La dura scelta, contemporanea e attuale, di Daniel Spoerri


Recensione della mostra "Daniel Spoerri. Una dura scelta" a Carrara, Centro Arti Plastiche, nell'ambito di Carrara Marble Weeks 2016 (fino all'11/09).

Articolo originariamente pubblicato su culturainrivera.it

Il titolo di una mostra d’arte può essere fortemente rivelatore. Spesso lo è in negativo: chi ha un po’ di dimestichezza con il mondo delle mostre ormai sa già più o meno cosa aspettarsi fin dal titolo, dato peraltro il conformismo che caratterizza gran parte degli organizzatori e dei curatori. Ma può essere anche variamente interpretabile: è il caso dell’esposizione Daniel Spoerri. Una dura scelta, la principale mostra dell’estate carrarese, capofila nell’ambito del cartellone Carrara Marble Weeks. Chi è che compie una dura scelta, alla fine? Un po’ tutti: Daniel Spoerri, la cui ricerca è una continua evoluzione sempre mossa da quella convinzione (“la pittura da cavalletto ha fatto il suo tempo”) attorno alla quale Pierre Restany elaborò il manifesto del nouveau réalisme, firmato poi da diversi artisti, tra cui lo stesso Spoerri. Il pubblico, chiamato a visitare (ma si potrebbe tranquillamente dire “a prender parte a”) una mostra di un artista il cui linguaggio è già entrato nei “canoni ufficiali” della storia dell’arte ma che non è tra i più immediati e facili per chi è abituato alla tradizione (ed è innegabile che Carrara sia fortemente radicata alla propria tradizione). Il curatore, Luciano Massari, che ha dovuto letteralmente scegliere una quarantina di opere provenienti per lo più da collezioni private per documentare il lungo percorso dell’artista svizzero-rumeno.

Qualcosa, inevitabilmente, rimane fuori. Mancano, per esempio, i cosiddetti Oracoli, tra le più recenti realizzazioni di Spoerri, che pure sarebbero stati benissimo nel percorso ideato da Massari, anche per illustrare visivamente quanto asserito dal critico Antonio d’Avossa nel saggio del catalogo: “quella di Daniel Spoerri è un’attitudine unica che si presenta in quel grande affresco della storia dell’arte contemporanea come una vera e propria lingua, con regole ed eccezioni, con casi e coniugazioni, e soprattutto con una grande varietà di intuizioni poetiche che lo rendono stupefacente, nel suo produrre contraddizioni crescenti tra il senso della modernità e il senso della classicità”.

Tuttavia un primo, lampante esempio di questa tendenza a far incontrare “senso della modernità” e “senso della classicità” per farne emergere tutte le contraddizioni, si trova subito all’inizio del percorso: il Gatto e la Volpe sono due sculture in bronzo che riproducono i cadaveri dei due animali. Una “Natura morta” di classica memoria nel vero senso della parola. E che torna protagonista alla fine, in un’opera della serie Histoires des Boîtes à Lettres (“Storie delle cassette postali”), dove i più disparati oggetti (un coltello e tre animali mummificati nel numero 10 della serie, oppure, ne Il peso della magia, la prima opera del percorso, una stadera da cui pende una scatola colma di cianfrusaglie – memorie, ricordi? – e una riproduzione di una mano) sono attaccati a tavole su cui è stato steso un letto di caratteri tipografici. I caratteri servono per comunicare, con i caratteri si scrivono lettere che verranno spedite in ogni parte del mondo, che raccontano le storie più varie (reali o fantasiose che siano, legati a fatti veri, a sogni più o meno inquietanti, o a ricordi) e che diventeranno esse stesse parte di una storia.

Daniel Spoerri, Il Gatto e la Volpe (fusione in bronzo)
Daniel Spoerri, Il Gatto e la Volpe (fusione in bronzo)


Daniel Spoerri, Histoires de Boîtes à Lettres, vol. 10 (2003; assemblaggio, 125 x 80 x 66 cm)
Daniel Spoerri, Histoires de Boîtes à Lettres, vol. 10 (2003; assemblaggio, 125 x 80 x 66 cm)


Daniel Spoerri, Il peso della magia (Assemblaggio)
Daniel Spoerri, Il peso della magia (Assemblaggio)


Le Histoires des Boîtes à Lettres, concepite tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, fanno parte delle ultime ricerche dell’artista: il fatto che un’opera della serie sia stata esposta in apertura di percorso potrebbe essere dunque letto come una dichiarazione d’intenti, perché poi la mostra segue un percorso sostanzialmente cronologico che inizia con un rimando ai tableaux pièges, i celebri “quadri trappola” attraverso cui, fin dagli anni Sessanta, Daniel Spoerri fissa su supporti verticali oggetti reperiti nella realtà e proposti all’osservatore nell’esatta posizione in cui l’artista li ha trovati. Solo in verticale, invece che in orizzontale. Richiama questo filone un’opera come la Tavola caduta: si differenzia dai tableaux pièges degli inizi perché in questo caso gli oggetti scivolano verso terra andandosi a rompere sul pavimento comunicando, peraltro, un dinamismo non frequentissimo nell’arte di Spoerri. Gli oggetti in questione sono nient’altro che ciò che si troverebbe su una tavola apparecchiata, con i resti di un pranzo: bottiglie d’acqua e di vino, tappi di sughero, confezioni di grissini aperte e svuotate.

È questo, del resto, il modo in cui Spoerri conduce la sua critica alla società dei consumi: attraverso quella “eat art” inventata dall’artista (l’arte in cui protagonista è il cibo), Spoerri si domanda quale sia il nostro rapporto col cibo. Un rapporto sicuramente pieno di contraddizioni, che esplodono con tutte le loro angoscianti conseguenze in una delle opere più terrificanti della mostra, il Fantasma della fame: un assemblaggio di oggetti disparati, soprattutto giocattoli, sormontato da una vecchia maschera da scherma su cui Spoerri ha aggiunto una maschera da Zanni veneziano. L’Unicef ha recentemente diffuso una statistica secondo la quale ogni anno nel mondo muoiono di fame oltre tre milioni di bambini sotto ai cinque anni d’età: possiamo limitarci a dire che si tratta di riflessioni indotte dall’osservazione delle opere di Daniel Spoerri. E non a caso vicino al Fantasma della fame è stata posta un’altra opera se vogliamo ancor più terribile: la Natività al contrario, con una cicogna impagliata che trasporta lo scheletro di un bambino. Un’atroce rilettura contemporanea di un tema classico, quello del memento mori.

Daniel Spoerri, Il fantasma della fame (Assemblaggio, h. 220 cm)
Daniel Spoerri, Il fantasma della fame (Assemblaggio, h. 220 cm)


Daniel Spoerri, Natività al contrario (assemblaggio, 120 x 60 x 90 cm)
Daniel Spoerri, Natività al contrario (assemblaggio, 120 x 60 x 90 cm)


Va detto infatti che una delle caratteristiche dell’opera di Daniel Spoerri è quella di condurre una continua riflessione sul rapporto tra vita e morte. All’inizio della mostra troviamo due opere che colpiscono forte, come la Pêche interdite (“Pesca vietata”) e To knot or not to be (gioco di parole intraducibile in italiano che fa leva sull’assonanza tra “knot”, “nodo”, e “not”, “non”… si potrebbe rendere, forse stupidamente, con “Essere o nod’essere”). La prima è un’opera del 1979 appartenente alla serie delle Investigations criminelles (“Investigazioni criminali”): con lo stesso procedimento dei tableaux pièges, l’artista appende alla tavola la fotografia di una donna uccisa per annegamento e una serie di oggetti che ricostruiscono l’indagine sul crimine. Con la seconda Spoerri sonda la possibilità, da parte di oggetti di uso comune, di trasformarsi in armi letali: l’orribile foto di un uomo impiccato e lasciato appeso per chissà quante ore è affiancata da corde che si stringono in nodi di vari tipi.

Daniel Spoerri, Pêche interdite (1979; assemblaggio, 134 x 34 x 20 cm)
Daniel Spoerri, Pêche interdite (1979; assemblaggio, 134 x 34 x 20 cm)


Due dei temi principali dell’arte di Spoerri, la nutrizione e la fine, tornano assieme in quella che è probabilmente l’opera più grandiosa di quelle esposte in mostra, l’Ultima cena, che il visitatore trova più o meno a metà del percorso, dopo le Investigations criminelles. L’Ultima cena è una serie di tredici tavole in marmo di Carrara (proprio nella città apuana fu concepita l’opera) che rappresenta altrettante ultime cene di grandi personalità della storia, da Socrate a Duchamp passando per Proust e Freud senza dimenticare, ovviamente, Gesù Cristo (sua è la tavola di marmo più grande, posta al centro). Spoerri si è documentato su cosa avessero mangiato tutti questi personaggi nel loro ultimo pasto e ha prodotto questa serie dove gli oggetti e i piatti in marmo, scolpiti, ricordano i tableaux pièges: una sorta di nobilitazione, dato il materiale e i personaggi, del filone che l’artista ha praticato per gran parte della carriera. E simili ai tableaux pièges sono anche le ultime opere dell’artista in mostra, come La catena genetica del mercato delle pulci o Erst letzt das erste (“Prima l’ultimo il primo”) dove la passione di Daniel Spoerri per l’accumulo si rende di nuovo manifesta.

Daniel Spoerri, Ultima cena (13 tavole in marmo di Carrara)
Daniel Spoerri, Ultima cena (13 tavole in marmo di Carrara)


Daniel Spoerri, Ultima Cena - Gesù Cristo (marmo di Carrara)
Daniel Spoerri, Ultima Cena – Gesù Cristo (marmo di Carrara)


Daniel Spoerri, Ultima Cena - Marcel Duchamp (marmo di Carrara)
Daniel Spoerri, Ultima Cena – Marcel Duchamp (marmo di Carrara)


Daniel Spoerri, Catena genetica del mercato delle pulci, particolare (assemblaggio)
Daniel Spoerri, Catena genetica del mercato delle pulci, particolare (assemblaggio)


Daniel Spoerri, Erst letzt das erste (2009-2010; assemblaggio, 75 x 75 cm)
Daniel Spoerri, Erst letzt das erste (2009-2010; assemblaggio, 75 x 75 cm)


L’arte di Daniel Spoerri è pura bruttezza. Ma se la sua arte racconta di bruttezza, d’inutilità, di immondizia, di violenza, di accumulo estremo, lo fa perché è così che l’artista vede la realtà e soprattutto perché è così che la realtà si presenta agli occhi dell’artista (e nostri): presupposto del nouveau réalisme non è più quello di presentare la realtà sotto forma d’imitazione da raffigurare in un quadro o in una scultura, bensì quello di far parlare direttamente gli oggetti reali. Il filosofo francese Mattéi faceva assurgere gli oggetti di Spoerri a paradigma del supposto nichilismo della nostra società oltre che dell’incapacità, da parte di molta arte contemporanea, di farsi portatrice di significati. Difatti chi si aspetta di trovare dei messaggi potrebbe rimaner deluso, ma ciò non significa che l’arte di Spoerri non abbia un significato: l’artista, infatti, racconta. Gli oggetti di Spoerri parlano in modo agghiacciante, spesso brutale, ed è soprattutto questa componente violenta, che ci racconta di una realtà non proprio idilliaca, che emerge dalla mostra carrarese. L’unica speranza è affidata all’installazione che estende la mostra fino all’Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti, e che si intitola L’ombelico del mondo, del 1991: nove unicorni in circolo, installati al centro della sala, che provengono dal giardino dell’artista di Seggiano. Una possibile riconciliazione col mondo della fantasia, con l’antichità (il numero scelto, il nove, è colmo di rimandi simbolici), e con un’incontaminata purezza, di cui l’unicorno è simbolo.

Il problema principale della mostra consiste nel fatto che molti dei passaggi di cui sopra non si riescono a cogliere, pur nella coerenza di fondo di un percorso che si sviluppa seguendo un certo rigore cronologico (e quindi, sostanzialmente, procede per temi, perché le varie ricerche di Spoerri sono scandite in modo piuttosto regolare lungo l’arco della sua carriera artistica). È un problema comune a gran parte delle mostre di arte contemporanea, che si avvalgono spesso di apparati comunicativi carenti o, come nel caso di Daniel Spoerri. Una dura scelta, quasi del tutto assenti. Il fatto che l’arte contemporanea abbia problemi di comunicabilità col pubblico, emersi anche dall’esposizione carrarese, avrebbe dovuto essere uno stimolo per gli organizzatori: per un percorso ben congegnato, quale è del resto quello dell’esposizione (da eccepire giusto la mancanza di qualche tableaux pièges degli esordi, che si fa sentire soprattutto all’inizio, quando il visitatore è costretto a un salto piuttosto lungo fino agli anni Settanta, oltre che quella degli oracoli e anche dei détrompe l’oeil), un apparato didascalico per il pubblico altrettanto ben congegnato sarebbe stato fondamentale per una piena riuscita. Fatte salve queste lacune, l’operazione è sicuramente da promuovere.

Clicca qui per tutte le informazioni sulla mostra

Daniel Spoerri, L'installazione "L'ombelico del mondo" all'Accademia di Belle Arti di Carrara
Daniel Spoerri, L’installazione “L’ombelico del mondo” all’Accademia di Belle Arti di Carrara


Pubblico alla mostra "Daniel Spoerri. Una dura scelta"
Pubblico alla mostra “Daniel Spoerri. Una dura scelta”


 


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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