Milano, a Palazzo Reale una mostra su El Greco per stupire il pubblico


Recensione della mostra “El Greco. Un pittore nel labirinto”, a cura di Juan Antonio García Castro e Palma Martínez Burgos-García (Milano, Palazzo Reale, dall’11 ottobre 2023 all’11 febbraio 2024).

Scipione, ch’è stato il pittore più tormentato, poetico e passionale della Scuola Romana degli anni Trenta, ha firmato una delle pagine di critica su El Greco più intense che mai siano state scritte. A Scipione si potrà rimproverare scarsa originalità, dato che su El Greco ha scritto quello che tutti pensavano e tutti oggi pensiamo, e gli si potrà rimproverare d’aver scritto quasi d’impulso, ma non gli si può dire che non sentisse nel profondo quel che scriveva, parlando d’un artista che lo aveva preceduto di trecento anni: “Per noi El Greco è un visionario, con la sua pittura sconvolge le menti, le chiese si popolano di incubi religiosi, risolleva le immagini e, trasfigurandole, portandole su un piano irreale, confondendo i due elementi, dipingendo nel quadro tutto presenta e con la stessa intensità. Le sue figure sono fantasmi che si concretano con una realtà tattile terribile; le sue figure sono sottili maglie perché non finiscono. La bellezza intangibile dei personaggi divini si sforma, si corrompe, ad ammonire le genti”. El Greco è pittore che ha consumato tutti gli aggettivi possibili. Ogni sua opera è come un’allucinazione. Ogni dipinto un viaggio. E ogni mostra, dunque, diventa un evento. El Greco è uno di quegli artisti di cui è difficile stancarsi, e quando c’è una mostra che lo riguarda solitamente si tende a indulgere verso un giudizio positivo, perché si viene rapiti dai suoi vortici, dai suoi colori irreali, dagli spettri che popolano le sue composizioni ardite.

Lo sanno bene, evidentemente, Juan Antonio García Castro e Palma Martínez-Burgos García, curatori della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto, in programma fino all’11 febbraio 2024 a Milano, nelle sale di Palazzo Reale. El Greco è un pittore che cattura, e serviva una mostra che catturasse, una mostra scenografica, una mostra in grado di stordire il pubblico (fin dall’introduzione, si potrebbe malignare, con le riproduzioni integrali dei saluti istituzionali nel catalogo messe sui pannelli d’apertura). Basta radunare un numero d’opere buono e rappresentativo, e sistemare attorno ai pezzi un allestimento coinvolgente come quello progettato da Corrado Anselmi, avvincente anche se un poco tortuoso, e la mostra si crea da sé. Il resto pare quasi superfluo: il fatto che non ci siano novità sostanziose, se non una rilettura dei modelli italiani con cui El Greco dovette misurarsi, e poi i confronti a volte un po’ tirati, la pannellistica non esaltante, il tema troppo debole (il “labirinto” del titolo che vorrebbe essere allegoria delle peripezie della sua vita oltreché rimando simbolico alla complessità della sua pittura, e naturalmente fin troppo scontato riferimento alle origini cretesi di Doménikos Theotokópoulos, detto “El Greco”, con articolo spagnolo e soprannome italiano quasi a voler riassumere le due terre che lo accolsero). Il progetto, insomma, non è dei migliori. Però i curatori hanno saputo raccogliere un nucleo di opere di livello altissimo, per quantità e per qualità: chiunque, nel mondo, voglia approfondire El Greco, fino a febbraio forse dovrebbe andare addirittura a Milano anziché a Toledo, dato che le principali opere toledane sono in trasferta a Palazzo Reale. E copiosa è pure la selezione dai musei italiani: praticamente tutto quello che di El Greco si conserva nei nostri musei si trova adesso in terra lombarda, in prestito alla mostra milanese.

Ci sono state, in passato, altre mostre su El Greco in territorio italiano. L’ultima non più tardi d’otto anni fa, alla Casa dei Carraresi di Treviso: una rassegna curata da Lionello Puppi centrata sugli anni “italiani” di El Greco, il periodo che Theotokópoulos trascorse tra Venezia e Roma, tra il 1567 e il 1576. Più indietro nel tempo, nel 1999, c’era stata una monografica al Palazzo delle Esposizioni di Roma, una grande mostra itinerante frutto della collaborazione tra Italia, Spagna e Grecia (la prima tappa era stata al Thyssen-Bornemisza di Madrid, la seconda a Roma e la terza alla Pinacoteca Nazionale di Atene, il tutto a cura di José Álvarez Lopera, María del Mar Borobia, Nicos Hadjinicolau e Claudia Terenzi), un progetto che consentiva di conoscere l’intera carriera del pittore greco attraverso molti dei suoi capolavori più noti, tramite un percorso composto da 78 opere, contro le 54 della mostra di Palazzo Reale. E il principale motivo per cui si visita la mostra di Milano è proprio la possibilità di vedere riunite in un unico luogo così tante opere di El Greco, a quasi un quarto di secolo dall’ultima volta che è accaduto in Italia.

Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre
Allestimenti della mostra El Greco. Un pittore nel labirinto. Foto: Roberto Serra / MondoMostre

L’avvio della mostra ci presenta un giovane Doménikos Theotokópoulos che lascia l’isola natia e sbarca a Venezia, dove comincia a dimenticare la propria formazione per dipingere, lui che s’era formato tra le icone ortodosse, all’occidentale: due icone cretesi di autori non noti richiamano la Dormitio della chiesa di Ermopoli sull’isola di Siro, rara opera del periodo “greco” di El Greco, scoperta nel 1983 e purtroppo assente dalla mostra (è però rievocata da una Dormizione post-bizantina degl’inizî del Cinquecento), e accompagnano l’altarolo portatile di Modena, primo prestito “di lusso” della mostra milanese, e opera fondamentale nel percorso di El Greco poiché primo dipinto in cui s’apprezza l’abbandono di tutto il sostrato cretese (la “maniera greca”, in sostanza) in direzione della pittura veneziana. La laguna fu infatti la prima tappa di El Greco in Italia: arrivò a Venezia nel 1567 e subito prese a guardare alle opere dei grandi veneti, specialmente Tintoretto, che contribuirono fin da subito a orientare la sua pittura. Il trittico di Modena, firmato “Cheir Domenikou”, ovvero “di mano di Domenico”, ne è un primo saggio. È lo spettacolo di El Greco contenuto in appena trentasette centimetri: l’Allegoria dell’incoronazione del cavaliere che s’ammira nello scomparto centrale dell’altarolo è già una visione impetuosa, con gli angeli che s’aggrappano ai fasci di luce che arrivano dal cielo, il mostro infernale nella parte bassa, Cirsto che s’erge vittorioso sulla morte e incorona il cavaliere inginocchiato dinnanzi a lui, simbolo del miles Christi, il “soldato cristiano” che lotta contro le forze del male. Meno rapinosa, ma già presaga dei successivi sviluppi dell’arte di El Greco, è la scena con l’Annunciazione che si vede (male, perché in mostra il trittico è inclinato, forse troppo) sul lato posteriore.

Nella sala successiva il visitatore segue infatti El Greco nel suo arrivo a Venezia: la piccola tavoletta col Battesimo di Cristo proveniente dal Museo Storico di Creta a Heraklion, e la grande Annunciazione della fondazione Julio Muñoz Ramonet di Barcellona, posta a confronto con l’omologa opera del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, richiamano le relative scene dell’altarolo di Modena, palesando ancor più i modelli occidentali. Il Battesimo di Cristo viene descritto in catalogo da José Redondo Cuesta, con una certa efficacia, come il “primo ‘vagito’ artistico di un pittore neofita dell’arte occidentale - seppure già trentenne - immerso nel complesso apprendistato del nuovo codice artistico del Rinascimento”. Doménikos Theotokópoulos, da veneziano acquisito potremmo dire, dipinge alla veneziana: il disegno non è ancora nelle sue corde, la composizione è regolata da un colore che si presenta già con tinte quasi opalescenti, ravvivate da colpi di luce abbaglianti, specialmente sui panneggi, che paiono quasi di metallo cromato. Nell’Annunciazione, il modello per la composizione è Tintoretto, mentre il colore è d’impronta tizianesca ma i cangiantismi dei panneggi, costanti in questa fase dell’arte di El Greco, guardano invece al Veronese. Ci troviamo dinnanzi a un pittore che non ha ancora sviluppato del tutto la propria autonomia compositiva e preferisce dunque seguire la lezione dei grandi maestri della laguna, seppur cercando di sperimentare e di contaminare i suoi punti di riferimento, e malgrado quest’opera sia stata dipinta quando l’artista s’era già trasferito a Roma (anzi: sono databili a poco prima del definitivo trasferimento in Spagna). Possiamo ragionevolmente ritenere che l’artista fosse arrivato a Roma nel 1570, dal momento che già nel 1865 veniva pubblicata una lettera di quell’anno del più grande miniaturista del tempo, il croato Giulio Clovio, nella quale viene chiesto aiuto al cardinale Alessandro Farnese per ospitare un “giovane candiotto discepolo di Titiano” appena giunto nell’Urbe (nel catalogo, peraltro, un corposo saggio di Giulio Zavatta e Alessandra Bigi Iotti ricostruisce la presenza di El Greco a Roma e i suoi rapporti con i Farnese).

La sezione successiva è tutta dedicata al Doménikos Theotokópoulos “italiano” ed è tutta fondata su confronti tra le opere di El Greco e quelle dei suoi modelli. Si comincia con la piccola Ultima Cena della Pinacoteca Nazionale di Bologna (l’unica opera con questo soggetto che si conosca del pittore cretese, in un formato peraltro decisamente insolito per tale soggetto iconografico) che viene esposta assieme a un’opera della bottega del Tintoretto: il confronto consente di rilevare i punti in comune (l’impostazione della composizione col tavolo centrale e i personaggi disposti attorno, la gestualità di certi personaggi, come quella dell’apostolo che scatta dallo sgabello per lo stupore reggendosi al tavolo, la forma stessa degli sgabelli, la solennità della figura di Cristo). Da Parma arriva invece un capolavoro come la Guarigione del cieco, sistemata vicino a una Consegna delle chiavi di Giovanni Battista Castello (già attribuita a Giulio Clovio), confronto un poco forzato, giustificato per il comune ricorso a modelli michelangioleschi: la Guarigione, peraltro, è una delle opere di El Greco che figurano registrate negli antichi inventarî farnesiani (nel 1662 l’opera era data al Tintoretto, a dimostrazione di come il cretese guardasse da vicino alla pittura lagunare durante i suoi anni italiani), e con tutta probabilità venne commissionato direttamente dai Farnese. Nell’ambientazione, il dipinto lascia già intravedere l’aggiornamento di El Greco su modelli del centro Italia, come si nota osservando la piazza porticata, scorciata in prospettiva. Risale agli anni spagnoli il Cristo agonizzante con Toledo sullo sfondo che si trova in una sala un po’ appartata (attenzione a non saltarla durante la visita): opera che presenta già tutte le caratteristiche della maturità di El Greco, non prescinde comunque dal confronto con Michelangelo, specialmente nell’impostazione e nella posa (viene posto a paragone con un Cristo crocifisso dell’ambito di Marcello Venusti, direttamente derivato da un archetipo michelangiolesco, e con un Crocifisso d’argento della bottega di Guglielmo della Porta). Anche l’Orazione nell’orto della parrocchia di Santa María la Mayor di Andújar appartiene al periodo spagnolo: straniante dipinto in cui l’episodio evangelico appare così come potrebbe apparire in un sogno, con le figure allungate tipiche della produzione matura di El Greco, i bagliori come lame di luce che tagliano le nuvole, il paesaggio deformato e quasi del tutto privo di riferimenti, i panneggi degli apostoli che paiono quasi vivere di vita propria. Per qualche ragione l’opera è accostata a una Deposizione di Jacopo Bassano (viene individuato un non meglio precisato richiamo, che si stenta però a ravvisare), e poco spontaneo pare anche il dialogo tra il San Martino e il mendicante della National Gallery di Washington, una delle opere più note di El Greco e uno dei vertici della mostra, e l’omologa opera di Jacopo Bassano, mentre più puntuale appare il confronto tra lo smunto San Giovanni Battista di Theotokópoulos e quello di Tiziano delle Gallerie dell’Accademia: il santo del greco non è più l’imperioso atleta tizianesco, che non pare minimamente scalfito dalle peregrinazioni del deserto, e che El Greco forse aveva in mente quando dipingeva il suo Giovanni Battista, ma è un uomo visibilmente sofferente, emaciato, devastato dalle privazioni, privo di forze, malgrado la solennità della sua figura che si staglia su di un paesaggio in cui si scorge, in lontananza, il profilo dell’Escorial (era tipico di El Greco dipingere vedute reali nei suoi lavori).

Merita un discorso a sé il paragone apparentemente meno logico, quello tra la Sacra Famiglia con sant’Anna di El Greco e la Madonna Bolognini del Correggio, in prestito dal Castello Sforzesco. Il saggio di Zavatta e Bigi Iotti in catalogo attribuisce a Doménikos Theotokópoulos un particolare interesse per l’arte del Correggio, testimoniato da una copia, al momento dispersa, della Notte di Antonio Allegri conservata alla Gemäldegalerie di Dresda. Questa copia, che presuppone una visione diretta dell’originale correggesco, sarebbe anche utile per fissare in maniera convinta un soggiorno emiliano del pittore cretese, sinora ipotizzato da buona parte della critica, ma non documentato. La copia d’un’opera di Correggio rafforza l’idea che El Greco abbia soggiornato tra Parma e Reggio Emilia, e potremmo anche dire che corrobora in certa misura l’idea che il pittore ellenico abbia subito in qualche modo il fascino dell’arte correggesca: difficile però spingersi oltre, difficile trovare elementi correggeschi nei suoi dipinti, e il confronto tra le due opere non aiuta, a meno di non voler rimanere su di un piano generico. La didascalia in mostra parla di un’opera in cui “El Greco dispiega un linguaggio di profonda delicatezza, intimità e tenerezza”: al di là del fatto che questa scena, tanto intima e così amorevole nell’affrontare il tema della maternità, rappresenta un hapax nella produzione di El Greco (era un genere che non gli si addiceva, evidentemente), c’è anche da considerare che, volendo prender per buona la datazione più precoce, segue di una quindicina d’anni la sua partenza dall’Italia, e si fatica a pensare che a distanza di così tanto tempo possa essergli balenato in mente il ricordo del suo soggiorno parmense, tanto più che Correggio non fu un riferimento costante per la sua produzione come lo furono un Tintoretto, un Tiziano, ma anche un Bassano o un Veronese.

Scuola cretese, Icona della Trasfigurazione (prima metà del XVI secolo; tempera e foglia d'oro su tavola, 49,5 x 35,5 cm; Madrid, Collezione Francisco Bocanegra)
Scuola cretese, Icona della Trasfigurazione (prima metà del XVI secolo; tempera e foglia d’oro su tavola, 49,5 x 35,5 cm; Madrid, Collezione Francisco Bocanegra)
El Greco, Trittico di Modena, recto (1567-1569 circa; olio su tavola, 37,4 x 55,6 cm; Modena, Galleria Estense, inv. R.C.G.E. 8095)
El Greco, Trittico di Modena, recto (1567-1569 circa; olio su tavola, 37,4 x 55,6 cm; Modena, Galleria Estense, inv. R.C.G.E. 8095)
El Greco, Trittico di Modena, verso (1567-1569 circa; olio su tavola, 37,4 x 55,6 cm; Modena, Galleria Estense, inv. R.C.G.E. 8095)
El Greco, Trittico di Modena, verso (1567-1569 circa; olio su tavola, 37,4 x 55,6 cm; Modena, Galleria Estense, inv. R.C.G.E. 8095)
El Greco, Adorazione dei Magi (1568-1569 circa; olio su tavola di abete bianco, 44 x 51,3 cm; Madrid, Museo Lázaro Galdiano, Biblioteca, inv. 04056)
El Greco, Adorazione dei Magi (1568-1569 circa; olio su tavola di abete bianco, 44 x 51,3 cm; Madrid, Museo Lázaro Galdiano, Biblioteca, inv. 04056)
El Greco, Annunciazione (1572-1576 circa; olio su tela, 107 x 94 cm; Barcellona, Fundació Julio Muñoz Ramonet)
El Greco, Annunciazione (1572-1576 circa; olio su tela, 107 x 94 cm; Barcellona, Fundació Julio Muñoz Ramonet)
El Greco, Annunciazione (1576 circa; olio su tela, 117 x 98 cm; Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza)
El Greco, Annunciazione (1576 circa; olio su tela, 117 x 98 cm; Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza)
El Greco, Ultima cena (1568-1569 circa; tempera su tavola, 42 x 51 cm; Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 6378)
El Greco, Ultima cena (1568-1569 circa; tempera su tavola, 42 x 51 cm; Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 6378)
Giulio Clovio, Cristo consegna le chiavi a san Pietro (1598; miniatura su pergamena, 384 x 292 mm; Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 3044)
Giulio Clovio, Cristo consegna le chiavi a san Pietro (1598; miniatura su pergamena, 384 x 292 mm; Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 3044)
El Greco, Guarigione del cieco (1571-1573; olio su tela, 50 x 61 cm; Parma, Complesso della Pilotta, Galleria Nazionale, inv. 201)
El Greco, Guarigione del cieco (1571-1573; olio su tela, 50 x 61 cm; Parma, Complesso della Pilotta, Galleria Nazionale, inv. 201)
Ambito di Marcello Venusti, Cristo Crocifisso (XVI secolo; olio su tela, 91 x 58 cm; Ravenna, Museo d'Arte della Città)
Ambito di Marcello Venusti, Cristo Crocifisso (XVI secolo; olio su tela, 91 x 58 cm; Ravenna, Museo d’Arte della Città di Ravenna, inv. OA 108)
El Greco, Cristo agonizzante con Toledo sullo sfondo (1604-1614 circa; olio su tela, 111 x 69 cm; Colección Banco Santander, inv. A-0175-I-I)
El Greco, Cristo agonizzante con Toledo sullo sfondo (1604-1614 circa; olio su tela, 111 x 69 cm; Colección Banco Santander, inv. A-0175-I-I)
El Greco, Orazione nell'orto (1597-1607 circa; olio su tela, 169 x 112 cm; Andújar, Santa María de la Mayor)
El Greco, Orazione nell’orto (1597-1607 circa; olio su tela, 169 x 112 cm; Andújar, Santa María de la Mayor)
Jacopo Bassano, Deposizione dalla croce (1590 circa; olio su tela, 59,5 x 75,5 cm; Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga, inv. 1641 Pint.)
Jacopo Bassano, Deposizione dalla croce (1590 circa; olio su tela, 59,5 x 75,5 cm; Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga, inv. 1641 Pint.)
El Greco, San Martino e il mendicante (1597-1599; olio su tela, 193,5 x 103 cm; Washington, National Gallery of Art, Wiedener Collection, inv. 1942.9.25)
El Greco, San Martino e il mendicante (1597-1599; olio su tela, 193,5 x 103 cm; Washington, National Gallery of Art, Wiedener Collection, inv. 1942.9.25)
Jacopo Bassano, San Martino e il mendicante con sant'Antonio abate (1578 circa; olio su tela, 164,6 x 101,8 cm; Bassano del Grappa, Museo Civico, inv. 25)
Jacopo Bassano, San Martino e il mendicante con sant’Antonio abate (1578 circa; olio su tela, 164,6 x 101,8 cm; Bassano del Grappa, Museo Civico, inv. 25)
El Greco, Sacra Famiglia con sant'Anna (1590 circa; olio su tela, 127 x 106 cm; Toledo, Fundación Casa Ducal de Medinaceli, Hospital Tavera)
El Greco, Sacra Famiglia con sant’Anna (1590 circa; olio su tela, 127 x 106 cm; Toledo, Fundación Casa Ducal de Medinaceli, Hospital Tavera)
Correggio, Madonna Bolognini (1514-1519 circa; olio su tavola trasportato su tela, 60 x 51 cm; Milano, Castello Sforzesco, Pinacoteca, inv. PIN 253)
Correggio, Madonna Bolognini (1514-1519 circa; olio su tavola trasportato su tela, 60 x 51 cm; Milano, Castello Sforzesco, Pinacoteca, inv. PIN 253)
El Greco, San Giovanni Battista (1600 circa; olio su tela, 111,1 x 66 cm; San Francisco, Fine Arts Museums of San Francisco, Legion of Honor, inv. 46.7)
El Greco, San Giovanni Battista (1600 circa; olio su tela, 111,1 x 66 cm; San Francisco, Fine Arts Museums of San Francisco, Legion of Honor, inv. 46.7)
Tiziano, San Giovanni Battista (1531-1532; olio su tela, 201 x 134 cm; Venezia, Gallerie dell'Accademia, inv. 134)
Tiziano, San Giovanni Battista (1531-1532; olio su tela, 201 x 134 cm; Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 134)

Dopo un passaggio che affronta in maniera piuttosto sbrigativa il tema della ritrattistica grechiana (viene sviluppato invece in maniera decisamente più approfondita nel catalogo, con un saggio di José Redondo Cuesta), si passa alle due sale più spettacolari della mostra milanese, dedicate alla produzione religiosa di El Greco, letta alla luce del suo contesto storico. Toledo, ricordano i pannelli in mostra, fu la prima città ad attuare i decreti del Concilio di Trento: la Controriforma, in Spagna, arrivò dunque in questa città prima che altrove. Va in scena il visionario, folle teatro sacro di El Greco, fatto di rappresentazioni drammatiche, intense, mirato alla ricerca del massimo coinvolgimento del fedele, che doveva sentirsi parte della scena stessa: è quello che si prova osservando, per esempio, la Spoliazione di Cristo, che proietta il riguardante nella scena buttandolo in mezzo alla folla che circonda Cristo, serafico e dignitoso, totalmente incurante di quel che gli accade attorno, nonostante la calca opprimente che occupa ogni spazio rendendo impossibile scorgere il minimo brano di paesaggio, e consentendo giusto la vista di qualche sprazzo di cielo in lontananza. Si ha quasi la sensazione d’esser lì, d’esser presenti, d’esser stati messi di fronte a Cristo che avanza legato e trascinato dai suoi aguzzini, senza però scomporsi: è un’opera che conserva ancora un certo grado di naturalismo, malgrado l’allungamento delle figure, malgrado il colorito cereo dei volti, malgrado le pieghe metalliche delle vesti. Non si può dire lo stesso delle opere che la circondano, a cominciare dal grande Battesimo di Cristo, cominciato attorno al 1608, lasciato incompiuto da El Greco e poi completato nel 1621 dai suoi collaboratori di bottega. El Greco crea qui un mondo del tutto artificiale, le figure sono ormai presenze impalpabili, cielo e terra si fondono, nessuna legge della fisica viene più rispettata: quello che vediamo sulla tela è puro artificio, pura visione mentale, pura estasi. La solennità, la distanza siderale delle icone bizantine vive nel teatro sacro della Controriforma cattolica: sta qui, forse, la vetta dell’originalità dell’arte di El Greco. Assume i toni dell’epifania mistica anche l’Incarnazione in prestito dal Thyssen-Bornemisza, che segue di una ventina d’anni il soggiorno in Italia (è opera del 1596-1600), e che affronta il tema sacro restituendolo sotto forma d’una travolgente fantasia mistica nella quale ci par d’essere risucchiati, inghiottiti dal vortice di nubi e di cherubini, con la colomba dello Spirito Santo che scende in picchiata, gli angeli che suonano disordinati, l’aria e il cielo che invadono lo spazio. Da dove veniva una simile prepotenza visiva? Interessante quanto scrive Palma Martínez-Burgos García nel suo saggio, collocando l’arte di El Greco entro due poli, quello dell’eloquenza e della devozione, calati nel contesto della Controriforma e delle rinnovate esigenze ideologiche a seguito del Concilio di Trento. “El Greco”, scrive Martínez-Burgos García, “fu il primo maestro in ambito ispanico a combinare magistralmente le formule emozionali per metterle al servizio della fede”, elaborando un singolare linguaggio in cui la gestualità, la mimica e le pose dei personaggi assumono un’importanza centrale poiché funzionali a rendere efficace la retorica grechiana. A ciò andrà aggiunto che, rielaborando quanto appreso a Venezia, “El Greco sbalordisce nella gestione delle luci e delle ombre improntata alla più rigorosa tradizione veneziana e antivasariana”, applicando il colore con pennellate disunite che amplificano “il senso psicologico del non finito”, creando potenti effetti di luce che sottolineano e rafforzano il significato religioso delle sue complesse figurazioni.

La mostra prosegue con una piccola sezione dedicata al volto della Madonna, risolta con alcuni, intensi dipinti a tema mariano: s’ammirano, sulla stessa parete, un capolavoro come la Madonna col Bambino e le sante Martina e Agnese dalla National Gallery di Washington (curioso il dettaglio delle iniziali di Doménikos Theotokópoulos sulla testa del leone in basso), e la delicata Sacra Famiglia con santa Elisabetta e san Giovannino in arrivo da Toledo, opera in cui, scrive Juan Antonio García Castro, “la tecnica pittorica di El Greco si manifesta in tutta la sua pienezza: dalle nuvole sullo sfondo che lasciano trasparire la preparazione della tela alle velature finali, passando per le modifiche dell’idea originaria - rivelate dalle immagini radiologiche - e l’impiego di artifici estetici quali le dense pennellate pastose o i contorni eseguiti con il nero organico per donare volume o creare una sensazione di separazione [...], un effetto ricercato grazie al quale il neonato sembra levitare sopra il grembo della madre”. A fianco, l’impressionante ovale con l’Incoronazione della Vergine introduce alle ultime sale, dove sfilano i santi del pantheon di El Greco, dal monumentale San Sebastiano della Cattedrale di Palencia, dipinto poco dopo l’arrivo del pittore in Spagna, e dunque quando aveva ancora in mente le statue antiche viste a Roma, all’affascinante Maddalena di Sitges passando per il San Giovanni evangelista e san Francesco degli Uffizi. Nella penultima sala sono stati invece radunati i santi della tarda maturità di El Greco, periodo in cui il pittore recupera la ieraticità delle icone greche sulle quali s’era formato, proponendo immagini di santi in posa frontale, solenni, senza elementi ulteriori a disturbare il dialogo col riguardante. S’ammirano opere come i dipinti della serie dell’Apostolato, oppure il Cristo portacroce di Olot, e ci si misura con un pittore che stempera il suo estro visionario in favore di immagini più intime, più psicologicamente meditate, forse anche più sofferte, che mirano a toccare i sentimenti del fedele con modalità inedite. Il finale, sorprendente, è riservato al Laocoonte: unica tela di soggetto mitologico dipinta da El Greco, è opera eseguita dal pittore nel finale di carriera, posta poco prima dei titoli di coda per riportare il pubblico ai legami tra il pittore e l’Italia, a ciò che El Greco poté aver visto a Roma. Il riferimento è al gruppo del Laocoonte, rinvenuto nel 1506, al quale evidentemente s’ispira l’immagine di El Greco, ambigua e in grado di divagare rispetto al mito, con l’introduzione d’alcune figure di difficile interpretazione, e il tutto ambientato, come sempre, nel paesaggio di Toledo, che vediamo rappresentata sullo sfondo, immagine della città d’adozione che torna ripetutamente nelle visioni di Doménikos.

El Greco, Spoliazione di Cristo (1582 circa; olio su tela, 190 x 128,5 cm; Toledo, parrocchia di Santa Leocadia e San Román, in deposito presso il Museo di Santa Cruz)
El Greco, Spoliazione di Cristo (1582 circa; olio su tela, 190 x 128,5 cm; Toledo, parrocchia di Santa Leocadia e San Román, in deposito presso il Museo di Santa Cruz)
El Greco, Battesimo di Cristo (1608 circa - 1621; olio su tela, 330 x 211 cm; Toledo, Fundación Casa Ducal de Medinaceli, Hospital Tavera)
El Greco, Battesimo di Cristo (1608 circa - 1621; olio su tela, 330 x 211 cm; Toledo, Fundación Casa Ducal de Medinaceli, Hospital Tavera)
El Greco, L'incarnazione (1596-1600 circa; olio su tela, 114 x 67 cm; Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza)
El Greco, L’incarnazione (1596-1600 circa; olio su tela, 114 x 67 cm; Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza)
El Greco, Madonna col Bambino e le sante Martina e Agnese (1597-1599; olio su tela, 193,5 x 103 cm; Washington, National Gallery of Art, Wiedener Collection, inv. 1942.9.26)
El Greco, Madonna col Bambino e le sante Martina e Agnese (1597-1599; olio su tela, 193,5 x 103 cm; Washington, National Gallery of Art, Wiedener Collection, inv. 1942.9.26)
El Greco, Incoronazione della Vergine (1603-1605 circa; olio su tela, 163 x 220 cm; Illescas, FUNCAVE - Fundación Hospital Ntra. Sra. de la Caridad)
El Greco, Incoronazione della Vergine (1603-1605 circa; olio su tela, 163 x 220 cm; Illescas, FUNCAVE - Fundación Hospital Ntra. Sra. de la Caridad)
El Greco, San Sebastiano (1577 circa; olio su tela, 191 x 152 cm; Palencia, Cattedrale)
El Greco, San Sebastiano (1577 circa; olio su tela, 191 x 152 cm; Palencia, Cattedrale)
El Greco, Maddalena penitente (1585-1590 circa; olio su tela, 104,8 x 92,3 cm; Sitges, Museo del Cau Ferrat, Collezione Santiago Rusiñol, inv. 32.004)
El Greco, Maddalena penitente (1585-1590 circa; olio su tela, 104,8 x 92,3 cm; Sitges, Museo del Cau Ferrat, Collezione Santiago Rusiñol, inv. 32.004)
El Greco, San Giovanni evangelista e san Francesco d'Assisi (1600 circa; olio su tela, 110 x 86,5 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890, n.9493)
El Greco, San Giovanni evangelista e san Francesco d’Assisi (1600 circa; olio su tela, 110 x 86,5 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890, n.9493)
El Greco, Lacoonte (1610-1614 circa; olio su tela, 137,5 x 172,5 cm; Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, inv. 1946.18.1)
El Greco, Lacoonte (1610-1614 circa; olio su tela, 137,5 x 172,5 cm; Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, inv. 1946.18.1)

Il Laocoonte è una sorta di colpo di scena conclusivo in un percorso che riesce a frastornare il visitatore con la sola potenza delle immagini di El Greco, al punto da rendere quasi impercettibili le sbavature dell’itinerario di visita, che prima segue un criterio strettamente cronologico, poi da metà in avanti cambia improvvisamente registro ribaltando il percorso in una successione di sale tematiche, col risultato che si fatica a comprendere chi sia il pittore che lascia l’Italia e, una volta arrivato in Spagna, impiegherà poco per cambiare completamente il proprio modo di dipingere. È, sostanzialmente, un artista che impara a dipingere tra Venezia e Roma, ma probabilmente sente che lavorare in Italia è troppo difficile per un greco che dipinge nel solco dei veneti e che è stato profondamente segnato dall’arte di Michelangelo. La sua arte è forse meglio spendibile in Spagna, ma non nella Madrid di Filippo II, bensì nella colta ma più periferica Toledo, dove è solo, dove non sente pressioni, dove non avverte il peso del confronto con chi forse ritiene inarrivabile, dove non ha vincoli, dove è più libero di sperimentare. Solo in un contesto del genere poteva germogliare un artista così rivoluzionario, un artista che, come ricordava la mostra di Treviso del 2015, trovava la sua genialità nel fondere la cultura ortodossa con quella cattolica romana riuscendo a non negare nessuno dei due linguaggi. Da qui deriva questo suo anticonformismo che non nega però la classicità: la assorbe, la rilegge, la sconvolge anche, ma mai viene negata. S’ammira qui quell’artista così moderno da aver sedotto tanti dei grandi del Novecento.

Difficile, per esempio, guardare un’opera di El Greco e non pensare a Cézanne. Oppure a Picasso. O agli espressionisti: nel 1911 a Monaco di Baviera venne organizzata una mostra della raccolta del collezionista ungherese Marczell Nemes, che annoverava una decina di dipinti di El Greco. E cento anni dopo, a Düsseldorf, è stata allestita una rassegna che, prendendo le mosse da quell’esposizione, ha sondato le modalità con cui gli artisti del primo Novecento sono entrati in relazione con El Greco. Kandinskij, Macke, Kokoschka, più tardi anche Max Ernst. Nei primi anni del Novecento s’ammirava El Greco per la sua capacità di costruire forme sostenute da una potente forza emotiva, per il suo antinaturalismo, perché artista che impostava le sue composizioni su ritmi e strutture ch’erano anzitutto interiori. El Greco, in sostanza, aveva aperto una strada, che sarebbe stata percorsa trecento anni più tardi.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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