Come il metateatro che pone a oggetto dell’opera teatrale il teatro stesso, Castrum superius. Il Palazzo dei re normanni è una metamostra, in cui il più ardito progetto di tutto il Medioevo nel Mediterraneo, la reggia-fortezza edificata da Ruggero II, il “Castrum Superius” appunto, contrapposto un tempo al “Castrum Inferius” (Castellammare), è esso stesso oggetto dell’esposizione. La mostra, infatti, racconta della fisionomia medievale dell’edificio, dalle prime fasi costruttive sino al tramonto del Regno normanno. Ospitata, dal 15 maggio 2019 al 10 gennaio 2020, presso le Sale Duca di Montalto del Palazzo Reale di Palermo, è frutto di un progetto interistituzionale della Fondazione Federico II, in stretta collaborazione con l’Assemblea Regionale Siciliana, l’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, il Dipartimento Regionale dei Beni Culturali, la Soprintendenza per i Beni Culturali e il Centro Regionale per la Progettazione e per il Restauro.
Il palazzo “è della città e del mondo”, si legge nella prefazione al catalogo. Tutta la mostra è impostata per rendere visibile questo concetto, col quale la Fondazione Federico II, da un anno e mezzo, ha avviato un nuovo corso di “estroversione”, di meditata considerazione nei confronti dei visitatori. Dopo secoli è stata riaperta la porta monumentale su Piazza del Parlamento e ridata luce al “tunnel medievale”, il corridoio che dà accesso alle sale espositive; sistemato il cosiddetto “rimessone”, il grande ambiente del palazzo a cui si accede dalla stessa piazza; riaperti “alla città” i Giardini reali, di cui si può godere indipendentemente dalla visita alla reggia (al costo di 2 euro). E, poi, oltre il portale, la sala d’ingresso restaurata ospita, dal settembre scorso, un elegante negozio con creazioni appositamente realizzate da artigiani siciliani ispirandosi ai motivi iconografici della Sala di Re Ruggero e una selezione di libri d’arte.
Sala della mostra Castrum superius. Il Palazzo dei re normanni |
Sala della mostra Castrum superius. Il Palazzo dei re normanni |
La mostra
Come la storia plurimillenaria del monumento racconta dell’incontro di civiltà e culture diverse, in modo insuperabile nella Cappella Palatina, “la più bella cosa che esista al mondo” (Guy de Maupassant), “la meraviglia delle meraviglie” (Oscar Wilde), dove coesistono architettura romanica, mosaici bizantini e pittura islamica, e dove, immedesimata in una profusione di motivi ornamentali e calligrafici, sfila la straordinaria varietà di soggetti che compongono la corte di Ruggero II con la sua eterogenea convivenza culturale, così il Palazzo raccontato in mostra torna a essere simbolo, come fu in antico, di convivenza tra i popoli.
Coerentemente con questo messaggio culturale, non si hanno secondo consuetudine uno o più curatori, ma una curatela collegiale che coincide con un comitato scientifico di cui fanno parte Vladimir Žorić, Henri Bresc, Maria Concetta Di Natale, Giuseppe Barbera, Stefano Biondo, Maria Giulia Aurigemma, Maria Maddalena De Luca, Antonino Giuffrida e Stefano Vassallo, che, insieme ad altri, hanno firmato i saggi in catalogo. Edito dalla stessa Fondazione Federico II, il volume viene a costituire un imprescindibile punto di riferimento per gli studi futuri, in cui sono avanzate nuove ipotesi di lavoro (Vassallo, per esempio, auspica il proseguo degli scavi archeologici che “stanno rivelando uno straordinario potenziale per scrivere la storia del sito”) e aperti problemi interpretativi (come sul soffitto della Cappella Palatina, al centro dei saggi di Žorić e Aurigemma). Quasi un coro greco, le “voci” degli studiosi commentano ciò che avviene sulla scena. E sulla scena c’è lui, il Palazzo, le sue pietre, i suoi arredi, i suoi capolavori d’arte, le vicende costruttive, gli scavi archeologici, le caratteristiche militari, l’aspetto residenziale e religioso. È una storia che inizia a scriversi in età antica, ellenistica, romana e bizantina, che viene profondamente riscritta in quella normanna durante la “costruzione del Regno” (Bresc), per essere poi ripresa nell’epoca dei viceré, è, quindi, “un mito che continua” (Giuffrida) sotto i Borboni. Una storia che si prosegue a scrivere anche oggi: il palazzo dei re Normanni è una sede viva, dove si continua a esercitare il potere politico, anche se questo, smesse quelle di re e viceré, ha assunto dal 1947 le vesti democratiche dell’Assemblea Regionale Siciliana.
In controtendenza rispetto a un “mostrificio” d’importazione (si pensi alla recente monografica di Antonello all’Abatellis o al Caravaggio della collezione Spier alla Soprintendenza di Siracusa), si tratta di una mostra tutta siciliana, con prestiti (dipinti, sculture, disegni, monete, ceramica, ecc.) dai maggiori musei e istituzioni regionali (Abatellis, Bellomo, Museo Regionale di Messina, Salinas, Pepoli, musei civici, diocesani, Biblioteche regionali, ecc.) insieme a quelli dalla Cappella Palatina, da cui proviene anche l’affresco staccato della Madonna Odigitria. Per citarne solo qualcuno, oltre a quelli che si menzioneranno più avanti: dalla Galleria di Palazzo Abatellis arrivano le Lastre con iscrizione araba in lode di Ruggero II dal Palazzo di Palermo (1130-1154) e il Pannello di soffittatura dal Palazzo Reale di Palermo (fine del secolo XII); dalla Soprintendenza di Palermo la Lapide con iscrizione quadrilingue (1149) e quella con iscrizione trilingue (1153), dal Museo Regionale di Messina la testa di apostolo (XII-XIII secolo), il capitello a stampella (XII secolo) e il capitello e architrave con scene di combattimento (XII-XIII secolo); dal Museo archeologico Salinas monete di coniazione normanna; dal Comune di Mazara del Vallo la Coppia di elefanti in marmo bianco (prima metà secolo XII) e la coppia di leoni pure in marmo (secolo XII, prima metà), oltre a un Pluteo (prima metà secolo XII); dalla Galleria Bellomo di Siracusa una vaschetta marmorea, con decoro animalistico (XII secolo) e una mensolina (protome umana), in marmo scolpito (XII secolo); dalla Curia di Monreale i due capitelli del baldacchino della tomba di Guglielmo I (seconda metà secolo XII); dal museo Griffo di Agrigento un Pluteo, in marmo con cervi affrontati (inizi secolo XII).
Il soffitto della Cappella Palatina |
Soffitto della Cappella Palatina dal ponteggio durante il restauro del 2005-2009. Ph. Credit Silvia Mazza |
Odigitria da Calamauro (fine XII secolo; mosaico; Palermo, Galleria Regionale di Palazzo Abatellis) |
Odigitria, dettaglio (XII secolo; affresco staccato; Palermo, Chiesa di Santa Maria delle Grazie) |
Lapide con iscrizione quadrilingue (1149; Palermo, Museo della Zisa) |
Sezione della mostra con le due coppie di leoni marmorei al centro |
Le Sezioni espositive
Alla grande sala che ospita l’esposizione si approda attraverso un vero e proprio rito “liminale”, di passaggio dall’esterno, dopo aver varcato il portone monumentale e percorrendo il “tunnel medievale”, anti-struttura urbana, camera di decompressione dallo spazio della quotidianità e, allo stesso tempo, struttura omogenea invece allo spazio “altro” in cui oggetti e opere d’arte sono sottratti al tempo. E qui la catabasi ad inferos del tunnel si converte in un’ascesa catartica che travalica i limiti fisici fissati dall’allestimento effimero: in alto, oltre le pareti provvisorie e le pannellature mobili, riemergono alla vista brani superstiti degli importanti cicli di dipinti murali commissionati da Luigi Moncada nel XVII secolo ai più valenti pittori del tempo. Tra questi brani l’attenzione del visitatore è catturata dalla scena dettagliata della Sala del Parlamento Siciliano (XVII secolo), di Gerardo Astotino, col soglio riservato al Presidente e gli scanni per i tre rami del Parlamento. Si tratta di una raffinata regia allestitiva che collega simbolicamente in verticale il fulcro dell’esposizione, la sezione dedicata appunto al “Castrum superius”, alla funzione del più antico parlamento d’Europa.
A sottolineare la centralità di questa sezione nel percorso di visita, pareti divisorie la enucleano dal resto dell’ambito espositivo, concepito come un open space. Ad essa si accede simbolicamente attraverso la riproduzione delle porte bronzee della Cappella Palatina incorniciate dalle Lastre con iscrizione araba in lode di Ruggero II (XII secolo), che nello stesso Palazzo dovevano trovarsi a coronamento di una porta. Rievocano le iscrizioni arabe della Cappella Palatina, che esibiscono un gran repertorio di ad’iya (qualità o virtù che si richiedono a Dio per il sovrano). Al centro di questo spazio quasi l’invito a una circumambulatio, a girare cioè in un rito apotropaico intorno al supporto a pianta ottagonale, come le “stelle” del soffitto della Cappella Palatina, intorno alle due coppie di leoni provenienti da Mazara del Vallo e dalla Sala Ruggero dello stesso Palazzo. Mai come in questa occasione il biglietto integrato, mostra e Cappella (intero 10,00 euro, ridotto 8,00), ha una sua ragion d’essere.
Al visitatore è lasciata libertà di muoversi tra le sezioni tematiche o di seguire il racconto diacronico, che si apre con la Sezione “La Sicilia araba”, dove fa da baricentro dell’esposizione un raro Candelabro bronzeo con decorazioni a traforo, di ambito iberico (X secolo), dalla Chiesa Madre di Petralia Sottana; per proseguire con “La Contea”, a sua volta suddivisa in sotto-sezioni, di cui si menzionano giusto i pezzi più significativi: la sezione “Ruggero I” col Diploma del duca Ruggero (1086), dall’Archivio Storico Diocesano di Palermo; “Costanza” con il Codice della regina Costanza (XII-XII secolo), della Biblioteca regionale A. Bombace di Palermo; “Ruggero II”, con la Lapide Sepolcrale con iscrizione quadrilingue (1149), dal Museo della Zisa di Palermo e una vaschetta marmorea, con raffinato decoro zoomorfo e fitomorfo (XII secolo), dalla Galleria Bellomo di Siracusa; “Guglielmo I” e “Guglielmo II”, dove un supporto ondulato mette in valore i quasi quattro metri di lunghezza della pergamena con la Platea di Guglielmo II (XII secolo) con sigillo plumbeo, dal Tabulario Santa Maria Nuova di Monreale. Insieme al Privilegio di Enrico VI con sigillo aureo, dallo stesso Tabulario, si tratta di opere rese note in occasione della mostra. Nella Sezione dedicata alla “Cappella Palatina”elemento catalizzatore è uno dei modelli lignei del soffitto a muqarnas della Cappella Palatina (XIX secolo), dall’Accademia delle Belle Arti di Palermo. Nel catalogo si segnala lo studio inedito di Žorić sulle tecniche costruttive del suo soffitto, che rivela la straordinaria invenzione tecnologica nella costruzione della carpenteria che ha permesso un estremo alleggerimento dell’insieme di muqarnas, cupolette e “stelle ottagonali”: le superfici curve sono formate con assicelle accostate che non superano i 5 mm. Se fossero state, invece, in legno massello il peso del soffitto sarebbe stato di cinque o sei volte superiore a quello effettivo e non in grado di garantire il funzionamento strutturale e la sua stessa sopravvivenza nei secoli. “La più antica carpenteria lignea ornamentale ancora in situ esistente in Europa, e anche l’unica di questo tipo”, osserva Žorić. Ma nei secoli successivi questa straordinaria invenzione produsse degli esiti? Ritengo che un lontano erede di questa tipologia costruttiva lo si possa individuare nell’orditura dell’estradosso delle volte leggere, dette “in cannucciato”, realizzate per palazzi nobiliari, chiese e teatri tra il 1500 e il 1800. Molto diffuse per la loro economicità e facilità di realizzazione, nonché, probabilmente, per la stessa ragione del peso contenuto.
Le sezioni, poi, offrono un’attenta selezione di opere d’arte suntuaria e di codici miniati d’età normanna rimasti in Sicilia, curata da Maria Concetta Di Natale. Si possono ammirare l’Epistolarium, dalla Biblioteca Painiana di Messina, “raffinatissimo manoscritto che basta a testimoniare l’alta qualità raggiunta dai miniatori nella città dello Stretto”, in cui le figure di leoni rimandano a quelli delle lunette a mosaico della Sala di Ruggero; una significativa campionatura di preziosi cofanetti eburnei del Tesoro della Cappella Palatina; il Reliquario a braccio di San Marziano (XII secolo) del Tesoro del Duomo di Messina, “importante testimonianza dell’argenteria sacra normanna superstite in Sicilia”; e ancora il raro (per tipologia, materiali e tecniche realizzative) Altarolo portatile del Tesoro della Cattedrale di Girgenti, opera bizantina (XIII secolo).
Vetrina con cofanetti |
In primo piano: Platea di Guglielmo II (XII secolo; dal Tabulario Santa Maria Nuova di Monreale) |
Modelli lignei del soffitto a muqarnas della Cappella Palatina (XIX secolo; Palermo, Accademia delle Belle Arti di Palermo) |
Riproduzione delle porte bronzee della Cappella Palatina incorniciate dalle Lastre con iscrizione araba in lode di Ruggero II (XII secolo) |
Rocco Lentini, Veduta con Castello della Zisa (1935) e Veduta con la Cuba (1922), entrambe olio su tela |
Copia del Manto di Ruggero (Como; Fondazione Ratti) |
Sigillo d’oro di Enrico VI |
Intorno al “centro di gravità” della mostra, la sezione “Castrum superius”, di cui si è detto, si articolano le Sezioni tematiche, che illustrano tutte le funzioni del Palazzo: gli Opifici, la Zecca e il Parco Reale normanno che dal palazzo si estendeva attraverso la valle dell’Oreto. A calamitare lo sguardo nella sezione “Opifici” è la copia del Manto di Ruggero dalla Fondazione Ratti di Como, realizzata in occasione della mostra sui Normanni a Palazzo Venezia a Roma nel 1994, per superare le serie problematiche di conservazione dell’originale custodito presso il Kunsthistoriches Museum di Vienna. La selezione di monete dai musei Pepoli e Salinas documenta l’importanza della Zecca di Palermo durante le dominazioni araba e normanna. Mentre, infatti, “in Europa la produzione aurea fu sospesa a seguito delle riforme di Carlo Magno”, Lucia Traviani e Giuseppe Sarcinelli spiegano in catalogo che “la zecca palermitana coniava moneta in oro seguendo una tradizione ininterrotta del mondo bizantino e poi islamico”.
Suddivisa, infine, in due nuclei tematici la sezione “Parco Reale” propone in quella dedicata al “Genoard” (dall’arabo Jannat al-ard, paradiso terrestre) la ricostruzione delle immagini dei parchi e giardini nella Palermo normanna (il saggio in catalogo è firmato da Giuseppe Barbera), così come si vede nei due oli di Rocco Lentini, Veduta con Castello della Zisa (1935) e Veduta con la Cuba (1922); e i due oli su tela di ignoto con Il Palazzo reale di Palermo e Il Castellammare di Palermo (XVIII secolo).
La mostra è stata anche occasione per sperimentare forme di applicazione dei più recenti sviluppi della tecnologia digitale così da consentire di apprezzare particolari difficili da vedere ad occhio nudo e di esplorare le matrici geometrico-costruttive del soffitto. L’esposizione vera e propria è, dunque, preparata da un video nel corridoio che conduce alle sale, da uno schermo touchscreen nella sala adiacente a quella che ospita la mostra, e un’applicazione di realtà aumentata che, sulla soglia di quest’ultima, riproduce un tappeto musivo che si anima sotto i piedi dei visitatori: interpretazione dinamica del tema della liminalità, impedisce al visitatore di “tirar dritto” e ne cattura da subito l’attenzione. Trattenuto per qualche secondo in questa “statio” ha così modo di far vagare liberamente lo sguardo attraverso il continuum narrativo con cui si dipana nell’ampio, unico ambiente il racconto della fisionomia medievale dell’edificio.
L’applicazione di realtà aumentata |
Schermo touchscreen con riproduzione in 3D del soffitto della Cappella Palatina |
I Giardini Reali |
Passage to Mediterranean, l’installazione di un giardino culturale dinamico su piazza del Parlamento |
Passage to Mediterranean, l’installazione di un giardino culturale dinamico su piazza del Parlamento vista dall’alto |
Nell’impossibilità di farne, come pure meriterebbe per l’importanza storico-documentale della riunione delle opere in prestito, una mostra permanente presso il Palazzo, l’eccezionalità dell’allestimento suggerirebbe che ne fosse serbata memoria in un catalogo-appendice appositamente dedicato.
Una mostra, in conclusione, che rappresenta la punta più alta del nuovo corso della Fondazione Federico II sotto la direzione di Patrizia Monterosso, che, archiviate le stagioni del passato delle mostre preconfezionate e importate, si contraddistingue per la realizzazione di eventi espositivi originali e a chilometro “zero”, con opere siciliane. Tra questi, si ricorda nel 2018 Sicilië, pittura fiamminga, che ha presentato per la prima volta al grande pubblico, nelle Sale Duca di Montalto fresche di restauro, una significativa raccolta di dipinti fiamminghi (una sessantina) presenti nelle collezioni private e pubbliche dell’Isola. Spicca a connotare quest’ultimo e tutti gli altri eventi espositivi l’assenza, già sottolineata, di uno o più curatori, in favore di una curatela collegiale demandata, di volta in volta, a un comitato scientifico costituito ad hoc. Con i Giardini Reali recuperati e l’installazione di un giardino culturale dinamico (Passage to Mediterranean) su piazza del Parlamento, che rievoca in pianta il motivo delle “stelle ottagonali” della Cappella Palatina, si ricompone il quadro unitario di un progetto di valorizzazione che appare meditato e costruito secondo una linea di coerenza che ne fa un caso più che raro in una Sicilia che si è contraddistinta recentemente per eventi al minimo ribasso culturale.
L'autrice di questo articolo: Silvia Mazza
Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e dal compianto Folco Quilici nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Come opinionista specializzata interviene spesso sulla stampa siciliana (“Gazzetta del Sud”, “Il Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, etc.). Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale (Carta del Rischio).