P.A. Munch a Roma testimoniano il suo amore per l’Italia e per il patrimonio artistico italiano. Munch era inoltre affascinato dalle dottrine che univano materia, energia e spirito, come il monismo, e dalla possibilità che l’universo fosse pervaso da forze invisibili, come le radiazioni solari, l’elettromagnetismo, la telepatia, la crescita cellulare. Opere come Onde, Uomini che fanno il bagno o Uomini nudi in un paesaggio riflettono questo interesse. Per Munch, la natura e il corpo umano erano profondamente interconnessi: la sua visione cosmologica non separa il mondo fisico dalle energie invisibili; questo lo porta a creare un linguaggio visivo in cui la realtà tangibile e l’invisibile si fondono. Tutte le cose materiali, sia viventi che inanimate, erano per lui interconnesse. C’è anche una fotografia che mostra l’artista nudo, di spalle, nella stazione turistica balneare di Warnemünde.
Il sole, Alma mater, La storia e Verso la luce che incontriamo di seguito rimandano invece ai dipinti murali monumentali per la nuova Aula Magna dell’Università Reale di Frederick (l’attuale Università di Oslo): per il centesimo anniversario dell’istituzione venne bandito un concorso per la realizzazione dei dipinti e Munch lavorò sette anni per assicurarsi l’incarico. Progettò undici tele per celebrare la nazione, l’Università e le sue discipline accademiche, con al centro Il sole che simboleggiava sia la missione dello stesso istituto di illuminare con il sapere gli studenti sia l’energia che anima tutte le cose. Tuttavia il comitato incaricato di selezionare il vincitore definì i murali “bozzetti” colorati e non li accettò mai ufficialmente, ma poi vennero acquistati dai sostenitori dell’artista e donati dagli stessi all’Università e quindi installati nel 1916, dopo che altre opere legate al progetto furono esposte in tutta Europa stimolando così un’accoglienza positiva da parte della critica.
Si prosegue nella penultima sezione dove sono riuniti i numerosi autoritratti realizzati da Munch: l’artista si raffigura con una testa di merluzzo sul piatto, all’inferno, davanti al muro di casa o con la sua modella. Attraverso gli autoritratti Munch ha esplorato la sua stessa psiche e il trascorrere del tempo. L’Autoritratto tra il letto e l’orologio è emblematico del suo confronto con la morte e l’invecchiamento. In quest’ultimo infatti l’anziano artista si raffigura in piedi nella sua stanza da letto con le mani che penzolano lungo i fianchi, quelle mani che prima erano attive, con le quali disegnava e dipingeva, ora sono inerti.
Il percorso espositivo si chiude con una sezione che vuole far comprendere come l’arte di Munch abbia influenzato l’arte del XX secolo, anticipando l’Espressionismo e il Futurismo. L’osservatore è infatti propenso a partecipare alle emozioni trasmesse dalle scene raffigurate, come in Sugli scalini della veranda o in Muro di casa al chiaro di luna, dove in entrambi i casi si nota l’ombra di una figura allungata che fa presupporre la presenza dell’artista o di un’altra entità, verso la quale la donna del primo dipinto sta guardando. È comunque un indizio di un’invisibilità tangibile. Un’ombra, questa volta più informe, tanto da creare in chi la osserva una certa inquietudine, è anche nell’Autoritratto all’inferno esposto nella precedente sezione, rimandando tuttavia a quelle forze invisibili di cui si accennava in precedenza. Munch ha utilizzato tecniche innovative e prospettive audaci per rappresentare paesaggi che conducono nella sua personale costruzione dello spazio, che hanno ispirato movimenti d’avanguardia del Novecento. Il suo stile pittorico con pennellate larghe e decise continua a esercitare una forte influenza, segno della sua modernità. Dipinti come Notte stellata e Le ragazze sul ponte sono esemplificativi di questo suo linguaggio visivo innovativo, che trascende i limiti tradizionali della rappresentazione per esplorare l’intimità e le emozioni dell’animo umano.
Nulla di esaltante comunque per il ritorno di Munch a Milano, se non l’aver portato in Italia opere che altrimenti si vedrebbero in Norvegia. Delusione per aver trovato esposti capolavori come L’Urlo e Madonna solo in forma di litografia e, a mio parere, al di là degli intenti, mi sembra che ci si sia troppo concentrati sulle angosce di Munch, che sono fondamentali per la sua arte, ma che come dichiarato negli intenti vanno ben oltre la sua biografia poiché influenzate dalla filosofia dell’epoca e dalla psicologia di Freud che pone in primo piano l’inconscio. Questi aspetti, questa “visione articolata”, a cui si accennava, in mostra non viene ben percepita. Interessante la sezione di Munch in Italia, che purtroppo risulta poco approfondita.
Il catalogo, in cui non sono riportati i lunghi pannelli in mostra, include tre saggi: il primo dedicato al rapporto di Munch con l’Italia, il secondo, scritto dalla curatrice Patricia G. Berman, dedicato alla percezione visiva e alla visione interiore, all’occhio interiore come soggetto, quindi la dimensione soggettiva della pittura di Munch, mentre il terzo saggio esplora il rapporto tra l’evoluzione artistica di Munch e i contemporanei sviluppi delle scienze percettive. Vi sono poi due contributi delle scrittrici Melania Mazzucco e Hanne Ørstavik: Io sono un romantico e Chi sono io, che si rapportano con opere esposte in mostra. Aspettative disattese per una delle mostre più attese dell’anno.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.