di
Ilaria Baratta
, scritto il 30/04/2019
Categorie: Recensioni mostre / Argomenti: Ottocento - Neoclassicismo - Milano - Francia
Recensione della mostra “Jean-Auguste-Dominique Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone” a Milano, Palazzo Reale, dal 12 marzo al 23 giugno 2019.
Si presenta con una spinta innovativa, fin dalla sua prima sala, l’esposizione dedicata a Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban, 1780 – Parigi, 1867), allestita a Milano, a Palazzo Reale, e visitabile fino al 23 giugno 2019. Intenzione della mostra, come dichiarato nel catalogo della stessa e nel primo pannello esplicativo del percorso espositivo, è “rendere alla pittura e alla scultura degli anni 1780 – 1820 la sua forza innovativa, e volendo osare il suo romanticismo precursore” e presentare per la prima volta al pubblico italiano la produzione artistica di Ingres, artista tra i maggiori esponenti della pittura neoclassica, “superando definitivamente una visione corrente e peggiorativa del Neoclassicismo”. Considerato un periodo caratterizzato da un banale e freddo ritorno all’antico, in cui vengono esaltati la purezza formale dei capolavori scultorei e l’eroismo civico o privato in particolare nei dipinti, fu Mario Praz con la pubblicazione del suo Gusto neoclassico, nel 1940, a gettare le basi di una riabilitazione delle propagazioni di quel movimento, fino a quel momento oggetto di discredito. Una nuova visione perseguita nel corso degli anni Sessanta dai primi testi di Hugh Honour e Robert Rosenblum e da due significative esposizioni che si tennero nel 1972 e nel 1974, a Londra, Parigi e New York, dal titolo The Age of Neoclassicism e De David à Delacroix. In un interessante contributo del catalogo della rassegna milanese, che consiste in un’approfondita intervista di Stéphane Guégan, curatore dell’esposizione, a Philippe Bordes, uno dei maggiori studiosi di Jacques-Louis David (Parigi, 1748 – Bruxelles, 1825), neoclassicista e maestro di Ingres, si asserisce che “Praz rifiutò sempre ogni riduzione razionalistica e puritana del movimento di cui, al contrario, osservò sfaccettature e sensibilità differenti”, ricordando come si era diffusa la visione secondo cui il movimento del Neoclassicismo, con David e i suoi contemporanei, avesse generato “il peggiore accademismo, una pittura fredda, pedante, separata dalla vita e dalla creatività, soffocata da una virtuosa mania per l’antico”. In realtà questo ritorno all’antico si delinea non come una mera imitazione, ma come una scossa rinnovatrice, che rifiuta la pittura rococò considerata non veritiera e che assume a protagonista assoluto la figura di Napoleone Bonaparte come nuovo Augusto o Cesare. Si parla infatti della “modernità paradossale del neoclassicismo”, poiché gli insegnamenti del passato si legano a un’estetica contemporanea costituita dalle guerre moderne e dal ritratto democratico. In questo senso la mostra Jean-Auguste-Dominique Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone intende sottolineare per la prima volta in Italia la “doppia ispirazione di un’epoca critica”, quella compresa tra il 1780 e il 1820: un’epoca segnata dalla grande potenza napoleonica, in cui la città di Milano diviene una delle capitali più attive dell’Europa francesizzata, e dalla contrapposizione-mescolanza tra l’esaltazione della virilità e le pulsioni oscure e malinconiche.
La passione per l’antico si sviluppa quindi in un nuovo approccio verso la natura umana, verso il corpo e l’anima, esemplificato nella predominanza del nudo maschile, simbolo di virilità e di rinascita dei tempi e dell’azione positiva, e nell’esplorazione della psiche e dell’eros.
Le due tendenze, che confluiscono nel capolavoro di David divenuto tela-manifesto del Neoclassicismo, il Giuramento degli Orazi, del 1785 (qui in mostra l’acquerello anonimo e inedito proveniente dal fondo documentario di Ingres e oggi custodito a Montauban), sono ben raccontate nelle prime due sezioni della mostra milanese: della prima fanno parte il Nudo maschile detto Patroclo di David, un nudo eroico realizzato nel 1780 in cui si nota la plasticità dei muscoli tesi e la capigliatura mossa dal vento, e il Torso maschile raffigurato da Ingres, grazie al quale ottiene nel 1801 il Prix du torse, riconoscimento che, oltre a offrire al vincitore una somma di denaro, permetteva di accedere agli esami del Prix de Rome, premio che l’artista otterrà poco tempo dopo nello stesso anno. Della seconda fanno parte invece opere che richiamano la malinconia e l’onirismo, come la Malinconia di Constance Charpentier (Parigi, 1767 – 1849), allieva di David, che ricorda il gruppo di donne del Giuramento degli Orazi e che cala il corpo candido di una ragazza infelice in un tipico paesaggio malinconico formato da un salice piangente, un corso d’acqua e un boschetto; il Sonno di Endimione, realizzato nel 1791 da un’altra allieva di David, Anne-Louis Girodet (Montargis, 1767 – Parigi, 1824): il pastore Endimione, condannato eternamente a un sonno profondo per aver corteggiato Giunone, viene osservato in estasi amorosa al calar della notte da Diana, dea innamorata della perfezione del suo aspetto. E il celebre capolavoro monumentale di Ingres, Il sogno di Ossian, commissionatogli nel 1811 per il soffitto della camera da letto di Napoleone al Palazzo del Quirinale: il dipinto è ispirato ai Canti di Ossian del poeta scozzese James Macpherson (Ruthven, 1736 – Belville, 1796) e raffigura in una scena notturna il poeta Ossian circondato dai suoi sogni più terribili, quali gli eroi morti in battaglia e i loro figli che gli appaiono, mentre il cane osserva la schiera di defunti e sta per abbaiare. L’opera è perciò costruita sulla compresenza di vivi e morti, di sogno e realtà. Sia il tema della malinconia che quello del sogno presentato da questi ultimi capolavori realizzati da allievi di Jacques-Louis David sono da considerarsi come anticipatori del successivo movimento romantico.
|
Anonimo, Il giuramento degli Orazi, da Jacques-Louis David (s.d.; acquerello, 40,8 x 53,7 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
|
Jacques-Louis David, Nudo maschile detto Patroclo (1780; olio su tela, 121,5 x 170,5 cm; Cherbourg-en-Cotentin, Musée Thomas Henry)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Torso maschile (1801; olio su tela, 102 x 80 cm; Parigi, Beaux-Arts de Paris)
|
|
Constance-Marie Charpentier, La malinconia (1801; olio su tela, 130 x 165 cm; Amiens, Musée de Picardie)
|
|
Anne-Louis Girodet, Il sonno di Endimione (1791; olio su tela, 90 x 117,5 cm; Montargis, Musée Girodet)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Il sogno di Ossian (1813; olio su tela, 348 x 275 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
Tuttavia, grande protagonista di quest’epoca fu Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 1769 – Isola di Sant’Elena, 1821) che venne ritratto dai più celebri artisti del tempo, a cominciare da David: suo è infatti il dipinto Napoleone attraversa il passo del Gran San Bernardo del 1803, rappresentato con un ampio mantello svolazzante mentre cavalca un cavallo bianco rampante; un’immagine che rimanda alla fierezza del grande condottiero.
A testimonianza della mole di ritratti di Napoleone, l’esposizione milanese mostra una carrellata di questi, oltre a varî episodi della felice campagna che il generale compì in Italia. Dopo una tempestiva campagna militare iniziata il 12 aprile 1796 attraversando il passo di Cadibona, l’armata francese guidata dal giovane Napoleone entrò a Milano il 15 maggio dello stesso anno, dopo aver conquistato la Liguria e il Piemonte. E proprio la città lombarda divenne capitale delle arti, conoscendo un momento di grande prosperità: si realizzarono significative ristrutturazioni di monumenti e di spazi verdi e a tutto questo parteciparono numerosi artisti italiani, accrescendo sempre più l’ondata culturale in corso. Sarà inoltre a Milano, nel Duomo, che Napoleone verrà incoronato Re d’Italia il 26 maggio 1805, dando il via a molte trasformazioni culturali e sociali con l’obiettivo di “francesizzare l’Italia” e di porla in dialogo con le più moderne tendenze europee. Tra le opere che celebrano Bonaparte e le sue campagne sono in mostra il disegno a matita eseguito da Andrea Appiani (Milano, 1754 – 1817) nel 1801 e conservato all’Accademia di Brera che raffigura Napoleone con il volto girato verso la destra dell’osservatore e i capelli che gli incorniciano il volto (Appiani lo aveva già ritratto nel 1796, quando il giorno successivo all’entrata nella città di Milano il generale Hyacinthe-François-Joseph Despinoy aveva ordinato all’artista un ritratto del condottiero e da questo dipinto furono tratti altri esemplari che diffusero in Italia e in Francia la fisionomia di Napoleone); e ancora Il generale Bonaparte attraversa le Alpi e l’Attacco al forte di Bard di Nicolas-Antoine Taunay (Parigi, 1755 – 1830) e Jean-Joseph-Xavier Bidault (Carpentras, 1758 – Montmorency, 1846). Grandi capolavori presenti sono il Busto colossale di Napoleone compiuto da Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822) e gli straordinari Fasti di Napoleone, la serie completa di trentacinque incisioni nelle quali sono raffigurati le battaglie e gli episodi più significativi della prima campagna d’Italia: originario ciclo dipinto su tela per la sala delle Cariatidi di Palazzo Reale venne distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, ma le incisioni eseguite con la tecnica dell’acquaforte ritoccata a bulino vennero realizzate sotto la supervisione di Appiani da Giuseppe Longhi, professore della scuola d’incisione dell’Accademia di Brera, e dai suoi allievi Francesco e Giuseppe Rosaspina, Michele Bisi e Giuseppe Benaglia, tra il 1807 e il 1816.
Altra straordinaria testimonianza di quell’epoca, di una raffinatezza unica, sono le quindici miniature che riproducono la collezione Sommariva ad opera di Adèle Chavassieu d’Haudebert (1788 – 1832 circa) in smalto su rame: queste raffigurano personaggi della mitologia, allegorie e personaggi storici, tra cui anche Napoleone come Ercole Pacificatore (Allegoria della Repubblica Cisalpina). Originario di Lodi, Giovanni Battista Sommariva (Sant’Angelo Lodigiano, 1762 – Milano, 1826) si trova a Milano poco prima dell’ingresso trionfale di Napoleone e riesce a introdursi nella sfera politica cittadina, diventando una figura di spicco; nel frattempo comincia a collezionare opere di grandi artisti a lui contemporanei e anche dopo la fine dell’Impero patrocina questi ultimi, da David a Pierre Paul Prud’hon (Cluny, 1758 – Parigi, 1823), da Canova ad Appiani. Di Prud’hon è il ritratto del collezionista in mostra datato 1814 e custodito alla Pinacoteca di Brera, in cui Sommariva è posto tra le statue canoviane di Palamede e Tersicore, intendendo sottolineare il suo ruolo di maggiore mecenate italiano e la sua amicizia con il celebre scultore.
|
Andrea Appiani, Ritratto di Napoleone (1801; matita nera e gessetto bianco su carta marroncina, 13 x 11 cm; Milano, Accademia di Belle Arti di Brera)
|
|
Nicolas-Antoine Taunay e Jean-Joseph-Xavier Bidauld, Il generale Bonaparte attraversa le Alpi e Attacco al forte di Bard (entrambi 1801; olio su tela, 183 x 120 cm; Milano, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Milano, in deposito al Museo del Risorgimento)
|
|
Antonio Canova, Busto colossale di Napoleone (1804-1809; marmo, 88 x 52 x 42 cm; Milano, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Milano, in deposito a Palazzo Cusani)
|
Con il suo monumentale dipinto Napoleone I sul trono imperiale, Ingres si differenziò da tutti gli altri artisti che avevano ritratto fino ad allora Napoleone: lo raffigurò seduto sul trono simile a un Giove o a un imperatore romano o bizantino; il suo aspetto era paragonabile a una potenza sovrumana, divina, ma con attributi concreti come l’abito di velluto rosso e di ermellino, il capo cinto d’oro, lo scettro con la mano della giustizia, le sfere di avorio del trono, lo schienale di quest’ultimo che forma una sorta di aureola e l’aquila che apre le ali nella trama del tappeto. Una figura potente che intendeva sintetizzare e rinnovare le dinastie precedenti. Tuttavia, il grande dipinto non piacque e scatenò critiche e indignazioni: Champany rinunciò addirittura a presentarlo all’imperatore perché “troppo poco somigliante e la sua esecuzione non è sufficientemente perfezionata”. Fu quindi acquistato dal Corpo Legislativo per decorare il salone di palazzo Borbone e presentato al Salon del 1806. Addirittura, con un gioco di parole, veniva sottolineato il “ritratto malsano di Sua Maestà”, il “mal ingres” dell’incarnato dell’imperatore (l’omofono malingre significa “cagionevole”). Custodita al Louvre dal 1815, l’opera iniziò ad essere rivalutata a partire dal 1832, quando fu trasferita all’Hôtel des Invalides, anche se venne poco notata. Nella sala della mostra di Palazzo Reale, il Napoleone I sul trono imperiale campeggia illuminato, dando ai visitatori una sensazione di potenza e dominio; la monumentale tela è accompagnata da alcuni disegni preparatori conservati nel Musée Ingres di Montauban, che si concentrano in particolare sulla veste dell’incoronazione e sulla mano della giustizia.
Si apre a partire dalla sezione successiva un excursus sulla produzione artistica di Ingres, dalla sua formazione ai temi e soggetti favoriti, che testimonia l’italianità manifesta dell’artista e il suo ruolo dominante nell’arte prima, durante e dopo l’Impero.
Il giovane artista di Montauban, il cui aspetto doveva essere molto simile all’Autoritratto realizzato da Julie Forestier nel 1807, qui in mostra (si tratta di una delle prime copie su modello dell’autoritratto eseguito dall’artista conservato a Chantilly ad opera della fidanzata di Ingres, anche lei pittrice), deve l’inizio della sua formazione al padre, Jean-Marie-Joseph Ingres, artista anch’egli. Sarà lui che vedrà il grande talento del figlio, ancora un ragazzino, e che gli farà lasciare la sua città natale per frequentare l’Académie Royale di pittura, scultura e architettura di Tolosa. La gratitudine del figlio si concretizza nel ritratto che l’artista compie di suo padre nel 1804, nell’occasione di una visita di quest’ultimo a Parigi e anno della consacrazione di Napoleone: per questo ritratto Ingres s’ispira alla tradizione fiamminga, mettendo in luce l’eleganza e la raffinatezza dell’uomo e non lasciando trasparire la reale visione che di lui aveva come marito e come padre. Egli infatti fu un marito infedele che abbandonò la moglie e le sorelline di Ingres senza aiuti economici. Tuttavia, di questo infelice aspetto non ha lasciato traccia nel ritratto in questione, anzi lo ha raffigurato piacevole e più giovane rispetto alla realtà.
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Napoleone I sul trono imperiale (1806; olio su tela, 263 x 163 cm; Parigi, Hôtel national des Invalides, Musée de l’Armée)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Oggetti per l’incoronazione (s.d.; grafite su carta, 12,1 x 8,8 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
|
Julie Forestier, Autoritratto di Ingres, da Jean-Auguste-Dominique Ingres (1807; olio su tela, 65 x 53 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Ritratto di Jean-Marie-Joseph Ingres (1804; olio su tela, 55 x 47 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
Come già affermato, negli anni successivi sarà David ad occuparsi della formazione del talentuoso artista, accogliendolo nel proprio studio parigino e facendogli riprodurre come esercizio alcuni dei suoi capolavori più celebri, come il Giuramento degli Orazi (è esposto in mostra l’inedito acquerello proveniente dalla collezione Ingres conservato a Montauban). Nello studio di David, Ingres conosce lo scultore italiano Lorenzo Bartolini (Savignano, 1777 – Firenze, 1850), che ritrae in un dipinto del 1805, nel quale è palese l’influenza della pittura italiana rinascimentale, per la quale prova un particolare fascino. Il suo amore per l’Italia lo condurrà a un viaggio lungo la penisola nel 1806, di cui si ha testimonianza attraverso una serie di quasi quattrocento disegni realizzati soprattutto a Milano e a Roma. Sarà durante il suo primo soggiorno romano che avrà la possibilità di ammirare dal vivo le opere di Raffaello (Urbino, 1483 – Roma, 1520) e del Quattrocento italiano, capolavori che avranno un’influenza determinante sul suo stile. Inoltre in Italia sposerà nel 1813 la giovane modista Madeleine Chapelle. Un periodo fortunato per l’artista, che sfrutta la sua grande abilità nel ritratto disegnato, eseguendo, nonostante la poca considerazione che aveva di questo genere, molti ritratti di esponenti della borghesia francese e inglese che risiedevano a Roma.
Altra personalità di spicco che ebbe influenza su Ingres è Gioacchino Murat, nominato nel 1808 re di Napoli da Napoleone. A Murat l’artista vende la raffigurazione di una “donna sdraiata”, nota con il nome di Dormiente di Napoli, destinata ai piccoli appartamenti di Palazzo Reale. L’opera originale andrà dispersa dopo la caduta dei Murat, ma sono esposti nella rassegna milanese un disegno preparatorio e una versione conservata a Londra, al Victoria & Albert Museum. Con l’intenzione di commissionare un pendant di quella donna sdraiata, la regina Carolina Murat, moglie di Gioacchino e sorella più giovane di Napoleone, incarica nel 1814 Ingres di realizzare un’Odalisca dipinta di schiena, oltre ai ritratti dei due coniugi Murat e dei loro bambini. L’odalisca richiesta altri non è che il celebre capolavoro dell’artista, la Grande Odalisca, e grazie a una lettera scritta dallo stesso Ingres si apprende che modella per quel dipinto era “una giovanetta di dieci anni” di Roma: lo studioso Dimitri Salmon propone d’identificarla con Atala Stamaty, romana nata l’11 agosto 1803, che all’epoca della realizzazione della Grande Odalisca aveva proprio dieci anni. Fortunatamente Ingres, dopo la caduta dei Murat, riesce a recuperare il celebre capolavoro, che dopo varie acquisizioni verrà acquistato nel 1899 dai musei nazionali per essere esposto al Louvre. Sebbene l’artista abbia avuto una certa predilezione per i nudi, non aveva la stessa simpatia per la scienza anatomica: nella Grande Odalisca si nota infatti un numero più elevato di vertebre rispetto alla realtà che causano un allungamento innaturale della schiena della figura femminile rappresentata; inoltre risultano inveritiere la torsione del collo e la forma del seno che spunta sotto l’ascella. Ciononostante, la Grande Odalisca è una delle figure più sensuali della storia dell’arte e i visitatori dell’esposizione ne rimarranno ammaliati (è presente però nella versione a grisaille del Metropolitan di New York).
Il nudo femminile si ritroverà nell’ultima sezione della mostra, dove sono visibili studi per la Venere Anadiomene relativi alle diverse parti del corpo, e nello studio per il famoso Bagno turco che presenta una sensuale donna con tre braccia. Oltre a questo soggetto, la rassegna si conclude con la presentazione di un particolare genere, definito troubadour, che si diffonde in Francia dopo la caduta dell’Impero grazie all’imperatrice Joséphine, la moglie di Napoleone, e a Carolina Murat. Ingres si dedica per una decina d’anni a questo rinnovato genere storico che porta sulla tela un nuovo modo di rappresentare il passato nazionale ispirandosi a temi del Medioevo e dei secoli XVI e XVII. Soggetti di questi dipinti sono pittori e poeti del passato e uomini illustri, in particolare sovrani protettori delle arti. Appartiene ai primi la serie di dipinti ispirati alla vita di Raffaello, artista che rappresenterà per Ingres un vero “idolo” (addirittura, in occasione della traslazione delle spoglie del pittore al Pantheon, nel 1833, chiederà al papa qualche frammento di ossa da inserire in un reliquiario). Sono qui esposte la versione di Raffaello e la Fornarina proveniente dall’Ohio, nonché studi preparatori per diverse versioni di questo soggetto, e la copia dell’Autoritratto dell’artista urbinate degli Uffizi risalente al 1823 conservata al Musée Ingres di Montauban. Il dipinto Gesù consegna le chiavi a san Pietro e l’ampia quantità di disegni preparatori di quest’ultimo rendono noto il significativo lavoro di ricerca che Ingres compì sull’arte di Raffaello, esaminando anche alcune incisioni con dettagli di personaggi di uno dei cartoni per gli arazzi realizzati dall’urbinate per la Cappella Sistina. In particolare Ingres si concentra sui drappeggi e sui volti degli apostoli.
Più inerenti a temi storici sono L’Aretino e il messaggero di Carlo V e La morte di Leonardo da Vinci: il primo raffigura l’episodio in cui Carlo V, di ritorno da Tunisi, invia una catena d’oro all’Aretino e quest’ultimo esprime il suo disprezzo affermando che si tratta di un misero regalo; il secondo, commissionato dal conte de Blacas, ambasciatore alla Santa Sede che intende portare avanti una politica di aiuto per gli artisti rimasti a Roma dopo la caduta dell’Impero, raffigura l’artista vinciano mentre muore tra le braccia di Francesco I. Per la fisionomia del sovrano francese protettore delle arti e delle lettere, Ingres s’ispira al ritratto che ne fece Tiziano (Pieve di Cadore, 1488/90 – Venezia, 1576), simile nel volto e negli abiti.
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Ritratto di Lorenzo Bartolini (1805; olio su tela, 98 x 80 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Grande odalisca, versione a grisaille (1830 circa; olio su tela, 83,2 x 109,2 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Studio per la Dormiente di Napoli (s.d.; grafite su due carte, 14 x 26,4 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Studio per la Venere Anadiomene (1808 circa; matita e biacca su carta vegetale, 47 x 24 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Donna con tre braccia, studio per il Bagno turco (1816-1859; olio su carta, 24,9 x 25,9 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Raffaello e la Fornarina (1814; olio su tela, 64,77 x 53,34 cm; Cambridge, Massachussets, Fogg Art Museum)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Copia dell’autoritratto di Raffaello (1820-1824; olio su tela, 43 x 34 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Gesù consegna le chiavi a san Pietro (1818-1820; olio su tela, 280 x 217 cm; Montauban, Musée Ingres)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, La morte di Leonardo da Vinci (1818; olio su tela, 40 x 50,5 cm; Parigi, Petit Palais Musée des Beaux-Arts de la Ville de Paris)
|
|
Jean-Auguste-Dominique Ingres, L’Aretino e il messaggero di Carlo V (1815; olio su tela, 41,5 x 32,5 cm; Lione, Musée des Beaux-Arts)
|
Due sono quindi gli obiettivi principali di questa mostra: far comprendere al pubblico come in realtà il Neoclassicismo abbia un duplice aspetto e non si esaurisca alla mera purezza formale e presentare un artista la cui produzione è stata strettamente legata all’epoca napoleonica, prima e durante il suo avvento e dopo la sua caduta. Un artista che deve il suo successo in larga parte all’influenza dell’arte italiana, compiendo anch’egli la sua campagna d’Italia per ottenere un ruolo artistico di primo piano in Francia. Tutto ciò in un’esposizione ben articolata, che dà spazio a confronti con altri artisti dello stesso contesto.
Notevoli anche i contributi del relativo catalogo che trattano dell’influenza artistica di David sui suoi allievi e sulla nuova interpretazione del movimento neoclassico e della creazione di una nuova iconografia dell’impero con i ritratti di Napoleone. Nonostante manchino le schede delle opere in mostra, sono stati scritti piccoli ma accurati approfondimenti che seguono il percorso espositivo nelle sue differenti sezioni. Nella sua totalità, la mostra contribuisce all’analisi di una determinata epoca segnata da un legame diretto tra Francia e Italia.
Se ti è piaciuto questo articolo abbonati a Finestre sull'Arte.
al prezzo di 12,00 euro all'anno avrai accesso illimitato agli articoli pubblicati sul sito di Finestre sull'Arte e ci aiuterai a crescere e
a
mantenere la nostra informazione libera e indipendente.
ABBONATI
A
FINESTRE SULL'ARTE
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.