La prima volta di Hendrick ter Brugghen in Italia. Com'è la mostra di Modena


Recensione della mostra “Ter Brugghen. Dall’Olanda all’Italia sulle orme di Caravaggio”, a cura di Gianni Papi e Federico Fischetti (a Modena, Gallerie Estensi, dal 13 ottobre 2023 al 14 gennaio 2024).

Si deve a Gianni Papi e Federico Fischetti il merito di aver portato e condiviso con il pubblico le più recenti ricerche sulla fase italiana del pittore olandese Hendrick ter Brugghen (L’Aia, 1588 – Utrecht, 1629) con la realizzazione della prima grande esposizione in Italia dedicata all’artista. Non a caso è stata scelta la Galleria Estense di Modena come sede della mostra Ter Brugghen. Dall’Olanda all’Italia sulle orme di Caravaggio, visitabile fino al 14 gennaio 2024, perché tutto è partito da qui. Lo scorso anno infatti la stessa Galleria modenese aveva presentato il piccolo focus espositivo Indagini intorno a Giovanni Serodine (1600-1630). I santi eremiti della Galleria Estense e della Certosa di Pavia, a cura di Fischetti e di Emanuela Daffra, sul restauro del Santo che scrive appartenente alla sua collezione museale, e proprio in questa occasione, come rivela Gianni Papi nel catalogo della rassegna odierna, maturarono rapidamente alcune idee che hanno spinto il museo modenese a mettere in cantiere questa “ambiziosa esposizione”. Perché proprio vedendo il quadro di Modena restaurato, esposto come opera di Giovanni Serodine, e il San Giovanni Battista del Museo della Certosa di Pavia, esposto come copia da Giuseppe Vermiglio e che Papi vedeva per la prima volta oltretutto restaurato, lo stesso studioso ha avuto l’emozionante illuminazione: "il linguaggio stilistico non lasciava dubbi sull’autografia di Ter Brugghen per il Santo che scrive di Modena“, scrive il curatore. ”Chiarissime erano quelle pennellate curvilinee, che strutturano la veste, nonché le inconfondibili mani costruite con tocchi diretti non impastati, senza disegno". E anche osservando, continua riferendosi al San Giovanni Battista, “l’alta qualità della sicurissima conduzione della pelliccia del gambe del santo, delle mani del magnifico agnello, non potevano sussistere dubbi che anche in quel quadro vi fosse l’autografia del pittore olandese”. E ancora, scrive Papi, “con due tele della Certosa assegnabili al pittore di Utrecht, era ragionevole pensare che anche il San Paolo eremita nascondesse un’immagine del medesimo artista (tanti elementi lo suggerivano, a cominciare dal volto per continuare con le gambe e con gli inconfondibili piedi)”, ma tuttavia per quest’ultimo dipinto riconosce che la qualità non sia sufficiente per affermare che si tratti di un quadro autografo, bensì di una copia che rivela un originale (attualmente perduto) di Ter Brugghen. A fronte di queste nuove attribuzioni di Gianni Papi di tre opere (una in copia) di Ter Brugghen per la Certosa di Pavia, su cui anche Fischetti si è trovato pienamente d’accordo, è dunque partita l’idea di una mostra, la prima in Italia, sul soggiorno di Ter Brugghen nel nostro paese e quindi sulla sua produzione italiana, resa possibile con l’appoggio della direttrice delle Gallerie Estensi Martina Bagnoli e dello stesso Federico Fischetti, funzionario del museo.

Nel suo saggio Per la ricostruzione del soggiorno di Hendrick Ter Brugghen in Italia, Papi ricorda che si era già occupato della giovinezza del pittore in Italia nel 2015 e nel 2020, gettando le basi per la ricostruzione del corpus dell’artista, ma si conoscono veramente pochi dati: non si conosce l’esatta data di nascita, ma si presume sia nato nel 1588, anno che il figlio Richard fa scrivere nella dedica sulle cornici degli Evangelisti del Museum De Waag di Deventer; secondo quanto affermano i biografi De Bie e Houbracken il pittore soggiornò in Italia dieci anni e incontrò Rubens a Roma, e lo stesso Ter Brugghen dichiarò il primo aprile del 1615 di essere stato nella penisola per diversi anni e che nell’estate del 1614 si trovava a Milano, da cui partì nell’autunno dello stesso anno per ritornare a Utrecht dove era giunto entro il primo ottobre.

Allestimenti della mostra Ter Brugghen. Dall'Olanda all'Italia sulle orme di Caravaggio
Allestimenti della mostra Ter Brugghen. Dall’Olanda all’Italia sulle orme di Caravaggio
Allestimenti della mostra Ter Brugghen. Dall'Olanda all'Italia sulle orme di Caravaggio
Allestimenti della mostra Ter Brugghen. Dall’Olanda all’Italia sulle orme di Caravaggio
Allestimenti della mostra Ter Brugghen. Dall'Olanda all'Italia sulle orme di Caravaggio
Allestimenti della mostra Ter Brugghen. Dall’Olanda all’Italia sulle orme di Caravaggio

La mostra della Galleria Estense di Modena è dunque un’esposizione che vede esposti molti dipinti la cui attribuzione si deve al curatore Gianni Papi, comprese quelle tre opere finora menzionate legate alla Certosa di Pavia; tuttavia è una mostra che si muove per ipotesi, come il curatore esplicitamente e prudenzialmente dichiara sia nel catalogo che in mostra: “Quella di Modena è una mostra pioneristica, con diverse ipotesi, perché i dati dai quali partire sono pochissimi; mi sono quindi dovuto affidare soprattutto ai contenuti linguistici dei dipinti, alle analisi stilistiche, che, come si sa, possono incontrare l’avversione di chi fino in fondo non le comprende e di conseguenza preferisce negarne i risultati”.

A dare il via alla mostra è proprio il Santo che scrive appartenente alla collezione della Galleria modenese, opera che, come anticipato, è stata fondamentale per la nascita della monografica stessa. Attribuita nel 1943 da Roberto Longhi a Giovanni Serodine e accettata pressoché all’unanimità questa centenaria attribuzione da parte degli studiosi, rimane irrisolta, almeno per il momento, la questione iconografica, poiché non è chiaro quale santo sia raffigurato (san Girolamo? sant’Agostino?). Nel catalogo, il saggio di Federico Fischetti verte sulla pittura naturalista nell’antica Galleria ducale modenese e proprio sulla storia collezionistica dell’opera, sulle sue attribuzioni antiche, arrivando all’ipotesi secondo la quale si identifica il Santo che scrive con il Sant’Agostino riferito a Caravaggio, dipinto che per la prima volta viene menzionato nel 1657 nelle raccolte estensi da Francesco Scannelli nel suo Microcosmo della pittura, trattato anch’esso presentato all’inizio del percorso espositivo. Alla metà del Seicento nel Palazzo Ducale voluto dal duca Francesco I d’Este si trovava un nucleo di dipinti caravaggeschi, testimonianza dell’importante ruolo giocato dalla pittura naturalista in quell’epoca e in quel contesto, e nel trattato di Scannelli, dedicato allo stesso duca, si legge nelle pagine su Caravaggio: “Si possono osservare nella straordinaria Galeria del Serenissimo Duca di Modana un quadro d’un S. Agostino di meze figure al naturale, il quale sta rivolto con la penna in mano in atto spiritosissimo, che palesa vivezza e verità veramente insolita e rara”. Che questo descritto da Scannelli sia il Santo che scrive già nella collezione ducale? Nel 1663 risulta comunque inventariato nelle stanze del nucleo più antico del Palazzo Ducale, dove anche Scannelli aveva potuto notare sopra una porta “un quadro con cornice dorata depinto in tela da Michel Angelo da Caravaggio. Rappresenta S. Agostino che scrive”. Il catalogo presenta inoltre un contributo di Gianluca Poldi sulle indagini diagnostiche compiute sul Santo che scrive in occasione del suo restauro per la mostra del 2022: le indagini hanno permesso un confronto con la banca dati diagnostica delle opere su tela di Serodine che ha mostrato più discordanze che coerenze. In mancanza di un simile archivio di dati tecnici sulle opere di Ter Brugghen, si è proceduto in questo caso per osservazioni visive su sue opere a lui attribuite stabilmente e su confronti con il poco materiale diagnostico disponibile.

L’esposizione prosegue con dipinti di grandi dimensioni collocabili nel periodo italiano del pittore, quali la Negazione di san Pietro della Collezione Spier, resa nota per la prima volta in sede scientifica da Gianni Papi che la espose che opera sicura di Ter Brugghen alla mostra dedicata a Gerrit van Honthorst agli Uffizi nel 2015 e cinque anni dopo la identificò con un dipinto registrato nell’Inventario dei beni del marchese Vincenzo Giustiniani del 1638 come opera creduta di mano di Enrico d’Anversa. Di ambientazione notturna, l’unica fonte di luce nella composizione proviene dal falò di ciocchi in basso a sinistra, che illumina prepotentemente il volto dell’ancella e lascia intravedere nell’oscurità gli altri personaggi; da notare il bianco turbante dell’ancella che costituisce un precedente per il turbante di Pilato nella tela di Lublino con Pilato che si lava le mani. Nella Negazione è possibile rilevare inoltre una vicinanza con la prima fase dell’attività di Gherardo delle Notti in Italia: potrebbe aver infatti influenzato fortemente le prime sperimentazioni luministiche di quest’ultimo, anche se meno cariche. Agli anni iniziali della produzione di Ter Brugghen a Roma, tra la fine del primo e l’inizio del secondo decennio del Seicento, Papi riconduce anche la Derisione di Cristo proveniente da Lille, l’Adorazione dei pastori e la Salomè che riceve la testa del Battista, entrambe della collezione Spier, e l’Incredulità di san Tommaso di collezione privata, esposto per la prima volta al pubblico e che trova, secondo Papi, evidenti affinità di stesura e fisionomiche tra gli apostoli retrostanti di questo dipinto e i pastori in secondo piano a sinistra dell’Adorazione dei pastori Spier. Tutte opere che il visitatore può ammirare nella prima parte del percorso di mostra. Vi sono poi il Ritratto di giovane uomo (forse un autoritratto dell’artista) dalla Galerie Jacques Leegenhoek di Parigi e il Santo Stefano della collezione Koelliker, ad oggi gli unici ritratti a mezza figura riferibili alla fase italiana di Ter Brugghen. Anche in quest’ultimo si sono riconosciute affinità nei tratti somatici di un pastore dell’Adorazione dei pastori Spier. E ancora, è stata riconsegnata con decisione nel 2020 da Gianni Papi la paternità del San Giovanni Evangelista, qui in mostra, a Ter Brugghen: anche questo dipinto, come il Santo che scrive, era stato attribuito da Roberto Longhi a Serodine (l’opera ha avuto una contrastata vicenda attributiva). Il San Giovanni Evangelista della Galleria Sabauda presenta per il curatore evidenti corrispondenze sia con l’Adorazione dei pastori Spier sia con la Negazione di san Pietro, ma soprattutto rileva affinità con le tele per la Certosa di Pavia e riconosce una fisionomia vicina a quelle della produzione olandese del pittore.

Hendrick ter Brugghen, Santo scrivente (1614; olio su tela, 82 x 141,5 cm; Modena, Gallerie Estensi – Galleria Estense). Foto: Gallerie Estensi / Foto Carlo Vannini
Hendrick ter Brugghen, Santo scrivente (1614; olio su tela, 82 x 141,5 cm; Modena, Gallerie Estensi – Galleria Estense). Foto: Gallerie Estensi / Foto Carlo Vannini
Hendrick ter Brugghen, Negazione di Pietro (1605 - 1614; olio su tela, 288 x 190 cm; Londra, Collezione Spier)
Hendrick ter Brugghen, Negazione di Pietro (1605 - 1614; olio su tela, 288 x 190 cm; Londra, Collezione Spier)
Hendrick ter Brugghen, Pilato si lava le mani (1615-1620; olio su tela, 100 x 128 cm; Lublino, Museo Nazionale). Foto: Muzeum Narodowe w Lublinie
Hendrick ter Brugghen, Pilato si lava le mani (1615-1620; olio su tela, 100 x 128 cm; Lublino, Museo Nazionale). Foto: Muzeum Narodowe w Lublinie
Hendrick ter Brugghen, Adorazione dei pastori (1605 – 1614; olio su tela, 160 x 210 cm; Londra, Collezione Spier). Foto: Spier Collection
Hendrick ter Brugghen, Adorazione dei pastori (1605 – 1614; olio su tela, 160 x 210 cm; Londra, Collezione Spier). Foto: Spier Collection
Hendrick ter Brugghen, Derisione di Cristo (1615-1620; olio su tela, 173,8 x 135,5 cm; Lille, Musée des Beaux-Arts)
Hendrick ter Brugghen, Derisione di Cristo (1615-1620; olio su tela, 173,8 x 135,5 cm; Lille, Musée des Beaux-Arts)

Si deve infine ancora a Papi l’aver riconosciuto nel San Giovanni Battista della Certosa di Pavia, concesso in prestito in occasione della mostra, la mano di un altro pittore oltre a quella dell’artista olandese: Giulio Cesare Procaccini che, secondo lo studioso, avrebbe realizzato il volto, dai tratti più correggeschi, in contrasto con il corpo eseguito invece da Ter Brugghen. E a seguito di questa rivelazione, ancora Papi avanza una collaborazione tra i due pittori anche nella Cena in Emmaus esposta qui in mostra e proveniente dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, poiché sarebbe evidente la differenza di mano tra la figura di Cristo, in particolare il volto, e i discepoli. Già nel 1999 Alessandro Morandotti aveva ipotizzato una collaborazione nel 1614 tra Ter Brugghen e Procaccini per la figura di Cristo. Tra le poche notizie certe sulla vita dell’olandese è la sua presenza a Milano nel 1614 e, se si considera questa collaborazione, oltre alla realizzazione delle tele per la Certosa di Pavia, è da ritenere probabile che il soggiorno in Lombardia del pittore sia stato qualcosa di più importante di una fugace apparizione nell’estate del 1614 sulla via del ritorno verso Utrecht.

Con una nuova sezione, la mostra prosegue con opere appartenenti al periodo olandese di Ter Brugghen, dopo il rientro dall’Italia, ma comunque entro il 1620. Ecco quindi la tela che raffigura Pilato che si lava le mani, già citata in precedenza per il rimando a quel turbante bianco che si ritrova sul capo dell’ancella nella Negazione di san Pietro. Quello del Muzeum Narodowe di Lublino è un dipinto in cui si percepisce nettamente l’influenza del soggiorno italiano dell’artista, soprattutto delle sue opere lombarde. Nel servo che versa l’acqua sulle mani di Pilato viene riconosciuta una corrispondenza con il San Giovanni Evangelista della Galleria Sabauda (in particolare nel verde della veste del primo e del mantello del secondo), mentre le mani di Pilato sono considerate “una firma ” di Ter Brugghen, poiché si ritrovano nel Santo che scrive, nella Salomè, nel San Giovanni Battista, nell’Adorazione dei pastori. E anche uno dei capolavori più famosi del pittore olandese, la Vocazione di san Matteo, in prestito dal Musée d’art moderne André Malraux di Le Havre, cita in maniera molto evidente, anche se in senso capovolto, il capolavoro di Caravaggio in San Luigi dei Francesi a Roma, intrecciando tuttavia questa citazione con elementi pressoché nordici, come il cappello piumato o la manica bianca del ragazzo al centro della scena, i fogli accartocciati sullo sfondo a destra, e il gruppo intento a contare le monete.

Hendrick ter Brugghen, Ritratto di giovane (Autoritratto?) (1605 – 1614; olio su tela, 58 x 48 cm; Parigi, Galerie Jacques Leegenhoek). Foto: Agence Phar
Hendrick ter Brugghen, Ritratto di giovane (Autoritratto?) (1605 – 1614; olio su tela, 58 x 48 cm; Parigi, Galerie Jacques Leegenhoek). Foto: Agence Phar
Hendrick ter Brugghen, Santo Stefano (1605 – 1614; olio su tela, 75 x 55 cm; Collezione Koelliker). Foto: Collezione Koelliker
Hendrick ter Brugghen, Santo Stefano (1605 – 1614; olio su tela, 75 x 55 cm; Collezione Koelliker). Foto: Collezione Koelliker
Hendrick ter Brugghen, San Giovanni Evangelista (1605 – 1614; olio su tela, 105 x 137 cm; Torino, Musei Reali – Galleria Sabauda). Foto: Musei Reali Torino
Hendrick ter Brugghen, San Giovanni Evangelista (1605 – 1614; olio su tela, 105 x 137 cm; Torino, Musei Reali – Galleria Sabauda). Foto: Musei Reali Torino
Hendrick ter Brugghen, con Giulio Cesare Procaccini? San Giovanni Battista (1614; olio su tela, 155 x 190 cm; Direzione Regionale Musei della Lombardia - Museo della Certosa di Pavia). Foto: Direzione Regionale Musei Lombardia Foto Carlo Vannini
Hendrick ter Brugghen con Giulio Cesare Procaccini?, San Giovanni Battista (1614; olio su tela, 155 x 190 cm; Direzione Regionale Musei della Lombardia - Museo della Certosa di Pavia). Foto: Direzione Regionale Musei Lombardia Foto Carlo Vannini
Hendrick ter Brugghen, (con Giulio Cesare Procaccini?), Cena in Emmaus (1614; olio su tela, 156 x 199 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum). Foto: KHM-Museumsverband
Hendrick ter Brugghen (con Giulio Cesare Procaccini?), Cena in Emmaus (1614; olio su tela, 156 x 199 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum). Foto: KHM-Museumsverband
Hendrick ter Brugghen, Vocazione di Matteo (1620; olio su tela, 152 x 195 cm; Le Havre, Musée d’art moderne André Malraux)
Hendrick ter Brugghen, Vocazione di Matteo (1620; olio su tela, 152 x 195 cm; Le Havre, Musée d’art moderne André Malraux)

Il percorso espositivo si conclude infine con una carrellata sia di artisti che hanno indotto a un confronto con la produzione di Ter Brugghen, quali Procaccini e Serodine (il primo, come si è visto, per l’ipotesi di una collaborazione tra i due; il secondo per l’attribuzione di alcuni dipinti oggi dati a Ter Brugghen), sia di pittori che fanno emergere come l’olandese fosse tra i protagonisti di quel linguaggio naturalistico scaturito sulle orme di Caravaggio, come Jusepe de Ribera, Dirck van Baburen, Gerrit van Honthorst, che si concretizza soprattutto nella resa realistica di figure e ambientazioni e in una resa luministica che gioca sui chiaroscuri o sui notturni con un’unica fonte di luce capace di creare particolari suggestioni.

Malgrado l’illuminazione renda veramente difficile vedere bene molti dei dipinti esposti, problema che non dovrebbe assolutamente esistere in una mostra come questa che si concentra proprio sul confronto di elementi dei singoli quadri e in una sede museale tra le più importanti in Italia come la Galleria Estense, la mostra di Ter Brugghen a Modena dà occasione di ammirare riunite opere che altrimenti non potremmo vedere sul territorio italiano, poiché molte provenienti dall’estero e in collezione privata, e di poter osservare ancora esposte insieme le citate tele per la Certosa di Pavia. È una mostra da visitare, oltre che per i capolavori presenti (ne è un esempio la Vocazione di san Matteo di Le Havre), perché pone il pubblico di fronte alle più recenti ricerche su un pittore di cui si sa ancora molto poco, soprattutto sulla sua fase italiana, e che risulta immerso nell’ampio contesto del naturalismo caravaggesco, influenzato quindi fortemente dalla pittura italiana. È poi la prima monografica in Italia dedicata a Ter Brugghen e la prima in assoluto ad esplorarne gli anni italiani, opportunità dunque da non perdere. Utile anche il catalogo che accompagna l’esposizione, il primo catalogo su Ter Brugghen in Italia: tutte le opere in mostra sono affiancate dalla loro scheda (elemento da non sottovalutare in quanto i cataloghi “moderni” tendono spesso purtroppo a eliminarle); ci sono poi i saggi dei due curatori, il contributo di Tommaso Borgogelli Hendrick Ter Brugghen in Italia attraverso le fonti e i documenti, e infine una sezione scritta da Gianluca Poldi sulle indagini tecniche compiute sul Santo che scrive. Come scrive Gianni Papi, la mostra vuole essere “un grande passo avanti per definire alcuni punti fermi” sull’attività italiana del pittore per poi “da qui andare avanti”; per fare scaturire “numerosi spunti di riflessione e discussione e nuovi percorsi di studio”, come sottolinea la direttrice delle Gallerie Estensi Martina Bagnoli, perché “uno dei compiti principali di un museo di arte antica è proprio quello di aprire nuove prospettive e favorire nuovi incontri”. E noi ci auguriamo che gli studi e le ricerche su questo pittore proseguano.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.




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