Un trionfo: un trionfo orchestrale, sinfonico, solenne, esaltante, questo di Luigi Magnani che continua a vivere nel mondo poetico e soavissimo della sua villa di Mamiano, uno dei luoghi indicibili per avvolgimento del pensiero e per quiete idillica della natura. Dimora rutilante di opere d’arte senza confini temporali e senza numero; punto imprescindibile, oggi, per ogni orientamento di respiro e di paragone nell’universo motile del nutrimento visibile.
Luigi Magnani (1906 - 1984), reggiano e parmense insieme, fu ammiratore delle cose create e colmo di poesia, fu musicista e musicofilo, letterato e filosofo, docente universitario e conferenziere, viaggiatore ed estimatore di città e civiltà, promotore di cenacoli intellettuali, soprattutto amante appassionato delle arti e sposo di capolavori sparsi nei secoli. Durante la sua vita in continuità incessante ospitò dipinti e sculture, disegni e incisioni, arredi e strumenti, ciascuno dei quali conferiva un tocco di signorilità e di armonia al continuum degli ambienti del suo ritiro magico a Mamiano, ancor oggi ricco di richiami che un’eco ben viva riversa all’animo aperto di chi si dispone, com’egli faceva, agli orfici inviti dei segni.
La mostra a lui dedicata, rinviata nella primavera scorsa a causa del virus, ora riapre con più forza e con maggior richiamo. L’affettuosa dizione che lo cita come “ultimo romantico” non lo rimanda certamente ad un mondo sognato e abbandonato, ma lo celebra (secondo la felice espressione di Stefano Roffi) come colui che visse l’equilibrio dell’eterno in modo fattivo, nel campo stesso della creazione. Magnani era immerso nel mondo musicale e nei difficili agoni delle arti figurative del suo secolo, che sostenne in concreto e sempre con quel pieno umanesimo che conservava come “daimon” (per usare la sua stessa espressione) ovvero carattere spirituale.
La Mostra, nella villa stupenda, spalanca capolavori di tutti i secoli: affascina, commuove, felicita supremamente. Inizia con l’incantevole Cavaliere in rosa che fu l’acquisto non realizzato dal grande Gino (così lo chiamavano gli amici): la mirabile tela del Moroni, conservata a Bergamo, riflette il suo ego recondito persino nel motto criptico che suggerisce “vale più il migliore che il primo in una lista”. Essa è il superbo riscontro alla collezione reale dove i primitivi italiani, Lippi e Tiziano, Dürer e Rubens, Tiepolo e Thomire, Canova e l’immenso Goya conducono il coro dell’alta epoca, per passar poi senza schianto alla ferrata schiera del novecento italiano. Qui il visitatore studioso, o l’amante, trovano tutti gli incontri, e tutti filtrati da quella vena sottile della proposta serena che rimane tipica in Magnani: come dicesse “ho scelto io” e “in ognuna di queste opere ci sono anch’io”. Ed ecco ad esempio la schiera impressionante degli autoritratti degli artisti italiani del secolo XX: una introspezione a specchio che Magnani ha voluto. Ed ecco i riscontri musicali, negli strumenti e nei dipinti, da Wildt a Casorati a Cagnaccio di San Pietro, a Morandi. E insieme la trafila pittorica di Severini, De Chirico, de Pisis, Carrà, Tosi, Mafai, Scialoja, Guttuso, Manzù, Clerici, Mattioli, Donghi, Funi, Marussig, Sciltian, Bueno, Depero, Savino, e altri. Nelle sale superiori i francesi del secondo ottocento, ma - come canto centrale di una vita e di una preferenza - i cinquanta Morandi che furono il suo amore. Sì, il silenzioso amore e l’amicizia tenace con l’appartato Giorgio di via Fondazza rimane il motivo perenne dell’animo di Gino.
Ci piace qui chiudere l’invito alla Mostra ricordando che il catalogo Silvana ora rimane come un monumento perenne di un’intera epoca, preziosissimo. E infine ripensando a Luigi Magnani come uno dei grandi solitari della storia di Parma: uomini che tennero in sè il loro mistero, pur donando molto: Antelami, Correggio, Parmigianino, Verdi, e più vicini a noi Guareschi e Ricci. Con loro egli si raccoglie.
Luigi Magnani e la sua villa (fotografia del 1965 circa) Tutte le immagini che seguono sono riportabili all’intimo dell’animo di Magnani. |
Giovanni Battista Moroni, Il Cavaliere in rosa (1560; Bergamo, Palazzo Moroni) Il desiderato autoritratto ideale di Luigi Magnani. |
Albrecht Dürer, Melencolia (1514; bulino) Lo stato d’animo della contemplazione per l’azione. |
Felice Casorati, Ritratto del Maestro Alfredo Casella (1926; Collezione Casella) Il simbolico rimando delle arti |
Adolfo Wildt, il Maestro Arturo Toscanini (1924; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea) La potenza orchestrale tradotta in marmo |
Giorgio Morandi, Autoritratto (1925; Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca) Il grande e veneratissimo amico |
Giorgio Morandi, Natura Morta (1936; Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca) Il sublime silenzio |
Gino Severini, Danseuse articulée (1915; Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca) Le avanguardie accompagnate |
Carlo Mattioli, Autoritratto con Anna (1982; Collezione privata) Il maestro parmense sempre stimato |
Massimo Campigli, Violini (1934; Rovereto, Mart) Un perenne richiamo musicale |
Fabrizio Clerici, Solo per arpa (Roma, Collezione privata) La musica dipinta dall’amico |
Giorgio De Chirico, Apollo Musagete (1955) Un siparietto per Stravinskij |
L'autore di questo articolo: Giuseppe Adani
Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.