Maria Teresa Mazzei Fabbricotti: una mostra per un'artista riscoperta


Recensione della mostra "Essere un'artista. Maria Teresa Mazzei Fabbricotti" a Carrara, Palazzo Binelli, dal 25 agosto al 22 settembre 2016.

Articolo originariamente pubblicato su culturainrivera.it

La critica ha scoperto solo di recente l’interessante figura di Maria Teresa Mazzei Fabbricotti (Firenze, 1893 – Carrara, 1977), artista rimasta sempre relegata ai margini della storia dell’arte più nota e studiata. Indagare sul perché di questa dimenticanza significa ripercorrere, a grandi tappe, la vita stessa dell’artista: una donna proveniente da una famiglia nobile, i Mazzei, sempre presenti nella storia di Firenze, andata in sposa a un industriale del marmo carrarese (Carlo Fabbricotti) e che ha passato sostanzialmente tutta la vita a dedicarsi al ruolo di donna di casa, di moglie presente, di madre premurosa. In questo contesto la pittura ha sempre costituito niente più che un divertissement senza grandi pretese. Ma non perché Maria Teresa non avesse talento (tutt’altro). Da adolescente, quando l’artista sviluppa la sua passione per la pittura, si limita a frequentare i corsi di Cesare Ciani, un postmacchiaiolo che contribuisce a migliorare la sua tecnica e che probabilmente avrebbe voluto indirizzarla verso altri maestri ed altre esperienze: tuttavia alla ragazza, inquadrata fin da bambina entro una rigida educazione di stampo cattolico e per di più attenta ai valori tradizionali di onore e prestigio tipici della nobiltà, non è d’aiuto la madre, che trova disdicevole il fatto che il maestro talvolta lasci le sue alunne sole con i modelli. E Maria Teresa è costretta a non frequentare più l’atelier di Ciani, che le impartirà per qualche tempo lezioni a casa, ma la giovane vede l’impossibilità di proseguire seriamente nei suoi studi di pittura come una condanna al dilettantismo.

Questa condanna però non ha impedito che la sua statura di artista emergesse, seppur a più di vent’anni dalla sua scomparsa: negli ultimi tempi è stato dunque tutto un germogliare di libri e studi che hanno portato alla prima mostra monografica dedicata all’artista, in svolgimento fino al 22 settembre nelle sale di Palazzo Binelli a Carrara, città d’adozione di Maria Teresa Mazzei Fabbricotti. L’esposizione, intitolata Essere un’artista. Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, a cura di Alessandra Fulvia Celi, è una retrospettiva che espone un cospicuo gruppo di opere provenienti da collezioni private, che ricostruiscono pressoché tutta la parabola artistica della donna, dagli esordi avvenuti quando Maria Teresa aveva all’incirca quindici anni d’età, fino alle opere della maturità. Opere che, dopo la scomparsa dell’artista, sono rimaste per lo più confinate tra le mura delle case della famiglia e celate dunque agli occhi del pubblico, a cui s’offre ora l’occasione di conoscere più da vicino la storia tribolata di un’artista che si potrebbe additare come lampante esempio della condizione della donna nella società d’inizio Novecento. Una condizione necessariamente subalterna: la stessa Maria Teresa non faceva mistero del fatto che la massima aspirazione a cui era costretta ad ambire era trovare quel che s’era soliti definire “un buon partito” col quale accasarsi e condurre un’esistenza appartata, dedita alla casa, alla chiesa e alla famiglia. Ambizioni dalle quali l’arte era necessariamente esclusa: poco consona a una giovane di famiglia aristocratica, se non addirittura sconveniente, e semmai più adatta come innocuo passatempo a cui dedicarsi entro i confini delle mura domestiche.

Una sala della mostra su Maria Teresa Mazzei Fabbricotti a Palazzo Binelli
Una sala della mostra su Maria Teresa Mazzei Fabbricotti a Palazzo Binelli


Il percorso della mostra, che si sviluppa cronologicamente, ha inizio negli anni Dieci del Novecento, in un luogo ben preciso: il piccolo borgo di Fonterutoli, nel Chianti senese, luogo dei soggiorni estivi della famiglia Mazzei, ancor oggi proprietaria di una vasta tenuta nella zona. Qui, la giovane Maria Teresa, lontana dalla vita di città (oltre che da occhi indiscreti) può dar sfogo più o meno liberamente alla propria passione per l’arte: data tuttavia la limitatezza degli orizzonti a cui la famiglia la obbliga, il numero dei soggetti delle prime prove giovanili non può che ridursi a due temi fondamentali, ovvero i suoi familiari (e in particolare i due fratelli, Iacopo e Maria Antonietta, quest’ultima soprannominata affettuosamente “Tottò”) e i paesaggi offerti dalle verdeggianti colline intorno a Fonterutoli. Scopriamo pertanto un’artista sensibile, capace di rendere viva un’espressione anche con pochi tratti di pennello, soprattutto nell’acquerello, la tecnica che le è più congeniale e nella quale sembra già eccellere. I primi ritratti rivelano una tecnica ancora piuttosto rudimentale (nell’Autoritratto su tela del 1910 il disegno è incerto e i colori sono stesi in modo piatto, quasi sgraziato), che tuttavia, anche grazie alle lezioni apprese, riuscirà presto a evolvere dando luogo a risultati ben più raffinati. Non mancano comunque (seppur limitatamente agli acquerelli) prove interessanti, come il ritratto della sorella Maria Antonietta, anch’esso del 1910, in cui la filiforme figura della ragazza, resa in modo essenziale, è messa in risalto da macchie di colore che ne definiscono le volumetrie. Gli ordinati paesaggi risentono della lezione della pittura di macchia e, seppur privi di effetti luministici che diano rilievo e allo stesso tempo conferiscano suggestione alla scena, si rivelano comunque testimonianze di una mano sensibile e di un occhio che riesce a catturare in modo un po’ intuitivo le variazioni atmosferiche.

Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "Autoritratto" (1910; olio su tela, 70 x 55 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “Autoritratto” (1910; olio su tela, 70 x 55 cm; collezione privata)


Sopra: Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "Ritratto di Tottò" (1910; acquerello e china su carta, 24 x 19 cm; collezione privata). Sotto: Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "Tottò" (1915; acquerello su carta, 31 x 29 cm; collezione privata)
Sopra: Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “Ritratto di Tottò” (1910; acquerello e china su carta, 24 x 19 cm; collezione privata). Sotto: Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “Tottò” (1915; acquerello su carta, 31 x 29 cm; collezione privata)


Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "Tottò" (1910; olio su tela, 51 x 41 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “Tottò” (1910; olio su tela, 51 x 41 cm; collezione privata)


Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "Paesaggio di Fonterutoli" (anni '10; acquerello su carta, 36 x 41 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “Paesaggio di Fonterutoli” (anni ’10; acquerello su carta, 36 x 41 cm; collezione privata)


Il decennio successivo è quello del matrimonio con Carlo Fabbricotti: l’evolversi della tecnica andrà, purtroppo, di pari passo con il diradarsi dei momenti in cui Maria Teresa potrà dedicarsi alla pittura. Fin dalla data del matrimonio, la suocera aveva messo bene in chiaro le cose: a Maria Teresa non sarebbe stato consentito di recarsi a Firenze dove la donna avrebbe voluto trattenersi per lunghi soggiorni con l’obiettivo di continuare i suoi studi (e non dimentichiamo che Maria Teresa era assidua frequentatrice di musei come gli Uffizi e Palazzo Pitti: lo studio dei pittori antichi, su tutti il Bronzino e Andrea del Sarto, aveva costituito un momento fondante della sua formazione artistica). Il suo destino è quello di rimanere ferma tra Carrara e Bocca di Magra (dove i Fabbricotti hanno una residenza): vanificate dunque le possibilità di mantenere contatti con l’ambiente artistico fiorentino. E poi, tra il 1918 (anno del matrimonio) e il 1933, la donna metterà al mondo nove figli: la loro nascita non può che sancire l’addio definitivo a ogni velleità artistica che non sia quella di assoluta dilettante che trova nella pittura svago e conforto dalle angosce della vita. Verso la fine degli anni Venti infatti la famiglia Fabbricotti conoscerà disastrosi rovesci finanziari che la porteranno di lì a poco sul lastrico: il marito Carlo sarà costretto a trovare nuovi impieghi e, negli anni Trenta, la stessa Maria Teresa aumenterà la propria produzione artistica con la speranza di vendere i propri quadri per racimolare qualche piccola entrata per offrire il proprio contributo all’economia domestica. Le cose non andranno però per il verso giusto e i modesti risultati economici delle sue vendite non saranno sufficienti a garantire un dignitoso sostentamento alla famiglia: sarà l’intervento dei parenti, i Mazzei, a risollevare un po’ le sorti della famiglia.

È tuttavia in questo periodo che assistiamo ad alcune delle prove più interessanti della pittura di Maria Teresa, che fa enormi passi in avanti soprattutto nella sua capacità di introspezione psicologica: la sua abilità di cogliere l’espressione dei soggetti da lei ritratti si dimostra sempre più viva e intensa. La donna sceglie i “modelli” per i suoi dipinti tra gli abitanti di Carrara: ma nonostante provenga da una famiglia nobile e abbia sposato uno degli uomini più ricchi della città, la sua sensibilità la porta a essere più vicina agli umili. Popolani, povere donne, anziane pensierose, lavoratori stanchi e affaticati diventano protagonisti indiscussi della sua arte: forse, in quelle donne dagli sguardi annebbiati da un velo di malinconia, Maria Teresa intravede quasi delle compagne di viaggio, delle creature come lei condannate a una vita non cercata e non desiderata ma comunque vissuta non con rassegnazione, bensì con lo spirito di chi sa trovare la luce, la bellezza e il piacere anche quando il destino che s’immaginava era di gran lunga diverso.

Nascono quindi ritratti notevoli come quello del Seggiolaio, con cui Maria Teresa nel 1940 tenta di partecipare alla Biennale di Venezia (benché l’acquerello sia, ancora una volta, migliore rispetto al quadro a olio su tela: nel primo caso il Seggiolaio appare più vivo, più spontaneo, più naturale, e questa superiorità degli acquerelli rispetto agli olî riguarda pressoché tutta la produzione dell’artista), o ancora Gelsomina che viene inviata nel 1938 a un concorso di pittura al femminile a Sanremo, la splendida Vinaia di piazza Alberica colta in un’espressione che rivela allo stesso tempo impaccio per una situazione (posare per un ritratto) a cui forse una venditrice di vino non era abituata, e orgoglio derivante dalla consapevolezza di esser diventata soggetto di un quadro di una brava artista, e ancora il Lizzatore dal volto scavato, o la Povera donna dall’espressione sconsolata. Sono tutti quadri che manifestano in modo evidente l’obiettivo dell’arte secondo Maria Teresa: “conoscere la verità dei rapporti umani“. Per Maria Teresa, scopo della pittura è andare alla ricerca della verità: il risultato non può che essere una pittura aderente al vero, che cerca senza mediazioni d’alcuna sorta di cogliere l’intimità del soggetto, di cogliere l’essenziale.

Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "Il seggiolaio" (anni '30; olio su tela, 73 x 56 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “Il seggiolaio” (anni ’30; olio su tela, 73 x 56 cm; collezione privata)


Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "Gelsomina" (anni '30; olio su tela, 100 x 76 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “Gelsomina” (anni ’30; olio su tela, 100 x 76 cm; collezione privata)


Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "Una povera donna" (anni '30; olio su tela, 61 x 50 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “Una povera donna” (anni ’30; olio su tela, 61 x 50 cm; collezione privata)


Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "La vinaia di piazza Alberica" (fine anni '30; acquerello su carta, 48 x 37 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “La vinaia di piazza Alberica” (fine anni ’30; acquerello su carta, 48 x 37 cm; collezione privata)


Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "Il lizzatore" (anni '30; acquerello su carta, 47 x 36 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “Il lizzatore” (anni ’30; acquerello su carta, 47 x 36 cm; collezione privata)


Acquerelli vari (il secondo da sinistra in basso è quello del Seggiolaio)
Acquerelli vari (il secondo da sinistra in basso è quello del Seggiolaio)


Nuove sofferenze metteranno a prova l’animo di Maria Teresa Mazzei Fabbricotti negli anni Quaranta: l’esperienza della guerra sarà angosciante e terribile, anche perché uno dei figli (Franco) sarà catturato dai tedeschi e rinchiuso in un campo di prigionia in Germania, dal quale comunque riuscirà a salvarsi. Rimangono lettere a testimoniare la profonda preoccupazione della madre, e rimane anche un incompiuto ritratto, presente in mostra, che Maria Teresa arricchisce, dopo il ritorno del figlio, con la sua targhetta da prigioniero, con impressa la sua matricola e il numero dello Stalag a cui era stato destinato: atroce testimonianza che funge quasi da monito, oltre che da memoria di quella che forse fu l’esperienza più dura della vita di Maria Teresa. Il percorso espositivo si conclude con una parete interamente coperta dai ritratti dei nove figli, disposti su due tavole: ritratti vividi, connotati da un naturalismo e da una pienezza poche altre volte toccati da Maria Teresa, e che risultano pervasi da un moto d’affettuosa intimità tipico di una madre che ha sempre avuto con i figli un rapporto intenso e strettissimo.

Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "La Carciofaia a Bocca di Magra" (1933; acquerello su carta, 37 x 39 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “La Carciofaia a Bocca di Magra” (1933; acquerello su carta, 37 x 39 cm; collezione privata)


Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "La palma di Montia" (1950; acquerello e china su carta, 38 x 49 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “La palma di Montia” (1950; acquerello e china su carta, 38 x 49 cm; collezione privata)


Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "Ritratto di Franco con targhetta" (anni '40; olio su tavola, incompiuto, 73 x 54 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “Ritratto di Franco con targhetta” (anni ’40; olio su tavola, incompiuto, 73 x 54 cm; collezione privata)


La targhetta sul ritratto di Franco
La targhetta sul ritratto di Franco


Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "I figli maggiori" (anni '30; olio su tavola, 83 x 96 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “I figli maggiori” (anni ’30; olio su tavola, 83 x 96 cm; collezione privata)


Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, "I figli minori" (anni '30; olio su tavola, 83 x 96 cm; collezione privata)
Maria Teresa Mazzei Fabbricotti, “I figli minori” (anni ’30; olio su tavola, 83 x 96 cm; collezione privata)


Artista né originale né innovativa, ma ritrattista superlativa dotata di un talento sopraffino, che gli fu riconosciuto anche da alcuni tra i più illustri artisti e critici del primo Novecento (basterebbero i nomi di Arturo Martini e Ugo Ojetti, entrambi peraltro concordi nel ritenere superiori gli acquerelli agli olî: la donna aveva iniziato a esporre, arrivando anche a una collettiva a Palazzo Strozzi, nel momento in cui si era reso necessario il contributo derivante dalla vendita dei quadri), Maria Teresa Mazzei Fabbricotti reca nella sua arte gli evidenti segni di un’inclinazione non adeguatamente coltivata e supportata: fosse stata circondata da persone dotate di una maggior apertura al mondo, adesso forse staremmo parlando di un’altra storia. Se in vita le mancò quell’emancipazione che, ai ruoli di moglie e madre da lei comunque ardentemente desiderati, avrebbe aggiunto quello di artista affermata, si può comunque dire che fu nell’arte che Maria Teresa Mazzei Fabbricotti trovò quei momenti di libertà che le consentirono di esprimere con straripante passione e accesa dedizione la propria natura e le proprie attitudini. Specialmente nei ritratti di donne, quasi che questi ultimi fossero dipinti a guisa d’uno specchio in cui Maria Teresa vedeva riflesse la propria anima e la propria condizione.

Una mostra interessante e da visitare, perché ci fa entrare nell’arte e nel mondo intimo di un’artista rimasta sconosciuta fino a non molto tempo fa, ma anche perché, alla luce di tutti i dibattiti sul ruolo della donna nella società, lancia un messaggio forte e di stringente attualità. Il tutto in un percorso, creato con opere tutte conservate in collezioni private (un motivo in più per visitare l’esposizione), attento a sottolineare i principali passaggi chiave del percorso artistico e umano di Maria Teresa, creando un prodotto dunque adatto a ogni tipo di pubblico: il racconto è coinvolgente, procede senza salti e con ritmi adeguati per un’esposizione che si dipana lungo cinque sale. Peccato solo che duri meno di un mese.

 


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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