Non dev’essere stato un compito semplice, per i curatori della mostra Fuck Hof, operare una cernita nella sterminata produzione di Igor Hofbauer (Zagabria, 1974), grafico e illustratore croato tra i maggiori della scena underground contemporanea, nonché autore d’una mole di lavori decisamente consistente. Non dev’essere stato semplice anche per il fatto che la produzione di Hofbauer si mantiene sempre su livelli molto alti: basta dare un’occhiata alle opere più recenti per rendersene conto. Stefano Dazzi Dvořák, Marco Cirillo Pedri e Alessandra Ioalé (ai quali va il merito d’aver organizzato una mostra completa, che ripercorre oltre vent’anni di carriera di Igor Hofbauer senza tralasciare alcunché) hanno infatti portato a Carrara, alla Teké Gallery, anche gli ultimi lavori dell’artista croato. Fumetti, soprattutto: tra le novità figura Mister Morgen, soffocante raccolta di racconti dove le storie di un’umanità varia, disperata, abbruttita e senza speranza né possibilità di migliorare la propria condizione, si dipanano attraverso la periferia d’una città dell’Europa dell’Est, una sorta di cupa e vuota Novi Zagreb, la “Nuova Zagabria” degli enormi blocchi residenziali costruiti durante gli anni della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, in piena decadenza, che si fa carico di dar corpo ai timori e alle ossessioni dell’autore.
Una delle sale della mostra Igor Hofbauer. Fuck Hof |
Teca con alcuni dei fumetti di Igor Hofbauer |
Il feroce sarcasmo è evidente sin dal titolo dell’opera, preso a prestito dal soprannome di uno dei più popolari cantanti croati del secolo scorso, Ivo Robić, noto anche come “Mister Morgen” perché Morgen (“Domani”, in tedesco) era il titolo della sua canzone più fortunata: un brano facile e leggero, con un testo pieno d’allegria e ottimismo, pubblicato in un’epoca (il pezzo risale al 1959) connotata da ascesa economica e fiducia nel futuro. E paradossalmente il personaggio che, nella raccolta di Hofbauer, porta il nome del libro, è un senzatetto che condivide la propria sorte con altri derelitti come lui. Senso d’oppressione, sfiducia e incertezza emergono dalle atmosfere visionarie di Mister Morgen: un’opera che, scrive Vittore Baroni nel catalogo della mostra, “produce uno scarto dalla norma, un’immersione totale in un universo di deliri sociopatici e allucinazioni erotiche, cartina al tornasole della nostra società occidentale in piena devoluzione. In questa enigmatica sinfonia onirica, curiosamente nostalgica e pervasa da una vena di orrore poetico, il lettore è chiamato a colmare i vuoti, cercando di ghermire i fantasmi di una civiltà condannata”.
Di segno totalmente opposto appare invece Inspektor Gürtel, opera del 2015, quindi di poco precedente a Mister Morgen, pubblicata nel 2016. Totalmente opposto perché se Mister Morgen è un’opera fortemente personale e, in certo modo, anche autobiografica e frutto del vissuto diretto dell’artista, Inspektor Gürtel si configura, al contrario, come un “divertimento totale” (per usare la stessa espressione che Hofbauer ha adoperato per descrivere la sua graphic novel), colmo di rimandi ai fumetti storici, al cinema e all’arte del Novecento. Si tratta d’una sorta di Dick Tracy dei Balcani (ma dai toni intensamente più noir) che aiuta subito a familiarizzare con l’immaginario dell’artista. Protagonista è un ispettore alle prese con un fatto di sangue, occorso tra scenarî metafisici che ricordano la Ferrara di Giorgio De Chirico (con tanto di citazione diretta del Canto d’amore) e sul quale il detective con borsalino e impermeabile giallo indaga aggirandosi tra i sordidi bassifondi d’una città popolata da improbabili vamp che sembrano direttamente uscite dai dipinti di Emil Nolde e torvi figuri che si ritrovano al bancone d’un bar che cita espressamente i Nighthawks di Hopper. Ma ci sono anche i b-movie polizieschi e fantascientifici, ci sono i film noir del cinema americano (Hofbauer parla espressamente di The third man e Chinatown), ci sono i fumetti di Charles Burns. Un personaggio simile all’ispettore di Hofbauer ritorna, peraltro, nel manifesto pensato appositamente per la mostra carrarese, dove si vede un detective che porta in spalla un gorilla (il primate è uno dei più frequenti topoi della sua produzione) avviandosi verso le cave di marmo apuano: la locandina è preceduta da un’ironica tavola, Majmunov bijeg (“La fuga della scimmia”), dove assistiamo al tentativo (con esito positivo) del suddetto detective di portare a Carrara, tra mille disavventure, il rosso scimmione.
Igor Hofbauer, Mister Morgen (2016) |
Igor Hofbauer, Inspektor Gürtel (2015) |
Igor Hofbauer, Inspektor Gürtel, dettaglio |
Igor Hofbauer, Inspektor Gürtel, dettaglio |
Igor Hofbauer, Fuck Hof (2017) |
Igor Hofbauer, Majmunov Bijeg (2017) |
Risulta alquanto arduo stabilire un canone all’interno della produzione di Hofbauer, sebbene sia invece possibile risalire alle scaturigini del suo alienato immaginario, che trova, intanto, fertile terreno nelle distopie d’ogni epoca: uno dei principali riferimenti è 1984 di George Orwell, libro presente in mostra in un’edizione con copertina disegnata da Hofbauer (ma ci sono anche illustrazioni che l’artista disegna rifacendosi apertamente al film di Michael Redford). Il cinema, del resto, costituisce una fonte costante d’ispirazione: registi come Lynch, Scott, Jodorowsky concorrono a formare quegli scenarî distorti dove Hofbauer ambienta le proprie creazioni. “I ritratti metropolitani della capitale croata”, scrive la curatrice Alessandra Ioalè, “sono, in realtà, il vero soggetto dei suoi racconti. Storie imprevedibili e transdimensionali popolate da disadattati sociali, emarginati, creature deformi e forme di vita post-decadenti. Umanoidi subnormali insoliti, la cui presenza rende surreale l’atmosfera del racconto, al cui sviluppo narrativo l’autore aggiunge quel giusto nonsense da creare mistero, dubbio e suscitare incertezza, a volte anche sconcerto e shock, nel lettore”.
Un’altra costante nell’opera di Hofbauer è il recupero dell’arte di propaganda sovietica, con cui un artista d’area balcanica non può non fare i conti. Un recupero che ha una doppia valenza: costruire un repertorio al quale attingere costantemente immagini e simboli, e rovesciarne al contempo il significato. Particolarmente esemplificativa è una locandina dove, all’interno d’una cupa fonderia, una citazione diretta di Aleksandr Rodčenko accompagna la parola “Work”, “lavorare”, che viene però disattesa da una coppia d’operai che smette le tute ignifughe e si denuda per unirsi in un amplesso con la donna che già mette le mani dentro i pantaloni dell’uomo. L’estetica di Igor Hofbauer trova il proprio fondamento nel costruttivismo russo, svuotato però dei suoi significati politici e applicato, con i suoi costrutti geometrici, con l’attenzione alla parola scritta, con la tendenza alla sintesi, con le forme piatte e ben definite, all’odierna società metropolitana e a tutte le sue angosce. E del costruttivismo Hofbauer fa sua anche l’importanza estetica come parte stessa del messaggio: un modo d’esprimersi che affonda le proprie radici anche nell’illustrazione croata della generazione precedente (Hofbauer ha spesso indicato in Boris Bućan uno degli artisti che lo hanno maggiormente influenzato) e che punta in gran parte sullo stile per far emergere il contenuto. L’importanza del passato, per Hofbauer, sta nella sua riconoscibilità: all’artista spetta il dovere d’attualizzarlo nelle forme che più ritiene adatte al proprio tempo.
Igor Hofbauer, For Work |
Igor Hofbauer, Illustrazioni per 1984 di George Orwell |
Queste caratteristiche, proprie del linguaggio di Hofbauer fin dai suoi esordî, si ritrovano anche nella sua vasta produzione di locandine di concerti e artwork per gruppi musicali. Particolarmente intensa, in tal senso, la sua attività per il club Močvara (ovvero “Palude”) di Zagabria, con il quale è sempre sussistito uno scambio vicendevole: Igor Hofbauer, dal 1999, ha legato il proprio nome a quello del locale per concerti underground croato e anche grazie ai volantini prodotti in tal contesto ha cominciato a far circolare insistentemente il proprio nome, e il Močvara s’è costruito la propria identità anche (e forse addirittura soprattutto) col contributo dei disegni dell’artista. Senza particolari strategie se non quella di puntare su un artista di talento. Manifesti entrati nell’immaginario di quanti gravitano attorno all’ambiente underground croato (e non solo), e radunati poi in diverse raccolte. Hofbauer ha raccontato a Vittore Baroni le circostanze che lo hanno portato al Močvara: “In Croazia i cupi e difficili anni ‘90 di Franjo Tuđman, il suo regime nazionalistico assolutistico e l’apatia esistente nel Paese hanno provocato una concentrazione della frustrazione giovanile e, di seguito, la creazione di una piattaforma controculturale. Questo ha dato l’avvio a Zagabria alla creazione di ogni sorta di organizzazione giovanile. Una di queste era il Močvara. Loro mi conoscevano e mi chiesero di realizzare dei manifesti per i loro eventi. [...] Mi lasciai trasportare da quell’energia e per me è stato importante lavorare ai manifesti perché avevo realmente a cuore il fatto che più persone sarebbero potute venire a sentire la band. Ho anche aiutato i gruppi a scaricare la loro strumentazione, ho offerto loro un posto per dormire e mangiare. È così, in breve, che i miei poster sono finiti sui muri delle strade”.
In mostra ci sono dei pezzi molto suggestivi. C’è la prima edizione serigrafica del manifesto che Hofbauer ha realizzato nel febbraio di quest’anno per il concerto di Teho Tehardo e Blixa Bargeld. C’è il manifesto del concerto degli Heavy Trash, nel quale l’estetica rockabilly, che spesso affiora nella produzione dell’artista croato, ha potuto assurgere al ruolo di assoluta protagonista della composizione. Ancora, c’è la locandina d’un importante concerto tenutosi al Močvara il 3 novembre del 2013, quello dei Pere Ubu, una delle band più importanti dell’intera storia del rock. C’è il manifesto per un concerto degli italiani Figli di Madre Ignota che ha per protagonista una sorta di versione adulta, distorta e inquietante del trenino Thomas, il cartone animato inglese degli anni Ottanta a cui diedero la voce, tra gli altri, Ringo Starr, George Carlin e Alec Baldwin. Sembrano quasi pagine di un unico racconto lungo un ventennio, capace di alternare linguaggio elevato e linguaggio basso, in grado di pescare dalla grande storia dell’arte ma anche dal folklore dei Balcani, e soprattutto abile nel tentativo di donare un’identità alternativa e nuova a una città desiderosa di lasciarsi alle spalle un passato pesante e opprimente.
Alcune locandine di Igor Hofbauer |
Igor Hofbauer, Locandina per il concerto di Teho Teardo e Blixa Bargeld al Močvara di Zagabria (2017) |
Igor Hofbauer, Locandina per il concerto degli Heavy Trash al Močvara di Zagabria (2016) |
Igor Hofbauer, Locandina per il concerto dei Pere Ubu al Močvara di Zagabria (2013) |
Igor Hofbauer, Locandina per il concerto dei Figli di Madre Ignota al Močvara di Zagabria (2006) |
Igor Hofbauer è un artista che ha una certa propensione al dramma. La bassezza, la miseria umana, la disperazione, l’alienazione dei suoi personaggi che vagano tra i grigi edifici in rovina d’una ex Jugoslavia spettrale e desolata sembrano non lasciare alcuna speranza, paiono comunicare che non ci sia possibilità d’innalzarsi, o quanto meno di tentare l’impresa: dopo un primo momento di naturale e quasi scontato disorientamento, si prova una sorta d’empatia, probabilmente anche in linea con l’idea dell’autore, e ciò nonostante par d’aver a che fare con personaggi ormai già ampiamente condannati. Possibile che nessun barlume di positività si celi dietro le opere di Hofbauer? È forse questa la domanda più naturale che s’origina dalla visione dei suoi fumetti, dei suoi manifesti, delle sue illustrazioni: è dunque possibile e lecito avanzare un paio di considerazioni.
La prima: spesso le allucinate fantasie di Igor Hofbauer sono visioni distopiche più che narrazioni puntuali, e hanno dunque più il carattere del monito che quello della descrizione. Con tutto ciò che questo significa e che comporta, per quanto l’artista, in una recente intervista, abbia dichiarato di non voler attribuire ai suoi fumetti una particolare valenza sociale. La seconda: se occorre ravvisare una seppur minima apertura al cambiamento, la si può incontrare soprattutto nei manifesti e nelle locandine. È lì che s’annidano tanto l’ostinazione d’un artista che, praticamente dal nulla, è riuscito a creare una parte significativa dell’identità culturale d’una città, quanto una certa volontà, più o meno consapevole, d’opporre un tentativo di reazione che scorre inevitabilmente attraverso l’arte e la musica e che può fornire all’osservatore più d’uno spunto di riflessione. È poi necessario evidenziare che l’arte di Igor Hofbauer sembra caratterizzata da un’apertura, anche nei confronti del passato, che si sostanzia, citando nuovamente il saggio della curatrice Alessandra Ioalè, nel guardare alla tradizione e nel “coglierne gli ingredienti” in modo da “poter rielaborare e sviluppare per renderla ancora attuale nella trasmissione di nuovi messaggi a una comunità in continuo cambiamento”. L’arte di Hofbauer si fa portatrice di “stati d’animo e costumi, angosce e desideri, anomalie ed eccessi” d’una comunità precisa (la sua: ma potrebbe essere anche la nostra): al fruitore il compito di riempire gli spazî che Hofbauer crea tra le pieghe della propria produzione.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).