Una mostra unica, di quelle che non si vedranno più, o comunque passerà tanto tempo prima di rivederne una dello stesso calibro: l’occasione è davvero speciale, il 150° anniversario dalla nascita dell’Impressionismo francese, e se il desiderio era celebrare questo importante “compleanno” facendo le cose in grande, l’intento è veramente riuscito. Per visitare questa grande rassegna che conta in tutto circa 130 opere dei più grandi esponenti del movimento francese, tra cui alcuni dei più celebri capolavori, come Impression: soleil levant di Claude Monet e Bal du moulin de la Galette di Pierre-Auguste Renoir, bisogna uscire dai confini nazionali e volare a Parigi, al Musée d’Orsay, dove fino al 14 luglio 2024 è in corso la mostra Paris 1874. Inventer l’impressionisme, a cura di Anne Robbins e Sylvie Patry e organizzata da Musée d’Orsay e Orangerie e dalla National Gallery of Art di Washington (dove l’esposizione sarà ospitata da settembre 2024 a gennaio 2025 con la curatela di altre due esperte). È una retrospettiva che da sola vale il viaggio (anche se andare a Parigi è sempre un piacere) sia per la qualità e quantità delle opere esposte sia per il percorso ben costruito e per niente scontato, e un ulteriore punto a suo favore è che è stata scelta come sede espositiva proprio il Musée d’Orsay, il museo dell’Impressionismo per eccellenza, dove una volta vista la mostra si può continuare l’immersione a tutto tondo tra gli impressionisti nella collezione permanente. Potrebbe comportare tuttavia una difficoltà nel godere appieno della mostra il troppo affollamento, soprattutto nelle prime sale, come è capitato a chi scrive, ma armandosi di pazienza tutto andrà per il meglio.
Le dieci sezioni di cui si compone la rassegna, a cui si aggiunge una parte introduttiva che vuole illustrare attraverso fotografie il contesto storico in cui si trova in quel periodo la capitale francese, ovvero un’epoca nella quale è ancora vivo il ricordo delle distruzioni provocate dalla guerra franco-prussiana del 1870 e dall’onda rivoluzionaria della Comune di Parigi del 1871, ma in cui allo stesso tempo si sta cominciando a ricostruire e a modernizzare la città, si possono in realtà raggruppare in tre macro-sezioni, che contribuiscono a dare unicità a questa mostra. Una prima parte con l’inaugurazione della prima esposizione impressionista il 15 aprile 1874 e quindi con gli artisti coinvolti in questa iniziativa indipendente; una seconda parte dedicata al Salon, l’esposizione annuale ufficiale d’arte che inaugurò il 1° maggio 1874, e alle opere che vi furono esposte; una terza parte per così dire di zona grigia, con opere che erano al Salon ma che avrebbero potuto essere alla mostra impressionista o opere di artisti che hanno esposto sia al Salon che alla mostra impressionista, o ancora temi comuni trattati sia da una parte che dall’altra. Negli intenti principali della mostra, come si legge nella prefazione del catalogo, è proprio questo confronto inedito tra una selezione di opere esposte durante la mostra impressionista del 1874 e alcuni dipinti e sculture presentati contemporaneamente al Salon: obiettivo è restituire l’impatto visivo delle opere esposte dagli impressionisti, ma anche mitigarlo facendo comprendere come tra la prima mostra impressionista e il Salon ci siano stati in realtà parallelismi e sovrapposizioni. Le ultime due sezioni sono invece dedicate a Impression, soleil levant di Monet, considerata l’opera da cui ebbe inizio l’Impressionismo, e alla terza esposizione impressionista del 1877, l’unica in cui gli artisti della prima mostra del 1874 esposero di nuovo tutti insieme e che definirono loro stessi mostra impressionista.
La mostra prende quindi il via, dopo la prima sala introduttiva, con un ambiente dove le curatrici hanno voluto portare il visitatore al numero 35 di Boulevard des Capucines, nell’ex atelier del fotografo Félix Nadar: fu proprio qui che al secondo e terzo piano dell’edificio venne allestita la prima mostra impressionista inaugurata il 15 aprile 1874. Una fotografia che risale al 1861 circa ritrae come si presentava la facciata dell’edificio quando l’atelier era attivo: una struttura in vetro e metallo su cui il fotografo aveva fatto installare la grande insegna luminosa rossa Nadar. Nel 1871 il fotografo lasciò l’immobile perché diventato troppo caro, ma tre anni dopo fu Edgar Degas a capire che proprio quello era lo spazio adatto alla costituita Società Anonima degli artisti, pittori, scultori, incisori etc. (il sodalizio che riuniva i futuri impressionisti), di cui anche lui faceva parte, per esporre per la prima volta tutti insieme le loro opere in una mostra che fosse indipendente dall’esposizione d’arte annuale ufficiale, il Salon. Lo spazio contava sette o otto sale, disposte su due livelli, con ascensore. Di quella prima mostra non esiste alcuna fotografia, ma è possibile dedurre almeno approssimativamente come fosse la disposizione delle opere grazie a descrizioni dell’epoca; per cui quella idealmente evocata ora al Musée d’Orsay si basa su queste testimonianze, ma tuttavia non può essere, per così dire, la perfetta riproduzione dell’originale mostra di 150 anni fa. Un filmato in 3D cerca di trasportare poi l’osservatore, in uno zoom dentro lo zoom, nelle sale espositive di quella prima mostra, partendo da Boulevard des Capucines, passando dalla facciata di quell’edificio.
L’esposizione della Società anonima apre, come già detto, le sue porte il 15 aprile 1874, anche in orario serale per attirare maggior pubblico, con circa duecento opere selezionate dai membri della società stessa. Secondo le testimonianze scritte e il libretto, gli unici documenti che ci sono giunti, nella prima sala della mostra, che sembra sia stata allestita da Renoir, il pubblico ebbe modo di ammirare la pittura dello stesso Renoir e di Degas che presentavano in un linguaggio nuovo e più immediato scene di vita di una Parigi non solo più moderna ma anche legata allo spettacolo: opere con ballerine e spettatori a teatro, con i boulevard pullulanti di gente. Ecco quindi che la terza sala dell’odierna esposizione al Musée d’Orsay, evocando proprio quella prima sala, presenta varie opere con le ballerine di Degas sia in scena sia a lezione, la Loggia di Renoir con due spettatori a teatro, per la quale fece posare suo fratello e una giovane di Montmartre; dello stesso Renoir anche la Ballerina e la Parigina, entrambe che guardano l’osservatore (i due dipinti sono gli unici di grande formato che il pittore espose nel 1874), e il Boulevard des Capucines pieno di gente raffigurato con tocchi rapidi da Claude Monet dalla prospettiva di un balcone dello stesso edificio al numero 35. Da notare come tutte le didascalie di queste opere riportino la dicitura “prima esposizione impressionista, 1874”, accompagnata dal probabile numero che questa aveva nell’esposizione di 150 anni fa.
La sezione successiva, in una grande sala, intende far comprendere poi come quella mostra fu in realtà molto eclettica, con opere di una grande varietà di soggetti, tecniche e stili: ci sono dipinti, sculture, stampe, incisioni, paesaggi, interni, scene di caccia. E anche gli artisti che partecipano, in tutto trentuno, appartengono a generazioni e ad ambienti sociali differenti, ma sono tutti accomunati dal desiderio di esporre in un contesto indipendente, non accademico e senza giurie. Per rendere l’idea, vediamo qui esposti infatti paesaggi di Camille Pissarro e di Édouard Béliard, un vaso di fiori di Renoir, un interno di sinagoga di Édouard Brandon, un vecchio pescatore di Adolphe Félix Cals, il ritratto della sorella di Berthe Morisot, un busto raffigurante Ingres di Auguste Louis Marie Ottin, una selezione di acqueforti di Félix Bracquemond, Théophile Gautier, Giuseppe De Nittis, Ludovic Napoléon Lepic, e poi acquerelli con interni, ma soprattutto Una moderna Olympia di Paul Cézanne raffigurante l’interno di casa chiusa con una prostituta nuda, accostata alla tenerissima scena materna de La culla di Berthe Morisot: sappiamo infatti che i due dipinti erano vicini anche alla mostra impressionista e che la cosa destò commenti negativi per via dell’accostamento delle due scene, una dolce e l’altra licenziosa.
Come si diceva prima, si passa poi alla sezione dedicata al Salon, la grande mostra ufficiale con migliaia di opere selezionate da una giuria con il patrocinio della Direzione delle Belle Arti che presentava ogni anno la produzione artistica del momento; inaugurò quindici giorni dopo la mostra della Società anonima, esattamente il 1° maggio 1874, sugli Champs-Élysées, nel Palazzo dell’Industria e delle Belle Arti. Sappiamo che vi erano esposti enormi dipinti a soggetto storico, religioso, mitologico, scene di genere, paesaggi, ritratti, e che quasi duemila erano appesi molto vicini tra loro. Ecco perché l’allestimento che troviamo nella sezione dedicata al Salon è costruito come una quadreria, con dipinti di varie dimensioni accostati con cornici che quasi si toccano: un poeta di Henriette Browne, La scogliera di Jules Breton, un monaco che scolpisce un Cristo in legno di Édouard Dantan, una scena di danza a Tangeri di Alfred Dehodencq, Éminence grise di Jean-Léon Gérôme, un ritratto di signora con ombrello di Jean-Jacques Henner, Satiro con baccante di Henri Gervex, la Lezione di lettura di Adelaïde Salles-Wagner, una Madonna con Bambino e san Giovannino di Ferdinand Humbert, Eros Cupido di Jean Jules Antoine Lecomte du Nouÿ, il David trionfante di Jules-Élie Delaunay: temi, come si può notare, veramente molto differenti tra loro, ma con una pittura molto diversa, più impostata, rispetto a quella della Società anonima. Ci sono anche due opere di due artiste, Mary Cassatt e Marie Bracquemond, che quell’anno esposero al Salon ma che qualche anno dopo esposero con gli impressionisti. La piccola sezione successiva presenta invece scene di guerra e di battaglia, come quelle qui raffigurate da Édouard Detaille o da Auguste Lançon, tema che il Salon del 1874 porta in mostra, perché comunque è ancora vivo il ricordo della guerra, ma che al contrario la Società anonima non raffigura in favore di altri aspetti più mondani e più lieti.
Prende il via con la sezione Convergenze quella già citata zona grigia che intende dimostrare come in realtà tra il Salon e la mostra della Società anonima ci sia un confine molto labile, che si basa sull’essere accettati o rifiutati: viene qui presentato un delicato pastello di Eva Gonzalès che fu esposto al Salon del 1874, ma alla stessa mostra venne rifiutato un altro suo dipinto, che possiamo qui ammirare, di soggetto simile alla Loggia di Renoir, che quest’ultimo invece ebbe tutta la libertà di esporre alla mostra impressionista. Anche il Ballo in maschera raffigurato da Édouard Manet venne rifiutato al Salon del 1874, poiché presenta senza ambiguità le contrattazioni tra prostitute e clienti, mentre fu esposta La ferrovia dello stesso autore, anche se l’opera, collocata tra una composizione a tema mitologico e Dans les blés di De Nittis, venne derisa dal pubblico. Ci sono poi artisti come lo stesso De Nittis e Stanislas Lépine che esposero sia al Salon sia con gli impressionisti, come si può notare dalle didascalie delle opere qui presenti. Le successive due sezioni intendono mostrare invece come tra il Salon del 1874 e la prima esposizione della Società anonima ci fosse una convergenza di temi: ecco quindi che, come possiamo leggere nelle didascalie, furono esposte in entrambe scene di vita moderna ma anche scene di paesaggio. Tra queste, si possono ammirare riunite deliziose opere ad acquerello di Eugène Boudin raffiguranti scene sulla spiaggia, tutte esposte alla prima mostra impressionista, come pure un dipinto di Degas che rappresenta uno dei svaghi più in voga tra la borghesia del tempo, ovvero la corsa ippica, o ancora i Papaveri di Monet. Vi è poi la Stiratrice di Degas, anch’essa esposta alla mostra impressionista, mentre Splendeur di Ernest Duez che ritrae probabilmente una cortigiana all’apice della sua carriera e vestita alla moda, al contrario di quello che si potesse pensare, fu accettata ed esposta al Salon. Tre opere di Berthe Morisot di scene all’aria aperta presenti alla mostra impressionista, così come alcuni paesaggi campestri di Camille Pissarro; al Salon del 1874 è invece un grande dipinto di Charles-François Daubigny, Campi nel mese di giugno, che propone colori brillanti e un forte contrasto tra il verde della vegetazione e il rosso dei papaveri, con una pittura e una luce vicine all’impressionismo. L’artista in effetti dal 1870 manifestò un certo interesse per i futuri pittori impressionisti, tanto che li mise in contatto con Paul Durand-Ruel, il loro principale mercante. Anche Bercy a dicembre di Antoine Guillemet, esposta al Salon, avrebbe potuto essere tranquillamente in mostra alla rassegna degli impressionisti per gli effetti atmosferici e per i giochi di luce creati attraverso le nuvole per dare la sensazione del freddo invernale.
Si giunge poi alla penultima sezione, dove le curatrici hanno deciso di collocare Impression, soleil levant di Monet, considerato il dipinto ispiratore del termine “impressionismo”, utilizzato dal giornalista Louis Leroy in un articolo intitolato “L’esposizione degli impressionisti” pubblicato su Le Charivari per stroncare con sarcasmo, riferendosi proprio al capolavoro di Monet, quella prima mostra al numero 35 di Boulevard des Capucines. Le curatrici hanno inoltre posto il dipinto in dialogo con alcuni pastelli dello stesso Monet e di Eugène Boudin raffiguranti studi di cielo, come avvenne alla mostra impressionista. La scintilla che fece coniare il termine “impressionista” fu quindi il capolavoro di Monet che all’interno del suo titolo conteneva già parte della parola, ma il termine non venne veramente utilizzato da quel momento per designare gli artisti della Società anonima. Quattro giorni dopo l’articolo di Leroy, il critico Jules-Antoine Castagnary utilizzò per la prima volta la parola “impressionista” in maniera positiva; scrisse infatti che erano “impressionisti nel senso che non raffiguravano il paesaggio, ma la sensazione prodotta dal paesaggio”. Fu invece nel 1877, prima e unica volta, che gli stessi artisti del 1874 definirono la loro esposizione, la terza, impressionista. E lo stesso anno diedero alla stampa la rivista L’impressioniste: journal d’art. È propriamente da questo momento che in maniera indipendente stabilirono la nascita di un nuovo movimento. La terza mostra impressionista venne inaugurata il 4 aprile 1877 al numero 6 di rue Le Peletier a Parigi e consapevolmente fu la più impressionista di tutte le edizioni che ne seguirono (altre cinque in tutto), sia per la maturità del progetto che dal punto vista organizzativo e dell’allestimento. L’odierna esposizione al Musée d’Orsay si chiude dunque con una sezione dedicata proprio alla mostra impressionista del 1877, in cui sono qui riunite alcune opere che vi parteciparono, quali La Gare Saint-Lazare, Un angolo di appartamento e I tacchini di Monet, Peintres en bâtiment di Gustave Caillebotte, alcuni paesaggi di Pissarro e Renoir, ma soprattutto spiccano due capolavori di Pierre-Auguste Renoir: L’altalena e Bal du moulin de la Galette, quest’ultimo definito da Émile Zola il “pezzo capitale” della mostra del 1877.
Si lascia le sale espositive già con una considerazione: merita senza dubbi un viaggio a Parigi la mostra evento che celebra il 150° anniversario da quella prima mostra impressionista del 1874, innanzitutto per la portata dell’avvenimento e poi per il taglio inedito che si è scelto di dare a un’esposizione sull’impressionismo: non solo la possibilità di vedere riuniti tanti capolavori del movimento francese, ma anche l’aver proposto l’originale confronto con il Salon che si tenne quello stesso anno, ponendo questioni sulle convergenze tra le due rassegne considerate solitamente agli opposti. Utile inoltre l’aver messo, in alcune sale, il catalogo a disposizione del pubblico per una libera consultazione. L’esposizione del 1874 chiuse un mese dopo con più di 3500 visitatori e con quattro opere vendute; gli artisti della Società anonima non avrebbero mai potuto immaginare in quel momento di suscitare così tanto fascino anche a distanza di 150 anni. Il loro vento rivoluzionario e indipendente ha soffiato nella giusta direzione ed eccoci qui oggi a celebrare uno dei movimenti artistici più innovativi di sempre.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.