In un presente che pullula di dichiarati viaggiatori che attraversano il mondo da nord a sud, da est a ovest (e non solo...) con una tale facilità e strabiliante velocità da far girare la testa anche ai più grandi viaggiatori di tutti i tempi, a Modena, nel nuovo spazio espositivo al piano terreno della Galleria Estense, lo stesso direttore di quest’ultima, Martina Bagnoli, ha scelto d’ideare e di curare una mostra proprio sul viaggio. Appurato che il viaggio è un tema che affascina persone di ogni età e di tutti i gusti, perché ha insito il desiderio di evasione e di conoscenza di altre culture, altri luoghi e altri esseri viventi, la mostra Meravigliose avventure. Racconti di viaggiatori del passato (questo il titolo dell’esposizione visitabile fino al 6 gennaio 2019 da chiunque si dimostri curioso a compiere un “viaggio” sul viaggio), convince per varie ragioni: innanzitutto si tratta di un argomento che potrebbe sembrare fin troppo affrontato, ma in realtà ciò che è presentato non è assolutamente banale. Forse non tutti conoscono personaggi come Jean de Mandeville o Ludovico de Varthema, o ancora Giovanni Battista Ramusio o Maria Sibylla Merian. Viaggiatori, avventurieri, mercanti e personaggi del mondo delle scienze che attraverso i libri hanno raccontato in un periodo compreso tra il Quattrocento e il Settecento storie biografiche, fatti storici, paesaggi, etnie ed animali, talvolta intrecciando realtà e immaginazione.
Aspetto considerevole e caratterizzante della rassegna è che i libri e le opere in mostra, tra cui oggetti e dipinti, provengono nella maggior parte dei casi dalle collezioni delle stesse Gallerie Estensi e dalla Biblioteca Estense Universitaria: oggigiorno è quasi un unicuum nel panorama delle mostre italiane vedere questa sinergia, tra il sistema museale e il sistema delle biblioteche di una città, volta allo scopo di realizzare un progetto con un definito e preciso obiettivo e costrutto.
Oltre ad essere infatti una mostra ben studiata e comprensibile, con la presenza di chiari pannelli espositivi, ne risulta particolarmente piacevole l’allestimento e quindi l’intera visita: ogni sezione è colorata e illustrata dal noto fumettista Paolo Bacilieri con figure a grandezza d’uomo dei singoli viaggiatori che accompagnano i visitatori attraverso il percorso espositivo.
Una sala della mostra Meravigliose Avventure alla Galleria Estense di Modena |
Una sala della mostra Meravigliose Avventure alla Galleria Estense di Modena |
Allestimenti della mostra Meravigliose Avventure alla Galleria Estense di Modena |
Allestimenti della mostra Meravigliose Avventure alla Galleria Estense di Modena |
Il viaggio inizia con la Terrasanta, meta preferita fin dai primi secoli dell’età cristiana dai fedeli, che vedevano nel raggiungimento di questo luogo l’apice della loro vita religiosa. Tuttavia, i pellegrini in cammino verso la Terrasanta erano divenuti molto più numerosi grazie all’affermarsi del sistema navale tra la città di Venezia e la Palestina: erano aumentati perciò anche i racconti degli stessi pellegrini, che intrecciavano la realtà alla fantasia, facendo nascere un nuovo genere letterario. In questo senso i pellegrinaggi avevano assunto sempre più l’aspetto di un viaggio, dove tutto ciò che era visto come nuovo ed esotico attraeva. Ed è perlopiù insolito scoprire che uno degli autori del tempo che si era confrontato con tale genere è Francesco Petrarca (Arezzo, 1304 – Arquà, 1374), celebre poeta trecentesco, ai più conosciuto per il suo Canzoniere. È esposta in mostra la sua lettera-trattatello Itinerarium Francisci Petrarce ad dominum Johannem de Mandello ad visitationem sepulcri et totius Terrae Sanctae deinde a mari Rubro usque in Egyptum indirizzata al giovane amico Giovanni da Mandello, figura di spicco della corte viscontea, che lo aveva invitato a intraprendere insieme un viaggio fino a Gerusalemme. Petrarca aveva rifiutato per motivi di salute e per paura di dover affrontare via mare un così lungo viaggio, ma aveva deciso di comporre in soli tre giorni questa lettera, nella quale descrive in base alle sue esperienze dirette e alle letture di autori classici e medievali i diversi luoghi che avrebbe incontrato partendo dall’imbarco a Genova.
L’esempio più straordinario di questo genere è però il Libro delle Meraviglie di Jean de Mandeville, autore di cui si hanno notizie tra il 1343 e il 1372, anche se la sua identità resta ancora oggi ignota. Probabilmente il libro è stato scritto negli anni Cinquanta e Sessanta del Trecento e all’epoca si era rivelato un vero e proprio bestseller, tradotto in molte lingue. Il suo successo è stato determinato con ogni probabilità dall’intersecarsi in uno stesso testo di fatti e luoghi reali ad altri immaginari e fantastici, nei quali si coglie l’influenza di Plinio, Solino e dei Bestiari medievali. Un libro in cui è raccontato il viaggio dell’autore fino a Gerusalemme, ma che poi, giunto alla meta, si era diretto verso l’Oriente, mosso dalla pura curiosità e da un’esaltazione infantile.
Se nel Trecento meta diffusa era la Terrasanta, dalla seconda metà del Quattrocento, il fulcro diventa Costantinopoli, per via degli scambi culturali e commerciali tra Europa e Impero Ottomano. I viaggiatori testimoniavano quindi, spesso con libri illustrati, il loro errare verso la città ottomana, ma includevano anche documentazioni dell’Asia Minore, dell’Egitto, dell’Arabia e della Siria. Tra i personaggi di maggior spicco che hanno esplorato l’area del Vicino Oriente è menzionato il bolognese Ludovico de Varthema (Bologna, 1461/1477 – Roma, 1517): spinto dal forte desiderio di conoscere personalmente ciò di cui aveva sentito parlare, come i luoghi, le qualità delle persone, le diversità degli animali e la varietà delle piante, oltre che, come scrisse egli stesso, di “investigare qualche particella di questo nostro terreno globo”, era partito da Venezia per sbarcare al Cairo e proseguire via mare verso il Libano e la Siria. Visitati la Persia, l’India, il Siam, l’arcipelago malese, aveva circumnavigato l’Africa. De Varthema è stato il primo occidentale a entrare alla Mecca, visitando la tomba di Maometto. Il suo lungo viaggio è stato da lui raccontato nel suo Itinerario, pubblicato nel 1510, con una forte pretesa di verità, tanto da essere stato utilizzato come fonte da geografi e cartografi.
Francesco Petrarca, Itinerarium Francisci Petrarce ad dominum Johannem de Mandello ad visitationem sepulcri et totius Terrae Sanctae deinde a mari Rubro usque in Egyptum (sec. XIV; manoscritto , cc. I, 48, I, 270 x 195 mm; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Ludovico de Varthema, Itinerario de Ludouico de Verthema Bolognese ne lo Egypto ne la Suria ne la Arabia Deserta & Felice ne la Persia ne la India & ne la Ethiopia. La sede el uiuere & costumi de tutte le presate prouincie. Nouamente impresso, pubblicato in Milano presso Giovanni Angelo Scinzenzeler (1523; XLII, [2] c., ill., 4°; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Tra le altre figure significative si ricorda in mostra Nicolas de Nicolay (La Grave, 1517 – Soissons, 1583), scrittore e cartografo ufficiale del re di Francia che nel 1551 aveva accompagnato l’ambasciatore francese alla corte di Solimano il Magnifico, e che aveva realizzato una delle prime raccolte d’illustrazioni del mondo islamico, soprattutto relative ai costumi; più tardi, tra il 1693 e il 1698, Giovanni Francesco Gemelli Careri (Radicena, 1648 – Napoli, 1724) aveva compiuto un lungo viaggio intorno al mondo raccontato nel 1699 nel suo Giro del mondo. In tempi successivi, nella seconda metà del Settecento, era stata organizzata una spedizione scientifica attraverso l’Egitto, l’Arabia e la Siria, finanziata dal re di Danimarca Federico V e finalizzata a vari scopi: identificare la flora e la fauna descritte nella Bibbia, realizzare una carta topografica della Terrasanta e documentare la vita quotidiana di arabi ed ebrei. Il matematico e cartografo scelto per questa spedizione era stato Carsten Niebuhr (Lüdingworth, 1733 – Meldorf, 1815), unico superstite riuscito a sopravvivere ai disagi e alle malattie del viaggio, e autore della Descrizione dell’Arabia pubblicata nel 1772. Era stato in grado di riprodurre con molta precisione iscrizioni, monete, geroglifici e manoscritti.
Italiano, ma divenuto durante la sua esistenza quasi pienamente cinese, tanto che l’imperatore lo conosceva con il nome orientale di Li Madou, era Matteo Ricci (Macerata, 1552 – Pechino, 1610). Giunto in Cina ad opera dei gesuiti, aveva cominciato a studiare la lingua e a svolgere attività di evangelizzazione al fine di diffondere il cristianesimo nella classe colta tramite lo studio e la traduzione di classici della letteratura. Ricci è stato considerato un grande astronomo: aveva prestato il suo servizio all’osservatorio di Nanchino; inoltre era esperto di matematica, di filosofia morale e di apologetica in cinese, ma soprattutto aveva composto la prima vera monografia della Cina del Cinquecento, con i suoi Commentari della Cina e le sue Lettere. Significativo è stato l’apporto anche di Gottlieb Sigfried Bayer (Königsberg, 1694 – San Pietroburgo, 1738), che intendeva creare una sorta di dizionario e un’introduzione alla lingua cinese, e di Athanasius Kircher (Geisa, 1602 – Roma, 1680), uomo versatile dall’incredibile memoria, che aveva pubblicato la China illustrata del 1667: la particolarità di questo testo sta nel fatto che non è basato sull’esperienza diretta dell’autore, bensì sull’enorme quantità di materiale che i suoi confratelli gesuiti gli avevano fornito di ritorno dalle missioni.
A interessarsi invece dell’India è stato Giovanni Battista Ramusio (Treviso, 1485 – Padova, 1557): nel Cinquecento per il mondo europeo l’India era frequentata meta per le spezie e per le pietre preziose, che partivano solitamente dai porti di Goa e di Calicut. Nomi che ricorrono anche nelle Navigationi et viaggi di Ramusio: una raccolta di relazioni di viaggi dell’umanista e geografo veneto, composta di tre volumi, che diffondeva le conoscenze di Africa, Nuovo Mondo e Asia.
È esposto in mostra un raro manoscritto su foglie di palma che presenta un’iscrizione in lingua malayalam, idioma parlato in India: per far sì che le foglie venissero utilizzate come fogli di carta, esse venivano tagliate, bollite in acqua e infine asciugate all’ombra; veniva eliminata la parte della nervatura centrale e successivamente erano pressate, lucidate e tagliate a misura. Le tecniche di scrittura erano diverse da nord a sud: al nord si utilizzava una penna o un pennello, mentre al sud veniva incisa la foglia. Uno strato di polvere di carbone mescolata ad olio veniva infine applicata sulle scritte per rendere maggiormente visibili le lettere.
Giovanni Francesco Gemelli Careri, Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri [...] Tomo primo [-nono]. - Nuova edizione accresciuta, ricorretta e divisa in nove volumi, con un indice de’ viaggiatori e loro opere, pubblicato in Venezia presso Sebastiano Coleti (1728; 9 v., ill., 8°; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Carsten Niebuhr, Description de l’Arabie d’apres les observations et recherches faites dans le pays meme. Par m. Niebuhr, pubblicato in Copenaghen presso Nicolas Möller (1773; [2], XLIII, [3], 372, [2], p., XXIV c. di tav. ripieg., ill., 4°; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Athanasius Kircher, Athanasii Kircheri e Soc. Jesu China monumentis, qua sacris qua profanis, nec non variis naturae & artis spectaculis, aliarumque rerum memorabiulium argumentis illustrata, pubblicata in Amsterdam presso Jacob van Meurs (1667; [16], 237, [11] p., [26] c. di tav. di cui [4] ripieg., ill., fol.; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Giovanni Battista Ramusio, Primo volume delle nauigationi et viaggi, pubblicato in Venezia presso eredi di Lucantonio Giunti (1550; [4], 405, [1] c., ill., fol.; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Manoscritti su foglia di palma (Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Il mondo africano, a differenza della Terrasanta e dell’Arabia, era rimasto semisconosciuto fino al Seicento, quando era stata incrementata l’evangelizzazione soprattutto ad opera dei cappuccini: tra questi, Giovanni Antonio Cavazzi da Montecuccolo (Montecuccolo, 1621 – Genova, 1678), che aveva vissuto per ben vent’anni circa in Congo. Sua è la Istorica descrizione de’ tre’ regni Congo, Matamba e Angola, pubblicata postuma nel 1687, la più importante e completa descrizione del Congo e dei luoghi vicini. Lungo il percorso espositivo si viene a conoscenza dell’attività di Hiob Ludolf (Erfurt, 1624 – Francoforte sul Meno, 1704): tramite la sua Historia Aethiopica, aveva posto le basi degli studi etiopici. In una stampa dell’opera illustrata sono visibili molti elefanti intenti a procurarsi cibo tra le foglie e i rami caduti a terra e uno dei simpatici e grossi animali sta provando a scuotere un ramo di un albero per far cadere qualcosa di appetitoso. Oltre alla storia e alla cultura etiope, Ludolf si era occupato della lingua e aveva prodotto la Grammathica Aethiopica.
Alla costa occidentale africana si era dedicato Olfert Dapper (Amsterdam, 1639 –1689), che aveva unito informazioni geografiche ed economiche nella sua Description de l’Afrique: in quest’ultima aveva parlato della capitale dell’impero del Benin come un luogo ricco di sontuosi palazzi, con strade ordinate, accogliente e governato da un potente sovrano; quest’ultimo si componeva di un insieme di edifici e di cortili circondato da mura, e occupava una superficie pari alla città di Harleem. Dapper nota inoltre che la popolazione non era inferiore agli olandesi riguardo alla pulizia. In ambito africano aveva dato il suo contributo anche Pierre Sonnerat (Lione, 1748 – 1814), che nel suo Voyage aux Indes Orientales aveva presentato l’aspetto di una famiglia di Ottentotti, popolazione indigena dell’Africa australe, considerata per via della mancata conoscenza come selvaggia e dall’aspetto bestiale, poiché si dedicava a pratiche animalesche e brutali; tuttavia Sonnerat li aveva rappresentati con connotati assolutamente non strani.
Giovanni Antonio Cavazzi, Istorica descrizione de’ tre’ regni Congo, Matamba et Angola situati nell’Etiopia inferiore occidentale e delle missioni aposotliche esercitateui da religiosi Capuccini, accuratamente compilata dal P. Gio. Antonio Cauazzi da Montecuccolo [...] e nel presente stile ridotta dal P. Fortunato Alamandini da Bologna, pubblicato in Bologna presso Giacomo Monti (1687; [16], 933, [3] p., [10] c. di tav. di cui 2 ripieg., ill. e antip. calgogr., fol.; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Hiob Ludolf, Iobi Ludolf aliàs Leut-Holf dicti Historia Aethiopica, sive brevis & succincta descriptio Regni Habessinorum, quod vulgò malè Presbyteri Iohannis vocatur. In qua libri quatuor agitur [...] Cum tabula capitum, & indicibus necessariis, pubblicata in Francoforte sul Meno presso Johann David Zunner II, per i tipi di Balthasar Christoph Wust sen. (1681; [168] c., [10] c. di tav. di cui 9 ripieg., [2]c. di tav. ripieg., ill., 1 ritr. e c. geogr. calcogr., fol.; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Se si parla di nuovi mondi, come non ricordare Cristoforo Colombo (Genova, 1451 – Vallodolid, 1506) che era sbarcato a San Salvador il 12 ottobre 1492, approdando nella prima terra americana conosciuta da un europeo. Nell’aprile 1493 aveva iniziato a circolare la traduzione latina di Leandro de Cosco dell’Epistola de insulis nuper inventis, ovvero della lettera in cui Cristoforo Colombo aveva descritto al tesoriere dei sovrani spagnoli le terre scoperte. La narrazione si soffermava molto su un aspetto di quelle regioni che lo avevano colpito particolarmente: la vegetazione lussureggiante con alberi altissimi, fiori, frutti e prati vastissimi. Lo aveva colpito anche la grande varietà di uccelli che abitavano questa natura rigogliosa. Aveva raccontato degli indigeni invece come uomini semplici e generosi, ma nudi, per la loro mancanza di cultura. Colombo era venuto a conoscenza però degli abitanti dell’isola Charis, considerati molto feroci: si cibavano di carne umana e rubavano tutto ciò che trovavano. Delle popolazioni che praticavano il cannibalismo, come i Carios e i Tupinikin del Brasile, aveva trattato in maniera diffusa Ulrich Schmidel (Straubing, 1510 – Ratisbona, 1579), giunto in America nel 1534 come membro della spedizione di don Pedro de Mendoza, primo governatore del Rio de la Plata. Era stato Hans Staden (Homberg, 1525 circa – Wolfhagen, 1579 circa) a diffondere con il racconto della sua esperienza di prigionia presso i Tupinambà il rituale antropofago di questa popolazione; tuttavia il missionario calvinista Jean de Lery (La Margelle, 1536 – L’Isle, 1613), che aveva vissuto per un anno tra questi indigeni, imparando anche la loro lingua, aveva collocato tali rituali nelle cerimonie di guerra e aveva affermato che i Tupinambà mangiavano i loro prigionieri più per vendetta che per gusto. Tipici dei rituali dei Tupinambà erano gli accessori e i mantelli di piume, di cui in mostra è esposto un esemplare, composto di piume di ibis rosso, che proviene dal Museo di Antropologia ed Etnologia di Firenze (nell’inventario del granduca Cosimo II del 1618 sono menzionati due abiti di penne di più colori a forma di mantello lunghi sino a mezza gamba). Levin Hulsius (Gand, 1546 – Francoforte sul Meno, 1606), scrittore ed editore tedesco, invece aveva pubblicato la Breuis & admiranda descriptio Regni Guianae, scritta da Walter Raleigh (East Devon, 1552 circa – Londra, 1618), dove è raccontato e illustrato il mito di una popolazione di uomini privi di testa, con occhi e bocca sul petto, rappresentati con archi e frecce: gli Ewaipanoma, che secondo le credenze europee abiterebbero in una regione dell’America.
Il già citato Giovanni Francesco Gemelli Careri, nel suo Giro del Mondo in sei volumi, mostra una mappa in cui è raffigurata la Aztlan degli Aztechi, un misterioso paradiso che si trova nella parte nord occidentale del Messico, sulla collina di Chapultepec. Più orientato verso l’osservazione e lo studio di flora e fauna locali è stato il viaggio di Maria Sibylla Merian (Francoforte sul Meno, 1647 – Amsterdam, 1717), che aveva intrapreso nel 1699 una spedizione scientifica nel Suriname in compagnia di Dorothea, una delle sue figlie: un fatto incredibile per quell’epoca se si pensa a un viaggio puramente scientifico condotto da una donna. Figlia di Matthäus Merian il Vecchio, affermato incisore e disegnatore svizzero, morto prematuramente quando Maria Sibylla aveva tre anni, aveva appreso l’arte del disegno, della pittura e dell’incisione dal patrigno Jakob Marell, pittore di fiori, ma la sua vera passione era l’entomologia e in particolare lo studio dei bruchi e delle farfalle. La decisione di partire per il Suriname, paese di maggior diffusione di questi ultimi, era stata dettata proprio dal suo desiderio di studiare l’origine e la riproduzione degli insetti. Partita senza finanziamenti a causa dello scetticismo dei possibili sostenitori, aveva trovato negli indigeni il fondamentale aiuto: le avevano mostrato tutte le varietà di fiori, piante, insetti e animali presenti nella loro terra. La sua Dissertatio de generatione et metamorphosis insectorum Surinamensium è stata pubblicata sei anni dopo: ne era risultato un libro straordinario, dove il testo in latino e in francese si accompagnava a precise e meravigliose incisioni. Un’incredibile unione tra arte e scienza che però, in quanto realizzata da un’autrice donna, è stata apprezzata dopo vario tempo e Maria Sibylla non è mai entrata a far parte delle accademie di scienza europee.
Cristoforo Colombo, Epistola de insulis nuper inventis, pubblicata in Roma presso Stephan Plannck (dopo il 29 aprile 1493; [4] c., 4°; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Disegni originali che sono descritti nell’opera scritta in latino dal Dott. Fis. Collegiato Paolo Maria Terzago, tradotta in italiano con aumenti del Dott. Fis. Pietro Francesco Scarabelli e stampato in Voghera nel 1666 in un volume in quarto da Eliseo Viola (XVII secolo; ms. cart., cc. I, 87, 310 x 225 mm; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Mantello (XVII secolo; piume di ibis rosso, 125 x 70 x 8 cm; Firenze, Museo di Antropologia ed Etnologia) |
Maria Sibylla Merian, Dissertatio de generatione et metamorphosibus insectorum Surinamensium: in qua, praeter vermes & erucas Surinamenses, earumque admiradam metamorphosin, plantae, flores & fructus, quibus vescuntur, & in quibus suerunt inventae, exhibentur. His adjunguntur bufones, lacerti, serpentes, araneae [...] Accedit appendix transformationum piscium in ranas, & ranarum in pisces, pubblicata all’Aia presso Pierre Gosse (1726; [10], 72 p., 72 c. di tav., ill., atl.; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Ulrich Schmidel, Vera historia, admirandae cuiusdam nauigationis, quam Huldericus Schmidel, ... ab anno 1534. usque ad annum 1554. in Americam [...] iuxta Brasiliam & Rio della Plata, confecit [...] Ab ipso Schmidelio Germanice, descripta: nunc vero, emendatis & correctis vrbium, regionum & fluminum nominibus, adiecta etiam tabula geographica, figuis & alijs notationibus quibusdam in hanc formam reducta, pubblicata a Norimberga presso Levin Hulsius (1599; [2], 101, [1], p., [23] c. di tav. calcogr., ill., ritr., c. geogr., 4°; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Disegni di animali (XVII secolo; ms. cart., cc 102, 210 x 150 mm; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Disegni di animali (XVII secolo; ms. cart., cc 102, 210 x 150 mm; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Alonso de Ovalle, Historica relatione del Regno di Cile, e delle missioni, e ministerij che esercita in quelle la Compagnia di Giesu, pubblicato in Roma presso Francesco Cavalli (1646; [8], 378, [2], 12, 6 p., [32] c. di tav., [1] c. di tav. ripieg., ill., c. geogr., 4°; Modena, Biblioteca Estense Universitaria) |
Di carattere più popolare è invece il manoscritto anonimo, di antica proprietà dello storico modenese Ludovico Vedriani (Modena, 1601 – 1670), costituito da 102 carte raffiguranti animali. Tra queste, una in mostra rappresenta un grande tucano colorato di nero e rosso con un enorme becco accompagnato dalla relativa descrizione: “Io sono la gazza di Brasilia, / di beco horrendo al vedere, / per dar à divedere, / che le gazze di paese / recan maggior offese / col malvaggio lor dire / che non si può soffrire”. Infine, un’altra bizzarria che si nota in esposizione è un’illustrazione dell’albero a forma di crocifisso nel bosco di Limache, in Cile: una curiosità raccontata dal cileno Alonso de Ovalle (Santiago del Cile, 1603 – Lima, 1651) nella sua Historica relatione del Regno di Cile, trattato storico ed etnografico legato alle missioni dei gesuiti pubblicato nel 1646. Al termine di Meravigliose avventure. Racconti di viaggiatori del passato si ha la sensazione di aver viaggiato tra i differenti continenti presentati e di essere stati eredi delle scoperte compiute da grandi personaggi che, per curiosità, per evangelizzazione, per desiderio di conoscenza o per studi scientifici, hanno esplorato terre a loro ignote. Un viaggio attraverso i libri o tanti “piccoli” viaggi quanti sono i libri? Al visitatore la sua risposta.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.