Ha aperto a Padova, il 1° ottobre, nelle sale di Palazzo Zabarella, e resterà aperta fino al 26 febbraio 2023, Futurismo 1910-1915. La nascita dell’avanguardia, una delle mostre più attese e ambiziose della stagione, con la curatela di Fabio Benzi, Francesco Leone e Fernando Mazzocca. Una mostra che, secondo i comunicati stampa della vigilia e quanto raccontato nei pannelli all’ingresso dell’esposizione, punta a imporsi come “sguardo altro, offrendo una visione nuova ed originale e invitando alla scoperta di una realtà artistica fino a ora poco, o per niente, svelata”. Secondo quanto dichiarano i curatori infatti, sebbene negli ultimi quarant’anni si siano succedute molteplici rassegne dedicate al Futurismo, “nessuna si è mai focalizzata in termini critici ed esaustivi sui presupposti culturali e figurativi, sulle radici, sulle diverse anime e sui molti temi che hanno concorso prima alla nascita e poi alla deflagrazione e alla piena configurazione di questo movimento che ha caratterizzato in modo così dirompente le ricerche dell’arte occidentale della prima metà del Novecento”: a questo ambisce l’esposizione padovana. A tal fine, la mostra può contare su 121 opere, creazioni di artisti quali Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini, Fortunato Depero, Mario Sironi, Carlo Carrà e tanti altri, legate con poche eccezioni all’arco cronologico 1910-1915, alcune delle quali esposte raramente, provenienti da gallerie, musei e collezioni internazionali, per un totale di oltre 45 prestatori differenti.
Una sfida che i curatori affrontano sviluppando la mostra per temi, solo in parte cronologici, e sale che, anche attraverso una cura architettonica e cromatica apprezzabile, affrontano le diverse matrici e nature del primo movimento futurista. Aprono la mostra due sale che raccontano le radici simboliste del Futurismo e i legami con l’arte divisionista (radici divise per scelta curatoriale), grazie al confronto tra i lavori di Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Giuseppe Pellizza da Volpedo tra gli altri, e quelli dei padri fondatori del movimento, di cui si espongono alcuni autoritratti. Un “dialogo” che vuole attestare come questi primi futuristi “siano accomunati da una formazione artistica di natura secessionista, legata alla tecnica divisionista e alla temperie simbolista di tardo Ottocento ed inizi Novecento”. Poi segue una sala riguardo lo “Spiritualismo” con un notevole studio degli Stati d’animo di Boccioni del 1911 e altri capolavori di Balla e Luigi Russolo, tra gli altri. Di sala in sala si giunge nel cuore della mostra, che vede prima protagonista il “Dinamismo”, in cui si fronteggiano le opere di Boccioni, Balla, Severini, Sironi, Carrà, Russolo e quelle di Gino Rossi, Gino Galli, Ardengo Soffici e Ottone Rosai.
Poi la “Simultaneità”, con opere di Carrà, Boccioni, Fortunato Depero, Russolo ed Enrico Prampolini. “Vita moderna” caratterizza il passaggio successivo, in una sala che vuole raccontare lo spirito rivoluzionario e di completa rottura con i canoni del passato, con opere di Sironi, Carrà, Boccioni, Antonio Sant’Elia, Depero, ma anche di Aroldo Bonzagni e Achille Funi. Si indagano poi i temi della “Tridimensionalità” della scultura e del “Polimaterismo” dove, a testimonianza dell’utilizzo in arte di materiali diversi, sono esposte Forme uniche della continuità nello spazio e Sviluppo di una bottiglia nello spazio di Boccioni, Complesso plastico colorato di linee-forza di Balla (appositamente ricreato per questa rassegna poiché andato perduto) e le Marionette dei Balli plastici di Depero. Dopo una sezione sulle “Parolibere” il percorso si snoda fino a toccare il tema della “Guerra”, vista dai Futuristi come mezzo che permette di sbarazzarsi del vecchio e noioso passato e di far prevalere la gioventù, sala caratterizzata da capolavori di Carrà, Balla, Sironi e Severini. Chiude il percorso, coerentemente, la “Ricostruzione futurista dell’universo”, che espone opere di Balla e “il concetto di ‘arte totale’ che si impossessa del mondo degli uomini e delle cose e che ha trovato proprio con i futuristi la prima, piena configurazione in seno ai movimenti d’avanguardia”.
Questa è in breve la natura della mostra, esposta con le parole di chi l’ha allestita. E le firme non mentono: si trova in mostra una serie di capolavori, per la larghissima maggioranza provenienti da prestiti extra-regionali e alcuni internazionali, in grado di dare al visitatore un assaggio, notevole, dei primi cinque anni del movimento futurista, e anche la possibilità di ammirare un centinaio di opere di spessore, in successione, per un’ora (o più) di godimento artistico.
La mostra padovana però punta più in alto, forte del pacchetto di opere disponibili, invitando, come detto, il visitatore a scoprire e comprendere “i presupposti culturali e figurativi, le radici, le diverse anime e i molti temi che hanno concorso prima alla nascita e poi alla deflagrazione e alla piena configurazione” del movimento futurista, puntando ad allontanarsi dalle usuali mostre sul Futurismo. E va ammesso che questo obiettivo, esplicito e dichiarato, è solo in parte centrato. Se la selezione di opere è corposa e, pur con gli ovvi limiti di una mostra temporanea, in qualche modo in grado di offrire una panoramica, se non completa, molto ampia degli anni 1914-1915, quelli della “piena deflagrazione” del movimento a cavallo dell’entrata in guerra dell’Italia, non si può dire lo stesso per le sale riguardanti le origini e i momenti fondativi della corrente. Che sono quelli che, nelle dichiarazioni dei creatori, forniscono l’unicità della mostra. La connessione con il simbolismo, spiegata nelle didascalie, è sfuggente nella selezione di opere esposte, mentre il passaggio tra divisionismo e futurismo manca di alcuni anelli fondamentali: nella sala che lo racconta, insieme a opere del 1909-1911, si trova un Balla, decisamente più avanzato e pienamente futurista, datato 1918. Mentre diversi punti, nomi e vicende vengono dati per scontati, alcune opere, molte a dirla tutta, meriterebbero maggiore approfondimento, per poter coinvolgere nella “scoperta” anche il visitatore avulso dalle dinamiche e cronologie delle avanguardie italiane.
Su tutte, le Marionette per balli plastici di Depero, la cui connessione con le altre opere in mostra è appena accennata. Forse si è voluto esporre troppo, contando di attrarre visitatori in base a nomi e numeri: alcune delle opere esposte (poche, va detto, come quelle di Gino Rossi, Arturo Martini, qualcuna della fase pre-1910) hanno una relazione più che altro cronologico-biografica con il movimento futurista, non spiegata e difficilmente intelligibile al visitatore non preinformato a riguardo. Non pare un caso che la maggior parte di queste poche opere “marginali” nell’esposizione vengano da musei e collezioni venete. Forse si è voluto invece spiegare troppo, in troppo poco spazio e con troppi limiti, o forse è stata una scelta, perché il risultato è un dinamismo dell’esposizione che pare riecheggiare il dinamismo futurista. Ma la conseguenza, certo questa non voluta, è che il visitatore entrato per capirne di più di come, perché, quando, dove sia nato il Futurismo, ne uscirà confuso o, nella migliore delle ipotesi, accettando fideisticamente quanto esposto nei (precisi e dettagliati) pannelli introduttivi delle sale: per le singole opere infatti le didascalie si limitano a autore, titolo e data, lasciando aperte diverse domande. Certo con audioguida o, ancor più, visita guidata, questi gap informativi possono essere colmati, ma per una mostra dal costo non modico (15 euro) forse si sarebbe potuto offrire maggior approfondimento al visitatore anche attraverso la pannellistica.
La visita, in ogni caso, resta caldamente consigliata. Sia per chi non sa nulla, o poco, di Futurismo e avanguardie, sia per chi vuole tuffarsi in una successione di sale in grado di offrire spunti e sensazioni inedite. Ancor più consigliata per chi non ha tempo, o modo, di visitare i grandi musei di arte contemporanea di Milano, Roma o Firenze, ma anche per tutti gli altri. Soltanto, pare d’obbligo un consiglio: se pianificherete o suggerirete la visita ad amici e parenti desiderosi di comprendere di più sulle origini del Futurismo, un’audioguida, una visita guidata o un accompagnatore informato potrebbe favorire, e non poco, il godimento delle opere e la comprensione delle scelte espositive.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.