Dopo anni d’attesa, finalmente Carrara accoglie la prima mostra monografica su Giovanni Antonio Cybei (Carrara, 1706 - 1784), uno dei maggiori artisti che la città abbia prodotto, e che mai prima d’ora aveva potuto fregiarsi d’una mostra solo per sé (eccezion fatta per il piccolo focus sui due busti della Biblioteca Estense che s’è tenuto a fine 2019 alla Galleria Estense di Modena): scultore dimenticato, dunque, e risollevato di recente dall’oblio grazie soprattutto agli studi di Andrea Fusani, massimo specialista di Cybei, cui va riconosciuto il merito d’aver di nuovo destato l’attenzione della critica attorno a uno scultore tra i più richiesti nelle corti europee del Settecento. La mostra Giovanni Antonio Cybei e il suo tempo, curata da Gerardo De Simone e Luciano Massari, affiancati da un comitato scientifico che annovera molti esperti di scultura sei e settecentesca (tra i quali lo stesso Fusani), è anche frutto di questo prezioso processo di riscoperta, che ha restituito all’artista la sua grandezza.
Una mostra però tribolata, che avrebbe dovuto chiudere le celebrazioni per i 250 anni dalla fondazione dell’Accademia di Belle Arti di Carrara (Cybei fu il primo direttore dell’istituto), ma che s’è trovata in mezzo alla bufera del Covid e ha dovuto esser posticipata di molti mesi. E suddivisa su quattro sedi, una delle quali, il CARMI - Museo Carrara e Michelangelo, bizzarro oggetto ancora in cerca d’una sua identità, che pare al momento ancora poco adatta a ospitare mostre di livello come quella su Cybei, un po’ per la convivenza forzata con la goffa raccolta permanente che intende illustrare il legame tra Carrara e Michelangelo, un po’ per l’oggettiva scomodità della sede, e un po’ perché i locali son pochi e quando le mostre cominciano a esser più d’una si rischia l’intasamento: il visitatore valuti, al riguardo, la bella mostra Goya Boucher Ricci Batoni e i maestri del ’700 nelle città del Cybei, che annovera splendidi pezzi di pittura del XVIII secolo a fare da cornice alla mostra su Cybei, ma che soffre nel vederli sacrificati su pannellature opprimenti, messe al centro delle sale a creare corridoi angusti, poiché negli ambienti attigui occorreva allestire un pezzo di mostra di Cybei, essendo il Comune tra gli enti promotori e realizzatori (e dunque mosso dal desiderio d’accogliere una sezione in una delle sue strutture) ma non avendo al momento altre sedi idonee allo scopo.
Se però ci si concentrerà per superare, almeno con lo spirito, le remore sulle barriere logistiche che spezzano la mostra su tante e troppe sedi, si potrà dire che l’esposizione è fondata su di un progetto solido e soddisfa le aspettative, tanto più che si tratta di una delle rare mostre di scultura del Settecento (quello prima di Canova, beninteso) non nell’area, bensì in tutta Italia. Il percorso, che include un centinaio di oggetti tra sculture, dipinti, documenti, volumi, disegni e stampe, tra lavori di Cybei e opere d’altri artisti, segue una doppia scansione cronologica e tematica, che ricostruisce la biografia dello scultore carrarese e i principali filoni della sua arte, e che va sovrapponendosi con l’avanzare dell’itinerario di visita, per poi concludersi nella quarta sede con un’interessante e godibile appendice documentaria.
La rassegna prende avvio dalle due sezioni allestite al CARMI: la prima introduce il pubblico al tema della formazione di Cybei, trascorsa sotto l’egida di Giovanni Baratta, uno dei maggiori scultori della Carrara d’inizio Settecento (contesto, peraltro, rievocato da una pianta della città del 1822: all’epoca tuttavia le grandi trasformazioni ottocentesche del centro storico non erano ancora cominciate, e l’assetto urbanistico non era molto diverso da quello del principio del XVIII secolo), che teneva il suo studio al Baluardo, una zona della città ch’è ancor oggi frequentata da artisti e artigiani del marmo. Il maestro è presente con una delle sue sculture più importanti, l’Ercole col leone Nemeo, giunta in prestito dalla Collezione Giovanni Pratesi di Firenze: un’opera di gran successo, che Baratta replicò per diversi committenti. La presenza di Giovanni Baratta assume un rilievo del tutto particolare anche perché fu il primo scultore di caratura internazionale della storia a tener bottega a Carrara: un fatto che potrebbe apparire del tutto singolare se si pensa che i marmi apuani continuano a esser cavati ininterrottamente dal XII secolo (in epoca altomedievale le attività estrattive subirono un lungo arresto), e che gran parte delle sculture in marmo prodotte a far data da quell’epoca han preso forma da un blocco proveniente dalle montagne che stanno dietro la città. Fatto è che Carrara non riuscì mai a sviluppare una cultura artistica propria, e gli stessi artisti che nascevano in zona preferivano emigrare: con Baratta, esponente d’una dinastia di scultori (il nonno Francesco era collaboratore di Bernini: suo è il Rio della Plata nella Fontana dei Fiumi), a Carrara nasce il primo artista di livello europeo ad aver base in città.
Un testimone che sarà raccolto da Cybei, col quale si comincia a entrare in confidenza nella sezione successiva, a carattere tematico: è interamente votata alla produzione sacra dello scultore. S’inizia da una delle sue opere più note, la raffinata Immacolata Concezione, cominciata da un Cybei trentacinquenne (ma probabilmente terminata molto più tardi) per l’oratorio privato di un abitante del centro cittadino, Francesco Ubaldo Berrettari (oggi è invece custodita nella cappella dell’Ospedale Civico di Carrara: una discendente del committente, Marianna Berrettari, la donò al nosocomio nel 1876). Scultura fondamentale nel percorso di Cybei, è vertice della sua produzione giovanile, di gusto tardobarocco: una Vergine fanciulla coperta di veli svolazzanti, che ondeggiano in tutte le direzioni, legata per affinità di gusto alla vicina Madonna della Misericordia, opera del genovese Francesco Maria Schiaffino di trent’anni posteriore, e anche a una Natività della Vergine su tela di Corrado Giaquinto, in arrivo dagli Uffizi per dar conto al visitatore di come Cybei, durante i suoi due anni romani (tra il 1750 e il 1752), avesse lavorato come apprendista nella bottega del pittore pugliese. Con un salto di un paio di decenni s’arriva al San Giovanni Battista del 1771, restaurato per l’occasione: opera dal portamento meno esuberante rispetto alla Concezione giovanile, è eloquente esempio, con le sue forme più pacate e composte, della fase tarda della scultura di Cybei. Nel mezzo, c’è il Cybei monumentale, ch’è rappresentato in mostra dal modello in terracotta per i due putti che sorreggono le armi di Pisa, inseriti in uno dei monumenti oggi più fotografati del mondo: la Fontana dei Putti di Pisa, che si trova dirimpetto alla Torre, in piazza dei Miracoli.
Ci si trasferisce dunque nella seconda sede, quella di Palazzo Binelli, riservata al Cybei ritrattista: il busto in marmo fu il genere nel quale l’artista apuano fu più prolifico, e il suo talento è ben presentato al pubblico fin dalla prima sala, che allinea tre ritratti di Maria Teresa Cybo d’Este. Il primo è il busto in terracotta eseguito dal vivo a Modena nell’inverno del 1774, la prova forse più sorprendente della maestria di Cybei nel ritratto, brillante per la sua capacità di penetrare l’espressione della duchessa, per la naturalezza dell’atteggiamento, per il brano di virtuosismo delle pieghe abbondanti ma che cadono leggere: custodita all’Accademia di Belle Arti di Carrara, è una delle migliori sculture che si conservino in città, benché poco nota fuori. Gli altri due ritratti che le sono affiancati sono opere di Pietro Stagi, allievo di Cybei, e di Roberto Micheli Pellegrini: nessuno dei due è in grado anche solo d’avvicinarsi alla freschezza e alla spontaneità della Maria Teresa del maestro. L’immagine di Maria Teresa codificata da Cybei avrà una notevole fortuna, come attestano le medaglie che recano sul dritto il ritratto della sovrana di Massa e Carrara, fondatrice della locale Accademia di Belle Arti. E per non allontanarsi dalla corte ducale, il pubblico ha anche l’opportunità d’ammirare, nella stessa sala, un singolare inedito, un ritrovamento emerso proprio durante l’organizzazione della mostra: uno scettro Cybo Malaspina d’Este, risultato dell’assemblaggio di elementi di varie botteghe, sul cui pomo settecentesco compare l’arme della famiglia che governava il piccolo ducato ai piedi delle Apuane, oltre alla ruota simbolo di Carrara.
Terminato il focus su Maria Teresa, la tappa di Palazzo Binelli riserva due ulteriori sale al genere del busto ritratto, presentando anche alcune delle ultime acquisizioni attorno a Cybei: ecco dunque esposti appaiati i ritratti di Pompeo Neri e Giovanni Bonaventura Neri Badia della Collezione Cavallini Sgarbi, finissimi per qualità ed esecuzione (si noti lo jabot di Giovanni Bonaventura, uno dei brani di virtuosismo più mirabili di tutta la scultura settecentesca): i due ritrattati, due dei più insigni giuristi della Toscana del Settecento, rispettivamente figlio e padre, sono stati recentemente identificati da Andrea Fusani su queste pagine ed esposti come tali per la prima volta alla mostra della Collezione Cavallini Sgarbi che s’è tenuta al Castello Estense di Ferrara tra il 2018 e il 2019 (Vittorio Sgarbi li considera peraltro tra i pezzi più pregevoli della sua collezione). Non potevano mancare dalla rassegna i coevi ritratti di Carlo Sigonio e Ludovico Antonio Muratori, commissionati all’artista nel 1774, e capaci di dimostrare come Cybei si cimentasse con profitto anche nel genere del ritratto ideale: per dar forma ai volti dei due letterati, lo scultore s’ispirò a un ritratto di Lavinia Fontana per quello di Sigonio, e a un’incisione di Angela Tormanini e Pietro Monaco per quello di Muratori. È uno dei momenti più interessanti della mostra: dalla Galleria e della Biblioteca Estense di Modena sono arrivati infatti sia le redazioni finali in marmo dei due ritratti, sia i modelli in terracotta, e l’occasione è dunque rara per vederli assieme. La rassegna espone anche ulteriori ritratti di Cybei ma anche prove dei suoi allievi: spicca, in particolare, il vivacissimo San Valeriano di Michelangelo Borghi, eseguito quando l’artista originario di Carpi era ancora uno studente.
Si prosegue lungo via Verdi per arrivare alla terza tappa, Palazzo Cucchiari, dove una trentina di pezzi disposti su due sezioni ricostruiscono da un lato le vicende del ritratto che il granduca Pietro Leopoldo di Lorena commissionò a Cybei nell’autunno del 1769, e dall’altro quelle decisamente più tormentate del monumento equestre a Francesco III d’Este, duca di Modena e Reggio. Nella prima sezione, l’unica opera di Cybei è proprio il ritratto del granduca di Toscana, in prestito dal Museo Nazionale di Palazzo Reale di Pisa, opera che godette di grande apprezzamento e che viene esposta assieme a una teoria di ritratti del sovrano, incluso uno in gesso del romano Innocenzo Spinazzi, rivale di Cybei che non fu però in grado di raggiungere il successo dell’avversario, benché al suo ritratto (il gesso è in mostra è una copia di quello in marmo che si conserva alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti) arrise in effetti una certa fortuna. A far da raccordo con l’ultima sezione (in appendice al capitolo sui busti ritratto di Palazzo Binelli) è una coppia di busti in marmo che ritraggono due bambini, riemersi di recente da una collezione privata inglese e venduti da Sotheby’s nel 2003 per oltre 44mila sterline (la stima massima era di 10mila), per i quali è stata formulata un’attribuzione a Cybei: non sappiamo chi siano i soggetti effigiati, ma sulla base compaiono le iniziali (“A.C.L.” la bambina, “E.C.L.” suo fratello), l’età (quattro anni lei, sei lui), la data (il 1763) e il blasone (recante un serpente e una colomba, che rimandano alla celebre similitudine evangelica, e un elmo, simile a quello dei baronetti inglesi, anche se è più probabile, dati i trascorsi lavorativi di Cybei, che i due bambini siano di area tedesca o comunque centro europea). Forse qualche appassionato d’araldica riuscirà a far pervenire un possibile nome.
La seconda sezione di Palazzo Cucchiari ripercorre la storia del monumento equestre a Francesco III d’Este, commissionato a Cybei nel 1772 e innalzato in piazza Sant’Agostino nel 1774, davanti all’Ospedale degli Infermi e degli Incurabili e dell’Albergo dei Poveri, oggi Palazzo dei Musei e sede della Galleria Estense: erano due istituti per i bisognosi che erano stati da poco fondati dal sovrano di Modena e Reggio. La statua equestre durò molto poco: fu infatti distrutta durante i moti rivoluzionari nel 1796. E la mostra ne ripercorre tutte le tappe, dall’ideazione alla distruzione: seguiamo dunque la proposta di Cybei (un foglio scritto a inchiostro il 30 marzo del 1772, sul quale l’artista delineò il progetto), leggiamo il capitolato per l’esecuzione, sottoscritto dal governatore Munarini, rappresentante del ducato, e dallo scultore, vediamo il bozzetto in terracotta (l’unica testimonianza esistente dell’elaborazione del monumento: fu modellato nella primavera del 1772), il calco in gesso conservato all’Accademia di Belle Arti di Carrara (si tratta di una delle rare opere che ci consentono di ricostruire con una certa precisione il monumento distrutto). Non mancano poi stampe e dipinti (come l’olio su tela del 1780 circa di Giuseppe Maria Soli) che raffigurano la piazza con, al centro, il monumento equestre prima del suo abbattimento: la drammatica fine dell’opera che doveva celebrare il duca è comprovata dall’unico frammento superstite della statua, il piede destro, prestato dal Museo Civico d’Arte di Modena.
Il percorso termina all’Accademia di Belle Arti, in una sala nella quale è stata costruita una piacevole appendice documentaria che, al contrario di molte sezioni simili d’altre mostre, è organizzata in modo da non tediare il pubblico, con pochi oggetti, ognuno di essi utile allo scopo, ovvero quello di ricostruire il contesto storico, culturale, sociale nel quale operò Cybei. Nelle teche s’alternano documenti che riannodano molti fili della storia di Carrara: dalla fondazione dell’Accademia di Belle Arti ai libri che ricostruiscono gli ambienti culturali della Carrara del tempo (tra cui una rara edizione del 1782 dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alambert, dell’edizione lucchese, la prima stampata in Italia, e parte del patrimonio dell’Accademia dal 1782), dal lavoro alle cave e nei laboratori di scultura fino alle vicende personali di Cybei. Farà riflettere una lettera del 18 agosto 1783, inviata dello scultore all’abate Angelo Mussi, e nella quale spicca una nota amara sulla città: “Rinunzio di buon grado a quello che mi può dar la mia Patria, che mi è stata più madrigna che madre, e da cui nulla ho ricevuto fuor dell’aria”.
Il pubblico desideroso di completare la conoscenza del “valoroso scultor carrarese”, come lo appellò Gerolamo Tiraboschi, il suo primo biografo, potrà estendere i contenuti di Giovanni Cybei e il suo tempo recandosi a visitare le opere dell’artista rimaste sul territorio: la Madonna del Rosario, meravigliosa macchina da processione giovanile che si trova nel Duomo di Carrara ed è recuperata nel 2017 dopo un lungo e complicato restauro che l’ha riscattata dal pesante stato di degrado e abbandono nel quale versava, e poi l’Altare del Riscatto sempre nel Duomo, il San Francesco nella chiesa del santo d’Assisi poco lontana da Palazzo Cucchiari, o ancora il San Bernardino da Siena nello stesso edificio di culto. Per poi proseguire nei dintorni: a Sarzana, per esempio, per vedere la Gloria dell’Assunta nella Cattedrale, o al Camposanto monumentale di Pisa, dove il monumento funebre di Francesco Algarotti si pone come luminosa opera di transizione tra tardobarocco e neoclassicismo.
Uno dei punti a favore della mostra è l’aver radunato una buona mole di materiale inedito o difficilmente accessibile, per comporre un percorso che accresce le conoscenze sull’artista e pone le basi per ulteriori studi successivi: in mostra manca, per esempio, una sezione che illustri il Cybei europeo, il Cybei che lavorò il principe di Prussia o per l’aristocrazia russa. Peccato che, come talora accade, il catalogo non sia uscito a mostra in corso: sarà pronto in autunno e non c’è dubbio che sarà uno strumento fondamentale per l’avanzamento delle ricerche su di un artista ingiustamente dimenticato, dal momento che Cybei è stato uno dei principali e dei più onorati scultori che abbiano lavorato nell’Italia del secolo XVIII, artista che partì legato ai dettami del gusto tardobarocco ma che seppe anticipare e intuire l’orizzonte classico che si sarebbe aperto sul finire del secolo. Nel frattempo un risultato importante è stato acquisito: il definitivo riscatto di Giovanni Antonio Cybei dall’oblio nel quale era caduto.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).