Milano celebra la scultura di Francesco Somaini: un progetto, tre mostre


Recensione della mostra “Somaini a Milano” (a Milano, Palazzo Reale, Museo del Novecento e Fondazione Somaini, dal 1° luglio all'11 settembre 2022).

Arte. Architettura. La città. Sono queste, volendo riassumere per sommi capi l’opera di Francesco Somaini (Lomazzo, 1926 – Como, 2005), le tre colonne portanti della grande impalcatura mentale su cui lo scultore edificò la propria poliedrica visione. A questa poliedricità è dedicato il progetto Somaini e Milano realizzato da Luisa Somaini, figlia dello scultore, con una rosa di curatori di prim’ordine: Francesco Tedeschi, Danka Giacon e Fulvio Irace, e con il sostegno di Crédit Agricole ed Esselunga. Il progetto vede finalmente la luce dopo un lunghissimo periodo di incubazione che può essere fatto risalire al 2010, anno di nascita della Fondazione Somaini, quando in occasione di una piccola mostra alla Triennale di Milano dedicata alla stagione americana dello scultore, Luisa Somaini ed Enrico Crispolti iniziarono ad accarezzare l’idea di concepire una grande rassegna monografica in diverse istituzioni milanesi per approfondire il legame che intessé con la città di Milano, fattore assolutamente imprescindibile per comprenderne la cifra e le importanti trasformazioni artistiche.

Nasce così Somaini e Milano, corollario di tre mostre simultanee, allestite a Palazzo Reale, al Museo del Novecento e alla Fondazione in corso di Porta Vigentina, che approfondisce tutte le sfaccettature degli intensi scambi dello scultore con il capoluogo lombardo. E non solo, perché Milano costituisce il punto di partenza di un itinerario ideale che il visitatore è invitato a seguire sulle tracce dell’opera di Somaini, un tesoro che conta non solo opere d’arte ma anche una pluralità di richiami, interventi, progetti e connessioni disseminati nel territorio italiano ed estero, preziosi supporti per la riscoperta di una delle figure più versatili e compiute nell’arte del secondo Novecento.

Originario di Lomazzo, in provincia di Como, dove nacque nel 1926, Somaini studiò all’Accademia di Brera di Milano dove tra il 1945 e il 1947 fu allievo di Giacomo Manzù. Da quel momento, Milano sarebbe diventata la sua città di elezione, cornice di numerosi progetti negli anni a venire e teatro della fioritura di legami e relazioni con ambienti culturali che contribuirono a plasmarne le idee verso nuove direzioni. Uno su tutti il MAC/Espace al quale aderì nel 1955, un ampio movimento artistico fondato a Milano da Gillo Dorfles, Bruno Munari, Ettore Sottsass e altri, fusosi poi con il Groupe Espace guidato da André Bloc in Francia. Il MAC, che aspirava a promuovere un’arte non-figurativa sulla scia del Concretismo teorizzato da Van Doesburg e Kandinsky negli anni Venti, richiamò a sé non solo pittori e scultori, ma anche grafici, designers industriali e architetti che diedero contributi significativi al grande dibattito postbellico sulla sintesi delle arti. Determinante fu l’amicizia di Somaini con Enrico Crispolti e ancor di più con Luigi Caccia Dominioni, con cui collaborò fittamente per vent’anni. Stimolato dal clima cultuale in atto Somaini individuerà nell’architettura i presupposti necessari per ampliare la sua ricerca artistica, arrivando a progettare una scultura sempre più monumentale, in simbiosi profonda con il campo urbano, la città e il territorio. Questo processo ha un suo momento apicale nella pubblicazione del volume Urgenza nella città firmato insieme a Enrico Crispolti nel 1972, che raccoglie le teorie derivate dai numerosi studi progettuali in cui la scultura si configura come un’arte votata a riqualificare il tessuto urbano, a trasformare l’ambiente limitrofo o, in alcuni casi, funge da critica sociale verso il territorio in cui si inserisce, come accade nei Progetti Polemici e nei fotomontaggi metropolitani.

Somaini e Milano. La scultura, Sala della Lanterna, Palazzo Reale
Somaini e Milano. La scultura, Sala della Lanterna, Palazzo Reale
Francesco Somaini, Bozzetto per il Monumento ai Marinai d'Italia I, 1966, Coll. Balzaretti Balocco
Francesco Somaini, Bozzetto per il Monumento ai Marinai d’Italia I (1966; Collezione Balzaretti Balocco)
Somaini e Milano. La scultura, Sala del piccolo Lucernario, Palazzo Reale
Somaini e Milano. La scultura, Sala del piccolo Lucernario, Palazzo Reale
Francesco Somaini, Grande Prigioniero. Prometeo incatenato, 1953, Archivio Francesco Somaini
Francesco Somaini, Grande Prigioniero. Prometeo incatenato (1953; Archivio Francesco Somaini)
Somaini e Milano. La scultura, Sala delle Cariatidi, Palazzo Reale
Somaini e Milano. La scultura, Sala delle Cariatidi, Palazzo Reale

La prima tappa non può che essere Palazzo Reale, con la mostra Somaini e Milano. La scultura poiché, come ha ricordato il curatore Francesco Tedeschi, “Somaini non è riducibile alla sua attività specificamente scultorea, eppure è prima di tutto scultore”. Mostra, fra l’altro, sapientemente anticipata dalla presenza dell’opera Sviluppo di un’opera antropomorfica (1979) installata in Piazzetta Reale, le cui superfici rosee e morbidamente arricciate non solo accendono chiari rimandi alle qualità scultoree di Somaini, ma citano quell’erotismo spesso celato nelle sue forme astratte antropomorfe come pure il rapporto fra opera e spazio urbano: tutti concetti chiave che ritroveremo nelle altre mostre del ciclo e che fanno dell’opera un perfetto landmark dell’iniziativa.

A Palazzo Reale il tema è quello dell’arte nella sua essenza più pura, che in termini somainiani è la scultura. Le settanta opere, dispiegate in tre sale attigue del Palazzo, sono datate tra il 1948 e il 1992 e documentano quindi le diverse stagioni della poetica di Somaini fissandone i cardini assoluti: la continua ricerca di innovazione, il gioco dei volumi e degli spazi, la relazione tra pieno e vuoto, forma e materia, opera e ambiente. La Sala della Lanterna ospita un piccolo nucleo di sculture che prelude al cuore dell’esposizione: è la serie di 15 bozzetti preparatori al Monumenti ai Marinai d’Italia di Milano, che Somaini realizzò tra il 1966 e il 1967 su invito dell’architetto Luigi Caccia Dominioni, nei quali lo scultore coniuga il motivo dell’onda con l’iconografia classica della Vittoria alata. Per realizzare il monumento definitivo, alto oltre 6 metri e mezzo, Somaini sperimentò per la prima volta la tecnica del getto di sabbia a forte pressione (che aveva ribattezzato “lo scalpello di Dio”), messa a punto per dare maggior vibrazione alle superfici e più tensione tra pieni e vuoti, una tecnica assolutamente originale che costituirà la base del suo processo creativo per la modellazione delle sculture monumentali.

Nella successiva sala, detta del piccolo Lucernario, una esigua serie di sculture allestite in ordine cronologico in un arco che va dal 1948 al 1957 accompagnano il visitatore nell’evoluzione dello stile dello scultore. Le opere in gesso degli esordi (apre la via la Bagnante [II stadio] del 1948-1949, presentata alla Biennale di Venezia nel 1950 e che porge tributo al magistero di Marini e Manzù) lasciano il posto a lavori caratterizzati da uno stile sempre più astratto e dominato da curve e forme sinuose, che traggono forza dall’uso di nuovi materiali rilucenti come il bronzo, il piombo, l’ottone e il peltro. Lo sguardo finisce per arenarsi negli interstizi della superficie scultorea di metà anni Cinquanta: Lotta con il mostro (1950), Lotta con l’angelo (1951), Grande guerriero (1953) e Grande prigioniero (1953) sono opere di transizione che raccontano il tentativo di Somaini di misurarsi con l’esperienza cubista, appresa da Archipenko, Brancusi, Arp e altri autori che conosce durante i viaggi a Parigi di quegli anni. E proprio queste opere anticipano il periodo informale di Somaini che caratterizzerà le sculture realizzate dagli anni Cinquanta ai Settanta.

Francesco Somaini, Primavera d'altoforno I [I variante], 1963, Coll. privata
Francesco Somaini, Primavera d’altoforno I [I variante] (1963; Collezione privata)
Francesco Somaini, Grande Traccia e Piccola Antropoammonite XV. Rugosa oppure Mediterranea (det.), 1977, Archivio Francesco Somaini
Francesco Somaini, Grande Traccia e Piccola Antropoammonite XV. Rugosa oppure Mediterranea, dettaglio (1977; Archivio Francesco Somaini)
Francesco Somaini, Grande traccia per Nascita di Venere I, 1985, Coll. privata
Francesco Somaini, Grande traccia per Nascita di Venere I (1985; Collezione privata)
Francesco Somaini, Colosso di New York II, 1976, Archivio Francesco Somaini
Francesco Somaini, Colosso di New York II (1976; Archivio Francesco Somaini)
Francesco Somaini, Sviluppo di un'opera antropomorfica, 1979, Archivio Francesco Somaini
Francesco Somaini, Sviluppo di un’opera antropomorfica (1979; Archivio Francesco Somaini)

La scelta di collocare quest’ultimo gruppo nella Sala delle Cariatidi, gloriosa ambientazione intrisa di connotazioni storiche, non è casuale. La sfida è stata quella di creare un terreno comune di dialogo e confronto sull’architettura, tra le sculture più mature di Francesco Somaini, già fortemente orientate al rapporto tra opera e suo contesto, e l’estetica settecentesca della Sala, che per parte sua rievoca tutto lo splendore della grande tradizione architettonica milanese attraverso i secoli, a cominciare dal motivo delle Cariatidi che si ripete negli Omenoni di Palazzo Leoni-Calchi e negli affreschi di Palazzo Marino. Francesco Somaini amava colloquiare con l’antico e lo fece spesso, prova ne è ad esempio l’interpretazione del mito, dal Prometeo incantenato (1953) alla Grande traccia per la Nascita di Venere (1986) fino alla riflessione ritmica sul concetto di metamorfosi che pervade tutta la sua produzione.

Nella Sala delle Cariatidi, perno dell’intera mostra, domina il trionfo della materia nello spazio, che è doppio. Da un lato lo spazio proprio dell’opera, che si libera in forme quasi inafferrabili allo sguardo, irregolari e frastagliate nei profili perforanti (Grande ferito I, 1960; Grande Proposta per un monumento III, 1961; Grande racconto patetico, 1964), si distorce e si contorce (Grande Antropoammonite I, 1975-77; Prima matrice anamorfica per Nascita di Venere III, 1985; Fortunia I e III, 1988/1992), oppure agisce su se stessa (o contro se stessa), imprimendo nella propria medesima materia muscolare tracce e solchi che come binari conducono il pensiero a visualizzare la presenza-assenza di entità antropomorfe già mutate in altro e confluite altrove (Grande traccia per Nascita di Venere I, 1985; Moneta e la sua traccia positiva e negativa nella storia dell’uomo, 1980-81, Antropoammonite XVI e Grande traccia verticale, 1977-78). Ma lo spazio è anche quello circostante, investito dal peso fisico e simbolico delle sculture e dunque restituente il pieno senso di un’arte che non ha modo di essere se non rapportata al mondo esterno, in funzione del quale finalmente può attivarsi. L’atto procreativo dell’archiscultore raggiunge il proprio apice con le Carnificazioni di un’architettura, opere colte nel pieno del processo metamorfico che Somaini concretizza inserendo negli elementi architettonici segmenti alieni che si sciolgono, si distorcono, si flettono e si avvitano, come vinti da forze e pesi invisibili, creando contrasti affascinanti tra le rigide estremità in ferro e i corpi centrali mutati in materia organica viva, dinamica e sofferente.

Già in queste opere si percepisce dunque la spinta di Somaini all’architettura, che si compie al Museo del Novecento e infine alla Fondazione. Nella sala degli Archivi dell’Arengario, la mostra Somaini e Milano. Incontri a cura di Danka Giacon approfondisce i rapporti coltivati dallo scultore con gli architetti Luigi Caccia Dominioni e Ico Parisi, uniti in un sodalizio attorno cui gravitarono altre figure chiave come l’artista Lucio Fontana, lo scrittore Giorgio Bassani e i fotografi Ugo Mulas, Giorgio Casali ed Enrico Cattaneo. Nell’ampia raccolta di materiali esposti vi sono fotografie, disegni, bozzetti e due modellini architettonici: sono i plastici del progetto “Spazio R” presentato al concorso (e purtroppo destinato a non essere scelto) per il Monumento alla Resistenza di Cuneo, al quale lo scultore lavorò nel 1962-1963 insieme a Lucio Fontana, Ico Parisi ed Enrico Cavadini. Un’intera sezione è poi dedicata ai progetti per le pavimentazioni di proprietà milanesi private e pubbliche realizzate in collaborazione con Luigi Caccia Dominioni.

Somaini e Milano. Incontri, Sala degli Archivi, Museo del Novecento
Somaini e Milano. Incontri, Sala degli Archivi, Museo del Novecento
F. Somaini, L. Fontana, I. Parisi, E. Cavadini, Modello del concorso per il Monumento alla Resistenza di Cuneo - II grado, 1963, Archivio Francesco Somaini (in Somaini e Milano. Incontri, Sala degli Archivi, Museo del Novecento)
Francesco Somaini, Lucio Fontana, Ico Parisi, Enrico Cavadini, Modello del concorso per il Monumento alla Resistenza di Cuneo - II grado (1963; Archivio Francesco Somaini)
Francesco Somaini, Sfinge di Manhattan, 1974, Archivio Francesco Somaini (in Somaini e Milano. Oltre la scultura: la citta?, Fondazione Francesco Somaini)
Francesco Somaini, Sfinge di Manhattan (1974; Archivio Francesco Somaini)
Somaini e Milano. Oltre la scultura: la citta?, Fondazione Francesco Somaini
Somaini e Milano. Oltre la scultura: la citta?, Fondazione Francesco Somaini

Anche dopo che Somaini ebbe allargato i confini della sua produzione all’estero, il laboratorio di Lomazzo rimase sempre il centro operativo di tutto il suo lavoro, arrivando a dotarsi di una cabina per l’uso del getto di sabbia a pressione che richiedeva di indossare una tuta apposita e uno scafandro protettivi. I celebri reportage di Casali, Cattaneo e Mulas restituiscono l’immagine di un luogo carico di vibrante vitalità e operosità, con periodi di intenso lavoro inframezzati da momenti più intimi, come la vestizione della tuta. Le fotografie sono squarci aperti sulle intense sessioni di lavoro di Somaini e sul suo rapporto con lo studio, che lo scultore visse sempre come un luogo doppiamente sacro: sia il contenitore della gestazione dell’atto creativo, e sia un rifugio familiare in cui preservare il contatto istintivo con l’arte e con la propria dimensione umana, misurata negli scatti di Mulas dagli sguardi liquidi ed ermetici lasciati trapelare dalla fitta armatura dell’artista.

Dal laboratorio di Lomazzo fuoriuscirono anche tutti i progetti internazionali degli ultimi anni, oggi conservati nel vasto Archivio della Fondazione Somaini. Molti di essi sono raccolti nella mostra Oltre la scultura: la città presso la Fondazione, curata da Luisa Somaini con Fulvio Irace, il cui punto di forza è l’allestimento strategico, ideato proprio per accogliere il visitatore fin dentro l’opera di Somaini, come per invitarlo a inoltrarsi nelle insenature della materia, in una esperienza immersiva allo stesso tempo fisica e mentale. Nella forma più compiuta del dialogo tra scultura e architettura trovano spazio il fascino di Somaini per il sottosuolo, tema declinato in vari studi per le metropolitane; i fotomontaggi delle gigantesche sculture metropolitane annidate fra i palazzi di New York, Düsseldorf e Duisburg; le Spine Verdi del Giardino Verticale (termine coniato nel 1972, benché oggi ci faccia pensare a ben altri riferimenti) destinato alla periferia nord di Milano per promuovere l’urgenza di ricorrere nell’edilizia a soluzioni più legate al verde, e molto altro ancora.

Visionario, come gran parte delle sue creazioni sempre in bilico fra realtà e utopia, è il progetto del giardino erotico/antropomorfico per il concorso parigino del Parc de La Villette, che si fonda sul rifiuto del format tradizionale del giardino ottocentesco gradevole, educato e regolare, in favore di una natura selvaggia ed esteticamente, ma anche socialmente, più conforme alla materia umana. Un discorso particolare è quello sulle città lombarde, a lui sempre molto care, Bergamo, Mantova e Como: ad esse Somaini dedicò sessioni di lavoro sistematiche e dettagliatissime, dando vita a progetti di orientamento sociale che con soluzioni audaci e originali affrontavano il dibattito su tematiche quali l’industrializzazione irresponsabile verso le comunità locali, la scomparsa e l’impoverimento delle periferie e i risvolti inquietanti dell’iper-infrastrutturazione a scapito dell’integrità del territorio. Progetti, visioni, idee solide come architetture del futuro che hanno fissato i termini di un manifesto tuttora coerente e più che mai urgente: “alla scultura ormai non resta come futuro che il campo urbano e sociale” perché “i limiti della scultura non sono né tecnici né poetici ma sociali e stanno nella fruizione”.


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