Il primato spetta a Julius von Schlosser, pioniere illustre della scuola viennese di storia dell’arte: fu lui il primo a interessarsi, e a farlo con una misura sistematica, dei cofanetti istoriati prodotti nel Quattrocento dalla bottega degli Embriachi, prolifico atelier impiantato a Venezia sul finire del secolo precedente da un fiorentino, Baldassarre Ubriachi, che a dispetto del nome fu lucidissimo nel promuovere la sua attività rispondendo con costante solerzia a una moda che lui stesso aveva contribuito a diffondere, e lavorando affinché la sua bottega gli sopravvivesse. Schlosser partì dagli esemplari conservati nelle collezioni imperiali d’Austria per avviare una ricerca che si proponeva anche il fine di classificare i cofanetti (li suddivise in cinque classi) e che avrebbe posto le basi per l’interesse moderno nei riguardi di questi singolari oggetti di “arte industriale”, si diceva a fine Ottocento (“arti applicate”, e più nello specifico “arti decorative” diciamo invece oggi), realizzati per lo più con la tecnica della pastiglia, una mistura di gesso, colla e polvere di marmo con cui si modellavano figure, spesso utilizzando matrici di metallo, che venivano poi montate direttamente sulla foglia oro che faceva da fondo. Un interesse forse non costante, ma ch’è stato comunque tenuto in vita dai buoni uffici dei collezionisti che hanno raccolto i cofanetti (c’è chi ne ha radunati a decine) e degli studiosi che li hanno esaminati con sempre maggior cura, da Walter Leo Hildburg a Patrick De Winter, che esattamente quarant’anni fa pubblicava uno studio in cui riaccendeva l’attenzione per A little known creation of Renaissance decorative arts: the white pastiglia box, passando per Claudio Bertolotto, autore, quattro anni fa, d’una ponderosa monografia sul tema, fino a giungere a Pietro Di Natale che ha curato quest’anno, a Palazzo dei Diamanti, la prima rassegna completa che sia mai stata dedicata a questo genere d’oggetti.
S’intitola Mirabilia Estensi. Wunderkammer, è possibile visitarla sino al 21 luglio e riunisce, nelle due sale espositive dell’Ala Benvenuto Tisi di Palazzo dei Diamanti, un discreto numero di cofanetti di pastiglia (una trentina abbondante) che descrivono con precisione la diffusione di questa moda nell’Italia settentrionale del Quattrocento, e segnatamente il ruolo rivestito dalle botteghe ferraresi, in grado d’elaborare forme, modelli, stili capaci d’infiammare la passione per l’antico (ché i temi con cui i cofanetti venivano decorati eran quasi sempre tratti dalla storia e dai miti dell’antichità) dei ricchi collezionisti che li chiedevano, per se stessi oppure, com’era tipico, per farne doni nuziali. Non è frequente trovare rassegne dedicate a questi oggetti, e quelle che sono state organizzate in passato hanno avuto un taglio per lo più verticale: o erano centrate su cofanetti provenienti da singole collezioni, o si focalizzavano sui prodotti di un’unica bottega (e sempre la stessa, quella degli Embriachi). La mostra di Ferrara fornisce pertanto un’occasione rara non solo per apprezzare oggetti difficili da ammirare (certo, ci sono musei che ne hanno in raccolta, come il Museo di Palazzo Venezia a Roma, sebbene i più stiano in raccolte private e i collezionisti li custodiscano come reliquie), ma anche per vedere, tutti assieme, gli oggetti realizzati da botteghe diverse. Alle pareti, tutte attorno, le fotografie che Massimo Listri ha scattato a una serie di Wunderkammer in giro per l’Europa: un po’ perché non era raro che oggetti come questi, o contenitori simili, una volta perso il loro utilizzo pratico (potevano essere portagioie, oppure scatole per contenere lettere e rosarî, o ancora strumenti per la cura della persona, come specchietti, pettini e via dicendo, e non di rado venivano profumati all’essenza di muschio), diventassero meraviglie da esporre nei cabinet of curiosities, e un po’ perché a metà del secolo XV la produzione dei cofanetti, specie ferraresi, venne in certa misura incentivata e alimentata da un collezionismo curioso, versatile e spesso anche vorace, che non disdegnava le arti applicate accanto ai prodotti della mano dei grandi maestri, o alle rarità del mondo naturale.
Il percorso s’apre con un cofanetto della Bottega degli Embriachi di proprietà della Fondazione Cavallini Sgarbi: è decorato sui lati con figure colte nell’atto di conversare tra loro, sullo sfondo di alberelli stilizzati che sono una sorta di marchio di fabbrica degli Embriachi, esattamente come le decorazioni geometriche del coperchio, con motivi a scacchiere di losanghe, più o meno elaborate. Sui lati, i personaggi che reggono gli scudi dimostrano che l’oggetto doveva essere un regalo per un matrimonio: gli scudi recavano gli stemmi degli sposi. Questo modello, con la cassa rettangolare ricoperta di placchette d’osso (materiale che andò a sostituire l’avorio in un’epoca in cui il prezioso ricavato delle zanne d’elefante diventò sempre meno reperibile sul mercato), sulle quali gli artigiani intagliavano le loro figure, e il coperchio che aveva la forma d’un tetto a spioventi, sarebbe stato poi imitato da altre botteghe che, sulla scorta del successo dei cofanetti, avrebbero fatto concorrenza agli Embriachi. Risale per esempio al primo trentennio del Quattrocento un altro cofanetto Cavallini Sgarbi, più piccolo di quello che apre la mostra, e che presenta motivi simili a quelli degli Embriachi: il più elevato grado di stilizzazione degli alberelli e la conduzione un poco meno elaborata delle figure lascia tuttavia ipotizzare l’esecuzione d’una bottega che emulava i cofanetti dei loro competitor.
La vetrina a fianco espone invece un nutrito nucleo di cofanetti interamente decorati con motivi geometrici, tipicamente intrecci: uno di questi, conservato a Ferrara nella Palazzina Marfisa d’Este, mostra una raffinata lavorazione alla certosina (un complicato intarsio di legno che si otteneva inserendo elementi decorativi di legno o anche di altri materiali, precedentemente sagomati, all’interno di una base anch’essa lavorata affinché gli inserti combaciassero perfettamente: si capisce perché ancor oggi l’aggettivo “certosino” indica un lavoro che richiede cura e pazienza), ed è improntata, scrive nel catalogo della mostra Francesco Traversi, “su moduli matematici, svelando una sapienza filosofica nella capacità di intrecciare i motivi della scacchiera, degli arabeschi e della croce cristiana”.
Ben più nutrito tuttavia è il gruppo di cofanetti decorati con motivi tratti dalla storia antica, che in mostra è aperto da un pezzo eccezionale, attribuito alla “Bottega di Andrea Mantegna” già da De Winter in ragione del fatto che i trionfi romani che ornano questa singolare scatoletta di forma cilindrica, l’unica in mostra, ricordano i Trionfi mantegneschi, tanto che lo stesso De Winter ha ipotizzato un qualche coinvolgimento di Mantegna nel disegno della decorazione. Splendido oggetto in legno, pastiglia e foglia oro, presenta una decorazione continua che sogna parate della Roma antica, aprendo in mostra lo spazio a una rêverie che era evidentemente comune a tanti collezionisti del tempo, oltre che a tanti artisti, Mantegna per primo. Ecco allora il cofanetto del Museo di Palazzo Schifanoia, con sulla facciata la rappresentazione della leggenda di Marco Curzio, l’eroe romano che si gettò col suo cavallo in una voragine sacrificando se stesso per salvare Roma, e che torna spesso nei cofanetti del tempo: lo troviamo per esempio, assieme a Muzio Scevola, nel cofanetto prodotto dalla Bottega di Amor-Ecouen, che su uno dei lati corti reca la figura d’un edificio decorato sulle pareti esterne con un bugnato in cui Traversi ha voluto riconoscere quello di Palazzo dei Diamanti (“attestando ancora una volta la pertinenza della produzione al contesto ferrarese”). Ecco i sontuosi, affollatissimi e pomposi cofanetti della Bottega dei Trionfi Romani, tra scene storiche (suicidî di Lucrezia, giustizie di Traiano e via dicendo) e mitologici (come Orfeo che ammansisce gli animali), senza tralasciare anche elaborate decorazioni a motivi fitomorfi, come quella che orna tutta la cassa del “Cofanetto delle maschere”, uno degli esemplari più interessanti dell’intera rassegna. Ecco le creazioni più sobrie ma non meno meravigliose della Bottega dei Temi morali e amorosi, che spesso attinge dal mito: un cofanetto ci conduce in un mondo acquatico dove caravelle procedono sul mare, tema invero piuttosto ricorrente nella produzione ferrarese in quanto desunto da opere visibili in città (come gli Argonauti di Lorenzo Costa) e alcune figure femminili fanno festa su piccole imbarcazioni.
Non di rado, i cofanetti mescolavano temi di natura diversa: per esempio, uno dei prodotti della Bottega dei Temi morali e amorosi (da non escludere, va specificato, che i prodotti di questo atelier possano essere in realtà una nuova “linea” della Bottega dei Trionfi Romani) mostra su di un lato il mitologico racconto di Piramo e Tisbe, e sull’altro la vicenda biblica di Susanna e i Vecchioni. La rappresentazione di questi episodî, osserva Traversi, aveva l’intento di “elevare – per i suoi valori morali e la cultura per l’antico – la rispettabilità del suo possessore”, altro motivo per il quale i cofanetti istoriati in pastiglia ebbero un vasto successo nell’Italia del Quattrocento. Spicca poi per la sua particolarità, verso la chiusura del percorso, il singolare pezzo della Bottega del cofanetto di Cleveland dove le scene (la decapitazione del figlio di Manlio Torquato, gli Orazi e i Curiazi, e parate di guerrieri e figure in trono), oltre a essere risolte sullo sfondo di boschetti in cui gli alberi sono messi ordinatamente in riga e ben distanziati, sono anche inquadrate entro cornici architettoniche ben più elaborate rispetto a quelle delle produzioni precedenti. A chiudere il percorso è un altro pezzo senza paragoni in mostra, un cofanetto circolare decorato sulla cassa con elementi a forma di stelle e fiori, e sul coperchio con un’arpia e due ittiocapri: la particolarità più evidente di questo pezzo, attribuito a maestranze della Bottega dei Temi morali e amorosi (con occhio però verso la Bottega del cofanetto di Cleveland), al di là dell’eccezionalità della decorazione, è data dalla singolarità della forma e dalla curiosa circostanza per cui il coperchio è di poco meno alto, e sicuramente più decorato, rispetto alla cassa.
È interessante rilevare che gran parte della produzione dei cofanetti istoriati in pastiglia è da riferire all’epoca del governo di Borso d’Este su Ferrara, tanto che la città sarebbe diventata uno dei maggiori, se non il maggiore in assoluto, tra i centri di produzione di questi oggetti, con un’attività destinata a perdurare a lungo, fino al Cinquecento inoltrato. Lo si deve soprattutto al peculiare interesse che gli Este nutrirono nei riguardi di questi oggetti, un interesse che probabilmente non ebbe eguali presso altre corti del tempo. Ed è curioso notare che sempre da Ferrara, si può dire, si sviluppò una passione duratura che aveva a che fare con le forme che il collezionismo d’arte assunse a partire dal secolo XVI.
Gli Este coltivavano una forte passione per questi oggetti: a metà del Quattrocento era attivo a corte il bretone Giovanni Carlo da Monleone, maestro della decorazione a pastiglia, ed è attestato che anche artisti come Cosmè Tura e Giovanni d’Alemagna si dedicarono alla dipintura di cofanetti. Questo interesse venne poi esportato a Mantova, quando Isabella d’Este, figlia di Ercole I e di Eleonora d’Aragona, nel 1490 sposò Francesco II Gonzaga: nella collezione della marchesa figuravano, scrive Pietro Di Natale, “cofanetti e cassette d’argento, di cristallo, d’ebano, d’avorio, di legno intarsiato”, il tutto riunito “nella Corte Vecchia del Palazzo Ducale, nello Studiolo, impreziosito dai dipinti di Mantegna, Perugino, Lorenzo Costa e Correggio, e soprattutto nella Grotta, dove le rarità artistiche e naturali erano esposte sia all’interno di armadi sia allineate sulle cornici”. Su questi armadî si potevano ammirare quelle curiosità da Wunderkammer che accompagnano, sulle pareti delle sale di Palazzo dei Diamanti, il racconto della mostra. E gli stessi cofanetti, come anticipato, diventavano oggetti da esibire. Proprio “il carattere eclettico della vasta raccolta isabelliana e la mescolanza delle opere […] nella Grotta”, aggiunge Di Natale, “saranno elementi distintivi di quel tipo di collezione principesca, diffusosi nella Mitteleuropa già nel primo Cinquecento, denominata Wunderkammer, perché formata essenzialmente da pezzi selezionati e raggruppati con l’intento di meravigliare chi aveva la fortuna di ammirarli”. I cofanetti istoriati sarebbero poi diventati “significativi tasselli di questi ‘spazî’ fisici e simbolici”. Da Ferrara per arrivare alle raccolte dei più raffinati collezionisti interessati a cacciare le rarità più preziose e singolari. Ancora al giorno d’oggi.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).