Giovanni Fattori, la mostra di Torino, tra soldati e paesaggi maremmani


Recensione della mostra “Fattori. Capolavori e aperture sul '900”, a Torino, GAM, dal 14 ottobre 2021 al 20 marzo 2022.

La fama di Giovanni Fattori (Livorno, 1825 - Firenze, 1908), artista livornese dal carattere ruvido tipico della Maremma toscana, è perlopiù legata a quelle opere che raccontano la vita agreste, il mondo contadino dei butteri con i loro immancabili buoi bianchi dalle grandi corna, affaticati sotto il caldo sole estivo mentre trainano pesanti carri. Sarebbe tuttavia troppo riduttivo associare Fattori alla sola rappresentazione del paesaggio toscano: la sua arte infatti è specchio della storia e dei temi della sua epoca, l’Ottocento, che ruota attorno alle grandi battaglie risorgimentali, alla faticosa vita dei soldati e alla non meno dura vita dei campi. Tematiche e situazioni a cui i visitatori si trovano di fronte nella grande mostra alla GAM di Torino dedicata all’artista, dal titolo Fattori. Capolavori e aperture sul ’900, curata da Virginia Bertone (conservatrice capo della GAM) e Silvestra Bietoletti (grande specialista di arte toscana dell’Ottocento) e aperta al pubblico fino al 20 marzo 2022. Intento delle curatrici è proprio quello di ripercorrere cronologicamente le tappe fondamentali della produzione di Fattori, per far comprendere come l’artista abbia spaziato nella sua ricerca tra i punti cruciali della sua epoca, ma anche quello di presentare per la prima volta la sua partecipazione alle importanti esposizioni torinesi tenutesi tra Ottocento e Novecento.

L’intera produzione di Giovanni Fattori è ripercorsa dunque passo a passo nelle sale della GAM attraverso oltre sessanta dipinti di ogni dimensione, dai più piccoli ai monumentali, provenienti dal Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno, dall’Istituto Matteucci di Viareggio, dalla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti di Firenze, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, dalla Pinacoteca di Brera, dal Museo di San Martino di Napoli e da altre sedi museali italiane, come la Fondazione Progetto Marzotto di Trissino o le Raccolte Frugone di Genova, nonché da collezioni private; nella mostra manca la fondamentale Rotonda dei bagni Palmieri a Livorno, non concessa in prestito. Sono comunque presenti importanti dipinti che rendono l’excursus cronologico di notevole qualità; tra questi, è tornato a Torino il dipinto Linea di battaglia, che il pittore presentò all’Esposizione generale italiana che si tenne nella città nel 1884, in occasione della quale venne acquistato per le collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Il catalogo che accompagna la mostra propone quattro saggi scritti dalle due curatrici, da Cristina Acidini e da Fernando Mazzocca che approfondiscono diversi aspetti della biografia dell’artista, quali il rapporto con le Accademie (da allievo e da docente), ricordi di vita e d’arte, la partecipazione alle mostre storiche, e la fortuna di Fattori nel Novecento consacrata da Ugo Ojetti già nel 1911, a tre anni dalla scomparsa dell’artista, da Emilio Cecchi nella rivista Valori Plastici, e da Lionello Venturi. C’è poi una breve antologia critica sull’esperienza di Fattori alle esposizioni storiche di Torino, tra elogi e dissensi che provocarono i suoi quadri; il suo nome ricorre più volte nei cataloghi delle esposizioni dal 1863 al 1907 con oltre cinquanta dipinti che Fattori inviò alle mostre allestite alla Società Promotrice di Belle Arti e alle Esposizioni nazionali. Completamente assenti tuttavia nel catalogo le schede delle opere in mostra.

Sala della mostra Fattori. Capolavori e aperture sul '900. Foto di Alessandro Peirone
Sala della mostra Fattori. Capolavori e aperture sul ’900. Foto di Alessandro Peirone
Sala della mostra Fattori. Capolavori e aperture sul '900. Foto di Alessandro Peirone
Sala della mostra Fattori. Capolavori e aperture sul ’900. Foto di Alessandro Peirone
Sala della mostra Fattori. Capolavori e aperture sul '900. Foto di Alessandro Peirone
Sala della mostra Fattori. Capolavori e aperture sul ’900. Foto di Alessandro Peirone
Sala della mostra Fattori. Capolavori e aperture sul '900. Foto di Alessandro Peirone
Sala della mostra Fattori. Capolavori e aperture sul ’900. Foto di Alessandro Peirone
Sala della mostra Fattori. Capolavori e aperture sul '900. Foto di Alessandro Peirone
Sala della mostra Fattori. Capolavori e aperture sul ’900. Foto di Alessandro Peirone

Il percorso espositivo prende il via con l’Autoritratto del 1854 conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, dove l’artista appare di tre quarti e con sguardo fiero: è considerato uno dei primi dipinti della maturità artistica di Fattori che coniuga la lezione di Giuseppe Bezzuoli alle innovative sperimentazioni dei frequentatori del Caffè Michelangiolo a Firenze. Dopo aver studiato a Livorno sotto la guida del pittore Giuseppe Baldini, che il giovane Fattori avrebbe definito “borioso e vano”, ancora ventenne si trasferì a Firenze per studiare privatamente nella scuola di Bezzuoli, dividendo una soffitta con il conterraneo Costantino Mosti che insieme attrezzarono per le loro esercitazioni nel disegno di figura con “teste di gesso, teschi, corazze e giachi, armi medioevali”. Il pensiero di dover cominciare a studiare lo spaventava poiché i molti artisti che aveva visto a Firenze gli parevano tutti bravi, tanto da avvilirlo e da “ubriacarlo”. Lasciato lo studio del maestro nel 1847, entrò nella Scuola di Prospettiva dell’Accademia di Belle Arti, che frequentava saltuariamente, passando poi l’anno successivo al “corso delle Statue”, in cui viene giudicato “clamoroso, prepotente e maleducato”, diversamente da come lo considerava Bezzuoli, che gli riconosceva un “talento di mestiero”; probabilmente si sentiva a disagio in quell’ambiente accademico e cittadino poiché reagiva bruscamente sia con gli insegnanti che con i compagni. Dopo risultati insoddisfacenti passò nel 1850 alla Scuola di pittura di Bezzuoli, da cui uscì due anni dopo con una preparazione tale da consentirgli una pittura su temi del neoclassicismo attardato, tratti dalla mitologia, e del romanticismo storico. Grazie al maestro, Fattori apprese un disegno che gli garantì una solida sicurezza formale per tutta la sua produzione, sia nella sua pittura di macchia preceduta sempre da disegni meditati sia nelle acqueforti del periodo maturo. Accanto a questa formazione, è da considerare la sua frequentazione al Caffè Michelangiolo, dove ebbe modo di conoscere molti artisti, come Signorini, Cabianca, Banti, Borrani, che lo avvicinarono alla pittura di macchia da loro sostenuta come strumento di rinnovamento pittorico nel segno del vero.

Sono di questo periodo appunto l’Autoritratto del 1854, e vari soggetti militari e storici, come Maria Stuarda al campo di Crookstone (1861), Soldati del ’59, opera in cui si comincia a notare la pittura di macchia, e il monumentale Campo italiano dopo la battaglia di Magenta (presente in mostra con una più ridotta versione del 1862 dal cartone realizzato per il dipinto) con il quale vinse il Concorso Ricasoli bandito dal governo provvisorio toscano nel settembre 1859. Al concorso si iscrisse all’ultimo momento sollecitato dall’amico Nino Costa e presentò due bozzetti: uno rappresentava una delle fasi principali del combattimento, l’altro si concentrava sull’immagine dell’ambulanza; venne scelto il secondo per “la novità dell’impianto compositivo” e per il “conveniente realismo”, anche se la Commissione gli fece fare delle correzioni in quanto il paesaggio, a loro dire, non era perfettamente somigliante a quello di Magenta. Ragion per cui, in fase avanzata del dipinto, nel 1861, si recò con la giovane moglie Settimia Vannucci a osservare in Lombardia quella aperta, vasta e piatta campagna e a prenderne alcuni appunti a matita. Già nella Battaglia di Magenta si riconosce una pittura di battaglie che non voleva essere un’esaltazione patriottica, ma una rappresentazione umana del dolore, della fatica e della morte legati al tema della guerra. Suo intento era proprio, fin dagli anni livornesi, dipingere scene militari che esprimessero la fatica fisica e morale di quei “rozzi e rustici lavoratori, insaccati nelle divise d’ordinanza, calzati con gli scarponi del magazzino militare, bruciati dal sole, resi rudi dalle fatiche”, come Diego Angeli scrisse a commento della III Biennale di Venezia.

Giovanni Fattori, Autoritratto (1854; olio su tela, 59 x 46,6 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Giovanni Fattori, Autoritratto (1854; olio su tela, 59 x 46,6 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Giovanni Fattori Soldati del ’59 (1859 circa; olio su tavola, 18 x 26 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
Giovanni Fattori, Soldati del ’59 (1859 circa; olio su tavola, 18 x 26 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
Giovanni Fattori, Maria Stuarda al campo di Crookstone (1861; olio su tela, 76 x 108 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Giovanni Fattori, Maria Stuarda al campo di Crookstone (1861; olio su tela, 76 x 108 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Giovanni Fattori, Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, versione ridotta (1862; olio su tela, 117 x 175 cm; Collezione privata)
Giovanni Fattori, Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, versione ridotta (1862; olio su tela, 117 x 175 cm; Collezione privata)

All’inizio della seconda sezione, dedicata alle riflessioni sulla macchia, colpisce il ritratto bronzinesco della moglie Settimia, tra i più intensi ritratti a olio che Fattori fece a familiari e amici negli anni livornesi. Nel 1863 infatti l’artista era tornato a Livorno con la speranza che l’aria di mare facesse bene alla salute dell’amata moglie, ammalata di tubercolosi. In questo periodo si dedicò soprattutto al paesaggio e ai ritratti, realizzando opere che rimandavano alla pittura toscana del passato con riferimento alle regole armoniche della tradizione quattrocentesca toscana con poche figure umane: ne sono chiari esempi Costumi livornesi e Le macchiaiole, e opere luminose e allo stesso sentimentali rese con pochi tratti, come Signora all’aperto. Le macchiaiole, dipinto armonioso e fortemente innovativo che rappresenta una scena di vita contadina con solennità ma anche con estrema verità, venne esposto nel 1866 alla mostra della Promotrice fiorentina, suscitando reazioni da parte di critici e di artisti perché faceva “guerra agli accademici e agli storici in mezzo a dolori morali e privazioni”.

Nel febbraio del 1868 il governo indisse un concorso di pittura e Fattori fu tra i primi a presentare domanda di partecipazione: rappresentò una scena di battaglia risorgimentale, L’Assalto alla Madonna della Scoperta, alla quale venne assegnato un premio di duemila lire per la pittura di genere. Al dipinto precedettero studi e versioni preparatorie (in mostra uno dei più rappresentativi realizzato tra il 1866 e il 1867 e conservato all’Istituto Matteucci di Viareggio), ma nell’opera finale presentata nel 1868 si coniugano le idee compositive elaborate all’inizio del decennio per realizzare la Battaglia di Magenta con le ricerche spaziali livornesi per permettere all’osservatore di partecipare all’azione militare e di riflettere sui vari aspetti legati a una scena di guerra, quali la morte, la fatica, la concitazione. Le sue raffigurazioni mostrano la vita quotidiana dei soldati come La lettera al campo, l’Accampamento di fanteria, Militari e cavalli in una pianura, ma esprimono anche il giudizio di Fattori sulla guerra, acuito certamente dalla disillusione degli ideali risorgimentali vissuta come un tradimento e come simbolo di sconfitta di una generazione intera, soprattutto in dipinti come Soldati abbandonati dove i corpi senza vita di due soldati giaciono a terra, su una via di campagna, o ne Lo scoppio del cassone, opera di tragica spettacolarità, in Linea di battaglia, o ancora In vedetta, dipinto quest’ultimo che dà un senso di sospensione drammatica quasi straniante attraverso quella forte luminosità del muro e del terreno bianco e quella rigida logica compositiva che richiama ancora una volta l’esattezza compositiva del Quattrocento. Di questo quadro Giulio Carlo Argan affermò che “l’episodio dei cavalleggeri in avanscoperta in un luogo deserto e assolato coincide con l’universale dello spazio geometrico e della luce assoluta”. Sono dipinti che esprimono pienamente gli stati d’animo dei soldati negli accampamenti grazie alla grande capacità dell’artista di rendere con verità personaggi e situazioni.

Giovanni Fattori, Ritratto della prima moglie Settimia Vannucci (1865; olio su tela, 83 x 70 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
Giovanni Fattori, Ritratto della prima moglie Settimia Vannucci (1865; olio su tela, 83 x 70 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
Giovanni Fattori, Signora all’aperto (1866; olio su tavola, 12,7 x 28 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Giovanni Fattori, Signora all’aperto (1866; olio su tavola, 12,7 x 28 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Giovanni Fattori, Costumi livornesi (Adiacenze e costumi livornesi presso l’Ardenza) (1865 circa; olio su tela, 39 x 112 cm; Collezione privata)
Giovanni Fattori, Costumi livornesi (Adiacenze e costumi livornesi presso l’Ardenza) (1865 circa; olio su tela, 39 x 112 cm; Collezione privata)
Giovanni Fattori, Le macchiaiole (1866 circa; olio su tela, 90 x 180 cm; Collezione privata)
Giovanni Fattori, Le macchiaiole (1866 circa; olio su tela, 90 x 180 cm; Collezione privata)
Giovanni Fattori, studio per L’assalto alla Madonna della Scoperta (1866-1867; olio su tavola, 24 x 57 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
Giovanni Fattori, studio per L’assalto alla Madonna della Scoperta (1866-1867; olio su tavola, 24 x 57 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
Giovanni Fattori, In vedetta (Il muro bianco) (1872; olio su tela, 34,5 x 54,5 cm; Trissino, Fondazione Progetto Marzotto)
Giovanni Fattori, In vedetta (Il muro bianco) (1872; olio su tela, 34,5 x 54,5 cm; Trissino, Fondazione Progetto Marzotto)

La mostra prosegue con i paesaggi campestri di Castiglioncello, dove l’artista si era recato nel 1867, ospite di Diego Martelli: risale a questo soggiorno il ritratto di quest’ultimo seduto all’ombra degli alberi. Qui a Castiglioncello Fattori dipinse dal vero insieme a Odoardo Borrani e Giuseppe Abbati e tutti e tre si concentrarono sul tema dei buoi bianchi aggiogati al carro rosso, tema più volte affrontato dall’artista e in mostra rappresentato da un dipinto del 1868 conservato a Carpi. La semplicità dei temi campestri diventa protagonista in particolare nel periodo del soggiorno castiglioncellese: ne sono esempi Buoi e bifolco in riva all’Arno delle Raccolte Frugone di Genova e Pastura maremmana (Cavalli al pascolo) dall’Istituto Matteucci di Viareggio. Risale a quel periodo anche il ritratto di Teresa Fabbrini, la compagna di Diego Martelli: in La signora Martelli a Castiglioncello infatti la ritrae seduta all’ombra dei lecci avvolta nella sua veste grigio-azzurro mentre guarda verso la campagna assolata; pare un dipinto dal vero che ferma un momento di quiete campestre. Oltre alla campagna, raffigura scorci di vita urbana, come in Viale Principe Amedeo a Firenze, dove rappresenta uomini, animali e carretti di una quotidianità umile e sconsolata.

In seguito a un soggiorno nel Mugello, Fattori realizzò il Mercato a San Godenzo, dipinto dalla composizione elaborata e studiata in modo tale da restituire la confusione della giornata: corpi bianchi dei buoi sono intervallati alle figure scure degli uomini e degli animali; figure delineate da un contorno netto, da un segno grafico simile a quello delle prime prove all’acquaforte, che divenne in seguito una delle tecniche più utilizzate dall’artista con risultati di altissimo livello. Un aspetto che emerge da questo dipinto è il modo in cui la vita umile dei contadini sia affine alla vita drammatica dei soldati, rappresentati entrambi con verità conferendo loro un tratto quasi epico. Il mondo rurale viene ancora una volta raffigurato in questa sezione attraverso il monumentale Buoi al carro del 1885 circa appartenente alla Pinacoteca Civica di Forlì, in cui riprende il tema del carro rosso trainato da buoi bianchi e vi aggiunge la figura di una contadina che tira con tutte le sue forze le corde dei bovi senza alcun movimento da parte di questi ultimi, che restano immobili (una scena alquanto buffa ma che esprime la fatica delle donne di campagna, come ne La strada bianca del 1887 circa che raffigura una contadina di spalle mentre cammina lenta e solenne con una posa simile a quella de Le macchiaiole su una strada assolata e totalmente bianca).

Sono inoltre esposti qui i ritratti di un Buttero e di una bambina di profilo, quest’ultimo meglio conosciuto come Gotine rosse, che venne acquistato per la GAM di Torino nel 1930. Sia il Ritratto di buttero che Gotine rosse sono probabilmente riconducibili alle impressioni tratte dalle visite a Marsiliana, in Maremma, dove Fattori fu ospite del principe Corsini nel 1882 e nel 1886; temi ispirati agli usi e costumi agresti, con accurate soluzioni cromatiche. A proposito di Gotine rosse, Vittorio Viale, a un anno dall’inizio della sua direzione del museo torinese, scrisse in un articolo pubblicato nel marzo 1931 sulla rivista Torino: "Gravi sono le lacune che la Galleria presenta per i grandi nomi dell’ultimo Ottocento italiano, e anche per alcuni Maestri piemontesi. È mia intenzione lavorare con tutte le forze e i mezzi, per colmare a poco a poco i vuoti dolorosi. L’inizio è stato promettente. Nel 1930 si è acquistato un quadro di Giovanni Fattori, la deliziosa figura di bimba Gotine rosse, un tempo nella collezione Galli di Firenze, ed indubbiamente una delle più belle e significative opere del miglior periodo del grande macchiaiolo“. A una prima valutazione vennero invece ”scartati" due dipinti di Fattori, La cugina Argia e il Ritratto della seconda moglie, provenienti dalla collezione del torinese Riccardo Gualino, poiché “pur bellissimi e di notevole interesse, sarebbe forse conveniente per il nostro Museo prendere un paesaggio piuttosto che un ritratto”. Due capolavori ai quali Viale rinunciò in nome dell’immagine della Galleria civica come “tempio del paesaggio ottocentesco”; tuttavia il primo venne acquistato nel 1934 e il secondo due anni dopo dal collezionista fiorentino Leone Ambron.

Giovanni Fattori, Buoi e bifolco in riva all’Arno (1870-1875; olio su tela, 43,8 x 104,8 cm; Genova, Raccolte Frugone, Musei di Nervi)
Giovanni Fattori, Buoi e bifolco in riva all’Arno (1870-1875; olio su tela, 43,8 x 104,8 cm; Genova, Raccolte Frugone, Musei di Nervi)
Giovanni Fattori, Pastura maremmana (Cavalli al pascolo) (1872 circa; olio su tela, 88 x 176 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
Giovanni Fattori, Pastura maremmana (Cavalli al pascolo) (1872 circa; olio su tela, 88 x 176 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
Giovanni Fattori, La signora Martelli a Castiglioncello (1867-1870; olio su tavola, 19,5 x 33 cm; Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori)
Giovanni Fattori, La signora Martelli a Castiglioncello (1867-1870; olio su tavola, 19,5 x 33 cm; Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori)
Giovanni Fattori, Viale Principe Amedeo a Firenze (1880-1881; olio su tela, 31 x 60 cm; Viareggio, Società di Belle Arti)
Giovanni Fattori, Viale Principe Amedeo a Firenze (1880-1881; olio su tela, 31 x 60 cm; Viareggio, Società di Belle Arti)
Giovanni Fattori, Mercato a San Godenzo (1882 circa; olio su tela, 91 x 176 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Giovanni Fattori, Mercato a San Godenzo (1882 circa; olio su tela, 91 x 176 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Giovanni Fattori, La strada bianca (1887 circa; olio su tela, 95 x 73 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
Giovanni Fattori, La strada bianca (1887 circa; olio su tela, 95 x 73 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
Giovanni Fattori, Buttero (1882 circa; olio su tavola, 40 x 30 cm; Collezione privata)
Giovanni Fattori, Buttero (1882 circa; olio su tavola, 40 x 30 cm; Collezione privata)
Giovanni Fattori, Gotine rosse (1882 circa; olio su tavola, 40,5 x 29 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
Giovanni Fattori, Gotine rosse (1882 circa; olio su tavola, 40,5 x 29 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
Giovanni Fattori, Pio bove (1890-1900 lastra, 1900-1908 impressione; acquaforte, 46,5 x 64,5 cm; Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori)
Giovanni Fattori, Pio bove (1890-1900 lastra, 1900-1908 impressione; acquaforte, 46,5 x 64,5 cm; Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori)
Giovanni Fattori, Sulla spiaggia (Giornata grigia) (1893; olio su tela, 69,5 x 99,5 cm; Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori)
Giovanni Fattori, Sulla spiaggia (Giornata grigia) (1893; olio su tela, 69,5 x 99,5 cm; Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori)
Giovanni Fattori, La mena in Maremma (1890 circa; olio su tela, 89 x 173 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
Giovanni Fattori, La mena in Maremma (1890 circa; olio su tela, 89 x 173 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
Amedeo Modigliani, La ragazza rossa (Testa di donna dai capelli rossi) (1915; olio su tela, 46 x 38 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
Amedeo Modigliani, La ragazza rossa (Testa di donna dai capelli rossi) (1915; olio su tela, 46 x 38 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)

Dopo una sezione interamente dedicata alla tecnica dell’acquaforte, alla quale l’artista si avviò dagli anni Settanta e che gli valse nel 1900 la medaglia d’oro all’Esposizione universale di Parigi (quelle in mostra sono tutte conservate presso il Museo Fattori di Livorno e raffigurano temi rurali o di vita quotidiana), la rassegna volge quasi al termine con una selezione di capolavori compiuti nella tarda maturità, in particolare ritratti e paesaggi: Sulla spiaggia (Giornata grigia), opera di forte impatto emotivo che s’ispira alle coste livornesi e che è resa con la grande pittura del vero; l’Autoritratto del 1894, ormai anziano nel suo studio, il Ritratto della seconda moglie (1889) e Butteri e mandrie in Maremma (1894).

La mostra si conclude con il dipinto La mena in Maremma, realizzato nel 1890 circa sugli appunti che Fattori aveva preso alla Marsiliana qualche anno prima, che viene posto in dialogo con opere di artisti allievi dell’artista stesso o che ne appresero la lezione in modo diretto, vale a dire Plinio Nomellini, Amedeo Modigliani, Oscar Ghiglia e Lorenzo Viani, e con due opere che appartengono alle collezioni della GAM e che sono significativi nell’ambito della riscoperta critica di Fattori dopo il primo conflitto mondiale per il rinnovamento del linguaggio figurativo nel Novecento. Si tratta di Capanni al mare (1927) di Carlo Carrà e Paesaggio (1942) di Giorgio Morandi. Era il Fattori delle “tavolette di pochi centimetri quadrati, ma dove, e per la sicura forza del segno e per la giusta, parca e profonda armonia dei rapporti cromatici, la semplice, umile ed anche povera realtà trascende i limiti della notazione fugace per sublimarsi in una rappresentazione superiore, capace di richiamare alla nostra mente il ricordo di Giotto, di Paolo Uccello, di Beato Angelico”, come scrive Soffici, e non i dipinti risorgimentali, ad avere un’influenza sulla pittura degli artisti del Novecento. La poesia della terra toscana, i suoi paesaggi, la quotidianità della sua umile gente è stata infatti interpretata su tela come nessuno mai aveva fatto fino a quel momento ed è proprio quel carattere semplice ma allo stesso tempo intenso ad aver affascinato gli allievi e gli eredi di Fattori.

Si chiude così la mostra della GAM, un percorso espositivo intenso, organizzato in senso cronologico, con un riassunto per sommi capi dell’itinerario fattoriano, e che entra nel vivo delle tematiche e dei paesaggi sociali e culturali della seconda metà dell’Ottocento attraverso le opere di una delle voci più autentiche e più rappresentative di quell’epoca.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.






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