Nella Ferrara a cavallo tra Ottocento e Novecento disegnava e dipingeva Giuseppe Mentessi (Ferrara, 1857 – Milano, 1931), artista definito da Vittorio Pica “di sentimento”, perché “ha fatto di quasi ciascuna delle sue opere un inno all’amore, al dolore, alla pietà”. Al primo sguardo le grandi tele, nonché gli studi preparatori alle sue opere, trasudano sentimento, esprimono una storia carica di sensazioni che lo spettatore accoglie dentro se stesso, nel suo animo, per condurlo nella maggior parte dei casi alla vera e intima commozione. È tale infatti lo stato emotivo che lo accompagna nel corso della visita alla mostra dedicata all’artista ferrarese, intitolata Giuseppe Mentessi. Artista di sentimento, e allestita proprio nella sua città di origine, all’interno della Pinacoteca Nazionale di Ferrara, fino al 10 giugno 2018: tre sale completamente rinnovate che ospitano temporaneamente quasi un centinaio di opere di Giuseppe Mentessi, tra bozzetti, studi e dipinti di varie dimensioni, da grandi tele a disegni su foglietti piccoli come post-it. Un’esposizione di dimensioni ridotte, di sole tre sale, ma molto intensa che, come precedentemente detto, trasmette al visitatore un turbinio di emozioni, di sentimenti che non scompariranno così facilmente una volta varcata la porta d’uscita di Palazzo dei Diamanti.
Peraltro, in concomitanza con Giuseppe Mentessi. Artista di sentimento, e quindi fino al 10 giugno, il visitatore potrà (e chi scrive lo consiglia) scendere al piano terra di Palazzo dei Diamanti e approfondire il tema dei sentimenti con la mostra Stati d’animo. Arte e psiche tra Previati e Boccioni, un intenso viaggio attorno alla poetica degli stati d’animo nella pittura italiana tra fine Ottocento e inizi Novecento. Si può dire perciò che gli anni di riferimento sono gli stessi per entrambe le esposizioni: in particolare, la prima si concentra nel periodo tra 1890 e 1909, gli anni centrali e più significativi della produzione artistica di Mentessi. Quest’ultimo non era stato definito “artista di sentimento” solo da Vittorio Pica, bensì anche dal critico Vittore Grubicy e dalla scrittrice Neera: Grubicy dichiarava che Mentessi era tra i migliori rappresentanti della tendenza che mirava all’ “espressione dei sentimenti che commuovono l’animo”, mentre la scrittrice lo definiva “il grande sentimentale, il sentimentale per eccellenza”.
Grubicy aveva fornito inoltre l’interpretazione critica più seguita e duratura in merito alla Prima Triennale di Brera del 1891, in occasione della quale Mentessi aveva presentato al pubblico la sua opera dal titolo Ora Triste. Già prima dell’inaugurazione, la Triennale era stata oggetto di una stroncatura da parte del critico d’arte Bocciarelli, poiché egli affermava che l’arte italiana di quel tempo non era in grado di “farsi specchio fedele dei propri tempi” e che l’artista non aveva “piantato il suo cavalletto in quelle officine fosche dove il nostro operaio suda un magro pane fra il ronzio delle pulegge ed il frullio delle cinghie che ad ogni passo insidiano la sua vita”. Quelli erano infatti tempi in cui le condizioni di vita e di lavoro degli operai erano alquanto complicate e faticose, costellate di continue sofferenze quotidiane; la questione sociale era “il grande incubo, la terribile preoccupazione che ogni dì più s’impone al mondo civile in questo scorcio di secolo”, come affermava Grubicy.
Bocciarelli lamentava la totale indifferenza alla questione sociale da parte dell’arte e degli artisti. Al contrario, Grubicy aveva individuato nel suo saggio pubblicato sul “Pensiero Italiano” tre caratteristiche della Prima Triennale di Brera che esprimevano un orientamento favorevole nei suoi confronti: la presenza di una pittura ideista che si contrapponeva alla tendenza simbolista in auge, ovvero le idee venivano espresse con un linguaggio formale più vicino all’astrazione piuttosto che rimanere ancorate alla rappresentazione oggettiva della realtà; la diffusa tendenza a privilegiare “l’espressione dei sentimenti che commuovono l’animo”; l’inclinazione a “esprimere colla maggior possibile efficacia certe emozioni, la cui bellezza risiede in modo precipuo nell’intensità degli effetti prodotti dalla luce, sia circoscritta che diffusa”.
Una sala della mostra Giuseppe Mentessi. Artista di sentimento |
Una sala della mostra Giuseppe Mentessi. Artista di sentimento |
Una sala della mostra Giuseppe Mentessi. Artista di sentimento |
Dipinto più esemplificativo della pittura di sentimento era l’Ora Triste di Mentessi, dove “l’animo gentile dell’artista, profondamente tôcco da tenerissima ed affettuosa commozione, traspare nudo, palpitante, quasi velato da pietose lagrime, attraverso l’opera sua”. E Grubicy aggiunge: “Quel convoglio funebre nell’ora crepuscolare, quel delizioso gruppo dominato dalla fanciulla di cui si sentono gli strazianti singhiozzi, quel velo malinconico, che avvolge in soave evanescenza liliacea la grandiosa scena della natura, che colle sue amorose e carezzevoli tinte sembra voglia lenire il dolore umano... è un poema gentile, un’elegia mesta e soave, che ci mette all’unisono coll’animo buono dell’artista e che ci rende buoni a nostra volta”. Il visitatore della mostra ferrarese non avrà possibilità di ammirare l’Ora Triste originale, poiché in restauro, ma potrà ammirare il bozzetto dell’opera e due studi preparatori, provenienti dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara. Il bozzetto raffigura un funerale di persone di condizioni umili: in primo piano sono rappresentate due donne, di cui una si copre con le mani il volto in segno di disperazione, e l’altra accanto la guarda e le cinge le spalle per confortarla. In posizione più distanziata da queste ultime, si nota un corteo di figure femminili col capo coperto. La scena è dominata da colori terrosi, ma la luce del crepuscolo illumina la scultura del Cristo portacroce. Gli studi preparatori in mostra sono due disegni a carboncino su carta e a sanguigna su carta, raffiguranti nel primo caso le due figure principali femminili, sulle quali si concentra l’aspetto commovente dell’opera, e nel secondo caso la donna con il velo sul capo che si pone accanto alla donna con le mani al viso.
Paragonabili a questi ultimi studi preparatori sono i disegni preparatori e incisioni, esposti in mostra, di un’altra opera di Mentessi, Lagrime, del 1894, presentata all’edizione successiva della Triennale di Brera: qui due donne piangono a terra sulla scalinata di una chiesa un uomo ucciso durante una lite. L’Ora Triste era stata apprezzata dalla critica per il soggetto rappresentato, che segnava l’esordio di Mentessi nella pittura di soggetto sociale: un genere che portava il pubblico a commuoversi. Tuttavia la critica aveva avanzato rimostranze in merito all’esecuzione, alla resa formale. Primo tra tutti lo stesso Bocciarelli, che aveva affermato: “Ora Triste è un’evanescenza lilla che avvolge cielo e terra in un velo malinconico. Il pubblico, che ha un cuore tenerissimo, sente la scena ma non ammette il colore, ragione per cui il quadro non è entrato completamente nelle sue buone grazie – e – per dire il vero, ritengo anch’io che qui l’arte abbia alquanto ecceduto, diventando in certa guisa artificio”. Più duro era stato il giudizio del pittore Francesco Vismara, il quale affermava che l’opera “manca di solidità, e una diffusione luminosa eccessiva fa sembrare tutto su di un solo piano [...]L’esecuzione del quadro, la pittura, manca d’intensità in modo tale che tutto il sentimento sparisce. È un’anima senza corpo”.
Giuseppe Mentessi, Bozzetto per Ora triste (1890 circa; olio su tavola, 49 x 75 cm; Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) |
Giuseppe Mentessi, Donna con velo sul capo, Studio per Ora triste (sanguigna su carta incollata a cartone, 500 x 360 mm; Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) |
Giuseppe Mentessi, Due donne piangenti su di un uomo riverso – Studio per Lacrime (1894 circa; sanguigna su carta, 386 x 457 mm; Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) |
A commuovere il visitatore durante il percorso espositivo è un’altra straordinaria e toccante opera, di cui in mostra è presente anche il grande bozzetto di dimensioni uno a uno: si tratta di Visione triste, realizzata nel 1899. È proprio dall’acquisto da parte di Assicoop Modena&Ferrara del bozzetto preparatorio e di studi di dipinti dalla forte carica emotiva che è nata l’idea di questa mostra che celebra Giuseppe Mentessi. L’opera originale è invece in prestito dalla Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia. Il tema raffigurato è la rappresentazione delle umili condizioni di vita dei contadini: un gruppo di contadini in una brulla campagna è accasciato a terra sotto il peso delle croci; il centro della scena, su cui l’occhio del visitatore si sofferma inevitabilmente, è occupato da una madre che stringe a sé il suo bambino amorevolmente, sollevandolo dal peso della croce.
Il bozzetto preparatorio presenta alcune modifiche rispetto all’opera finale: nel primo, la luce rischiara i capelli biondi della madre e la veste bianca del figlio, mentre nel secondo il chiarore si concentra all’orizzonte, come a significare l’arrivo di nuove speranze di vita, rispetto ai toni predominanti del dipinto, piuttosto scuri. Un’altra differenza riguarda la figura che si vede in primo piano sulla destra, in entrambe i casi a terra: nel bozzetto ha i capelli neri, mentre nell’opera finale non ha capelli e si intravede dietro a essa una donna anziana in evidente stato di disperazione. Inoltre nel dipinto originale conservato a Venezia si vedono sulla destra giovani braccia che liberano l’uomo caduto a terra a causa del peso della croce: un gesto che rimanda alla pietà filiale. Raffigurazioni di contadini sono state scoperte in una serie di disegni facenti parte delle cartelle di lavoro di Mentessi, che evidenziano le varie fasi di realizzazione di Visione triste. Alcuni di questi sono esposti in mostra: in certi è rappresentato un contadino al lavoro nei campi o pensieroso mentre sta appoggiato alla vanga, in altri è raffigurato malnutrito, magro, a torso nudo con lo sguardo rivolto verso il basso mentre osserva la vanga a terra, o in altri casi ancora disteso a terra davanti alla vanga. A questi disegni provenienti dalle sue cartelle erano stati posti titoli come “Al tempo della pellagra” che riconducevano il soggetto alla lotta alla pellagra, morbo che provocava continuamente vittime nelle campagne della Pianura Padana e che era causato dalla denutrizione e dal peggioramento delle condizioni di vita dei braccianti agricoli, “Pel mi signore” che indicavano la totale devozione al proprietario terriero, o i cosiddetti “rassegnati” che sottintendevano la disperazione con conseguente prostrazione a terra.
Per la realizzazione di Visione triste, Mentessi aveva legato la rappresentazione dei contadini all’iconografia religiosa, aggiungendo ai braccianti a terra una croce sulle spalle e inoltre aveva sostituito al centro dell’opera alla figura del contadino portacroce il simbolico gruppo materno, in cui la madre sollevava il bambino dal peso della croce. La vanga, presente sia nei citati disegni delle cartelle sia nel primo piano di Visione triste, era definita dallo stesso artista “arma terribile”, “simbolo di un dolore antico”: Mentessi inoltre non comprendeva “cosa mai cerca quel meraviglioso e terribile istrumento nella terra, cerca del sangue, della vita, della vita che la povera creatura che lavora la terra non ha”. Durante il percorso di visita, è poi possibile ascoltare la lirica che la poetessa Ada Negri aveva composto nel 1900 ispirandosi a Visione triste: nel corso della composizione poetica il visitatore, che ha appena potuto ammirare il bozzetto del dipinto, riconosce le parti di quest’ultimo che hanno ispirato l’autrice. I versi che recitano “per l’erta ove non trema alito o voce / penosamente vanno; e ognun di loro / curva le spalle sotto la sua croce” riconducono alla scena dei contadini a terra caduti sotto il peso della croce; “Ecco, un tremulo vecchio al suol s’accascia, / col viso a terra; e l’ombra de la croce / grava su quell’orrenda ultima ambascia. […] E il braccio che gli si protende / come in soccorso, è di colui che uguale / vita di stento e di rinuncia attende” sono parole che richiamano le giovani braccia che si vedono sulla destra del dipinto; “Ma tu sorridi, o pallido, sereno / volto di madre che per l’aspra via / la creatura tua ti stringi al seno!”: è la scena centrale del gruppo materno.
Giuseppe Mentessi, Visione triste (1899; tempera e pastello su cartoncino intelato, 139 x 238 cm; Venezia, Galleria Internazionale di Ca’ Pesaro 2018) © Archivio Fotografico - Fondazione Musei Civici di Venezia |
Giuseppe Mentessi, Bozzetto per Visione triste (1899 circa; carboncino, pastello e biacca su carta applicata a tela, 136,5 x 229,5 cm; Modena, collezione Assicoop Modena-Ferrara) |
Giuseppe Mentessi, Contadino in ginocchio con croce sulle spalle, Studio per Visione triste (1898-99 circa; carboncino su carta, 336 x 242 mm; Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) |
Giuseppe Mentessi, Contadino seduto a terra davanti a una vanga, Studio per Al tempo della pellagra – Visione triste (1898 circa; carboncino su carta, 240 x 338 mm; Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) |
Visione triste aveva segnato per Mentessi la svolta verso il simbolismo: a muoverlo in tal senso erano state la repressione milanese del maggio 1898 e le conseguenze sociali del primo governo Pelloux, le cui prospettive non erano favorevoli per il movimento operaio, mentre sul piano artistico Mentessi si era avvicinato alle ricerche e tecniche di Gaetano Previati (Ferrara, 1852 – Lavagna, 1920), amico fin dai tempi dei primi studi a Ferrara e successivamente ritrovato all’Accademia di Brera, che si era interessato alla tematica religiosa e che l’aveva portato alla realizzazione tra il 1901 e il 1902 delle stazioni della Via Crucis conservate ai Musei Vaticani e fino al 20 maggio 2018 esposte in mostra al Museo Diocesano di Milano. Mentessi aveva ripreso da Previati la tecnica dei lunghi filamenti di colore, che il primo aveva modificato utilizzando con tecnica mista sia pastello che tempera, caratteristica stilistica divenuta in seguito una sua costante. La critica si era rivelata ancora una volta poco favorevole alla tecnica d’esecuzione del dipinto; tra gli altri, Mario Pilo considerava l’opera “filacciosa e sporca come fosse intessuta di fieno e di paglia, ma pure efficace nella sua tetra metafora, degl’infelici che vanno, ansando, gemendo, cadendo, ciascuno sotto il peso opprimente della sua croce”. Tuttavia, Visione triste veniva esposta all’Esposizione Universale di Parigi del 1900 e si aggiudicava la medaglia d’argento.
Un altro nucleo di opere è incentrato sul dipinto Ramingo (1909), esposto in mostra insieme al bozzetto a tempera su carta e a studi preparatori. Anche in questo caso il bozzetto presenta una modifica rispetto all’opera finale: l’artista ha inserito un gruppo materno che scende dalla scalinata di una chiesa nel punto in cui, nel dipinto originale, è invece raffigurato un viandante stanco con un bastone che sta salendo con fatica la scalinata di una cattedrale. Ciò che rimane inalterato è il suggestivo e toccante Cristo alla colonna, alla destra di entrambe le figure: si sporge così tanto, sia verso il gruppo materno sia verso il viandante, che sembra rivolgersi ad ognuna di esse. Nell’opera finale si nota un vero e proprio dialogo tra il Cristo alla colonna e il povero pellegrino, il primo in atteggiamento di conforto con evidente patetismo nei confronti della figura dell’umile viandante, il secondo che a sua volta si tende stravolto verso l’immagine di Cristo sofferente. Inoltre, la via del pellegrino sulla scalinata appare segnata dalle statue di Cristo e dei martiri posti lungo la stessa, in un gioco compositivo estremamente simbolico: aspetto ulteriormente rafforzato dall’utilizzo della luce, che illumina i martiri e lascia nell’ombra il gruppo del viandante e di Cristo. Gli studi preparatori in mostra analizzano proprio questi due particolari soggetti: il Cristo alla colonna che si tende e si curva sempre di più verso il viandante e il pellegrino con bastone che si appoggia stanco cercando conforto. La grande scalinata della cattedrale sulla quale è ambientato il dipinto è ispirata alla rampa laterale della chiesa di San Martino a Veduggio, che l’artista ha leggermente variato arricchendola di statue barocche. La stessa scalinata si ritrova inoltre in una serie di acqueforti dal titolo Il dramma del giorno della sagra, una tragedia popolare in quattro atti che raffigura nelle diverse scene L’aggressione, Il funerale, Ritorna la quiete, La fiammella amorosa del camposanto.
Giuseppe Mentessi, Ramingo (1909; pastello e tempera; Lugano, MASI - Museo d’arte della Svizzera italiana) |
Giuseppe Mentessi, Cristo alla colonna, Studio per Ramingo (1909 circa; carboncino su carta, 326 x 254 mm; Modena, collezione AssiCoop Ferrara&Modena) |
Giuseppe Mentessi, Pellegrino con bastone, Studio per Ramingo (1909 circa; carboncino su carta, 326 x 254 mm; Modena, collezione AssiCoop Ferrara&Modena) |
Giuseppe Mentessi, Scalinata della chiesa di Veduggio, Studio per Lacrime (1894; inchiostro acquerellato e matita su carta, 143 x 214 mm; Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) |
Giuseppe Mentessi, Il dramma del giorno della sagra, L’aggressione (1894; acquaforte, 275 x 296 mm; Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) |
Con Ramingo il culmine della produzione artistica di Mentessi, concentrato sulla tematica sociale, sembra essersi esaurito, e con esso il fulcro dell’esposizione ferrarese. L’ultima sezione raccoglie disegni provenienti dalle collezioni di Assicoop Modena &Ferrara che mostrano al visitatore studi e abbozzi su pagine di taccuino e fogli di fortuna, alcuni delle dimensioni di un biglietto da visita. Si possono vedere il Ritratto della madre con il tradizionale sistema della quadrettatura, il Busto d’uomo con le mani al volto, l’Abbazia dell’Acquafredda a Lenno, ritratti caricaturali, ritratti di profilo, studi di mani, i bellissimi studi di paesaggio con le vedute di Assisi, del Colosseo, del Pantheon, del lago di Como.
In definitiva, Mentessi è stato un artista che si è reso protagonista della pittura di sentimento, di quella pittura che conduce alla commozione e alla riflessione su temi fondamentali per l’epoca in cui è vissuto e che sono stati ben presentati in questa piccola ma significativa mostra.
Giuseppe Mentessi, L’abbazia dell’Acquafredda a Lenno (matita su carta, 260 x 340 mm; Modena, collezione AssiCoop Ferrara&Modena) |
Giuseppe Mentessi, Ritratto della madre (matita su carta, 208 x 276 mm; Modena, collezione AssiCoop Ferrara&Modena) |
Giuseppe Mentessi, Scorcio della facciata della basilica superiore di Assisi (matita su carta, 174 x 122 mm; Modena, collezione AssiCoop Ferrara&Modena) |
Giuseppe Mentessi, Veduta di paese su un lago (matita su carta, mm. 134 x 104; Modena, collezione AssiCoop Ferrara&Modena) |
Caricature di Giuseppe Mentessi |
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.