Uno dei maggiori artisti del Seicento francese, Georges de La Tour (Vic-sur-Seille, 1593 – Lunéville, 1652), è stato riscoperto ben tre secoli più tardi, quando nel 1915 lo storico dell’arte tedesco Hermann Voss attribuì Il neonato del Musée des Beaux-Arts di Rennes e altre due opere conservate nel museo di Nantes, Il sogno di Giuseppe e La negazione di Pietro, al pittore Georges Dumesnil de La Tour, confrontandoli con ricerche d’archivio compiute nell’Ottocento dallo studioso lorenese Alexandre Joly. Fino a quel momento, i tre capolavori citati erano sì conosciuti, addirittura citati da Mérimée e Stendhal, ma non attribuiti a La Tour, bensì accostati spesso ad artisti olandesi o fiamminghi, come i fratelli Le Nain o Gerard Seghers (Anversa, 1591 – 1651), per via della ricorrente raffigurazione di ambienti illuminati da fonti di luce artificiale, tipica della pittura nordica e del caravaggismo europeo. Un artista lorenese, di periferia rispetto al centrale ambiente parigino, aveva dunque ripreso e interpretato temi all’avanguardia nella pittura europea del Seicento, quali la scena di genere e il lume artificiale, inserendosi così in un circuito tematico comune ad artisti italiani, fiamminghi, olandesi, spagnoli e francesi. È da questa considerazione che la mostra La Tour. L’Europa della luce, allestita a Palazzo Reale di Milano fino al 27 settembre 2020, prende le mosse, riunendo per la prima volta in Italia un significativo nucleo di dipinti di Georges de La Tour, e soprattutto con l’intento di porre all’attenzione il tema della luce artificiale nei notturni e nelle scene di genere nell’arte europea coeva all’artista. Oltre che presentare al pubblico un artista di grande rilievo su cui tuttavia rimangono ancora oggi punti da chiarire riguardo alla sua esistenza e ai suoi legami artistici, primo su tutti il probabile viaggio in Italia e il rapporto con i dipinti di Caravaggio (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610).
Dalla riscoperta novecentesca del pittore lorenese ha preso il via una serie di studi e di ricerche per conoscere sempre più la biografia e la produzione di La Tour, e di mostre, tra cui quella parigina del 1934 dal titolo Les Peintres de la réalité, che segnò la svolta presentando dodici dipinti attribuiti all’artista tra un nucleo di pittori francesi caravaggeschi. Tra gli studiosi che si concentrarono sul suo legame con i contemporanei e con la pittura di Caravaggio si conta Roberto Longhi, che per primo, l’anno successivo all’esposizione parigina, scrisse una lunga riflessione sui caravaggeschi francesi del Seicento, interrogandosi sul tema. E ancora, con la mostra all’Orangerie del 1972 Pierre Rosenberg e Jacques Thuillier portarono avanti ricerche circa la formazione e la realizzazione di alcuni notturni. Le indagini sull’artista sono proseguite negli anni, ma come detto permangono tuttora questioni incerte: è perciò fondamentale in questo senso l’attività di ricerca, e alla base della mostra di Palazzo Reale sono proprio quegli studi che, come affermava Anna Ottani Cavina, dimostrano come “le possibilità di avvicinamento all’artista siano direttamente proporzionali alle conoscenze che noi possediamo del suo mondo e come il compito dello storico sia quello di elaborare una cartografia così dettagliata dell’epoca che consenta di associare dei fatti non più casualmente contemporanei ma in rapporto effettivo di necessità, in quanto trascelti dalla totalità finalmente conosciuta dei fenomeni”.
Questione ancora molto dibattuta è quella del possibile viaggio in Italia, grazie al quale, se così fosse, l’artista avrebbe potuto fare esperienza diretta del caravaggismo. La ricorrenza di soggetti comuni a Caravaggio, quali la Maddalena, i bari, le zingare, fa pensare a una probabile conoscenza delle opere di Caravaggio durante un viaggio in Italia, ma certi studiosi, seguendo il pensiero dello stesso Longhi, credono che La Tour non sia mai stato in Italia e che sia venuto a contatto con il caravaggismo grazie a copie o ad artisti dei paesi nordici che quel viaggio in Italia invece lo intrapresero, come per esempio Gerrit van Honthorst (Utrecht, 1592 – 1656). Quest’ultimo, come ricorda nel catalogo della mostra Gianni Papi, ispirò le sperimentazioni compositive di artisti come Paulus Bor (Amersfoort, 1601 – 1669) o Adam de Coster (Malines, 1586 – Anversa, 1643), spesso avvicinati a La Tour. L’esposizione milanese è costruita per questa ragione su confronti tra le opere del pittore lorenese e quelle di altri artisti che potrebbero aver veicolato in Francia i temi caravaggeschi, non solo nella capitale ma anche nelle periferie. Già all’inizio del Novecento infatti gli studiosi avevano dimostrato legami nell’epoca secentesca tra la pittura italiana e quella nordeuropea e di come il chiaroscuro di Caravaggio sia transitato in particolare ai pittori spagnoli e olandesi: tra questi, Rembrandt (Leida, 1606 – Amsterdam, 1669), Frans Hals (Anversa, 1580 – Haarlem, 1666), Pieter de Hooch (Rotterdam, 1629 – Amsterdam, 1684), Gerrit van Honthorst, Hendrick ter Brugghen (L’Aia, 1588 – Utrecht, 1629), Adam Elsheimer (Francoforte sul Meno, 1578 – Roma, 1610).
Sala della mostra La Tour. L’Europa della luce |
Sala della mostra La Tour. L’Europa della luce |
Sala della mostra La Tour. L’Europa della luce |
Per quanto riguarda il dibattuto viaggio in Italia, ne tratta in maniera approfondita nel suo saggio Gianni Papi: chi sostiene che La Tour non sia mai stato nella penisola si appella al fatto che non esiste né alcuna traccia né alcuna prova del suo soggiorno italiano, avanzando perciò come soluzione l’influenza dei pittori olandesi tornati da Roma nel secondo decennio, soprattutto Ter Brugghen e Honthorst. Al contrario, chi invece sostiene che La Tour sia stato in Italia, come lo stesso Papi, avanza come elemento significativo che tutti gli artisti lorenesi contemporanei all’artista hanno compiuto quell’esperienza: per citarne alcuni, Claude Lorrain (Chamagne, 1600 – Roma, 1682), Jean Le Clerc (Nancy, 1587 – 1633), Jacques Callot (Nancy, 1592 – 1635). A suo parere, quel soggiorno potrebbe essere stato compiuto tra il 1609-10 e il 1616, ovvero nell’intramezzo di tempo tra il La Tour sedicenne e la documentazione che attesta la sua presenza nella città natale. E proprio in quegli anni a Roma avrebbe potuto incontrare Honthorst, ter Brugghen, Ribera. Quest’ultimo realizzò in particolare due serie di Apostoli che nell’ambiente romano di quell’epoca costituivano una novità dal punto di vista iconografico, poiché raffigurati con grande forza espressiva: questi personaggi rivelano forti analogie con gli Apostoli di Albi di La Tour, sia nelle pose tutt’altro che impostate e ufficiali che nella composizione. La serie di Albi è presumibilmente l’unica serie di apostoli realizzata da un artista francese di ambito caravaggesco. L’influenza di Honthorst e di ter Brugghen si percepisce maggiormente nei notturni illuminati da fonti di luce artificiale. Inoltre c’è una forte somiglianza nelle pose tra il San Giovanni Battista del museo di Vic-sur-Seille e il San Giovanni Battista di Spadarino (Roma, 1585 – Roma, 1652), dipinto che non si mosse dall’Italia e che presenta una grande influenza caravaggesca. Altro elemento da tenere in considerazione è la presenza in La Tour di temi molto diffusi a Roma, affrontati per la prima volta da Caravaggio nel periodo della sua iniziale permanenza romana: la Buona Ventura e il baro. Per un più consapevole confronto stilistico e tematico con Caravaggio, artista rilevante per dibattere ancora oggi sulla questione del viaggio in Italia di La Tour, forse non sarebbe guastata la presenza in mostra di qualche opera di Merisi. Tuttavia chi scrive ha trovato l’allestimento espositivo ben ponderato e poco dispersivo, grazie anche alla scelta di non affollare le pareti con troppi dipinti, ma di far respirare le opere lasciandole singolarmente su una parete o al massimo affiancandole da altre due o tre. Lo sguardo del visitatore resta in questo modo più concentrato sulle singole opere, godendo dei particolari dettagli con più tranquillità. L’unica sezione in cui i quadri risultano più ravvicinati rispetto alle altre è quella dei già citati Apostoli di Albi. La Tour portò a termine probabilmente agli inizi della sua produzione artistica una serie completa di apostoli a mezzo busto che dovevano essere collocati intorno all’immagine di Cristo, come solito nell’apostolado tradizionale, tra le prime opere a luce diurna. Dalle ricostruzioni documentarie pare che i dipinti siano giunti nella cattedrale di Albi grazie al canonico Jean-Baptiste Nualart che li avrebbe recuperati a Parigi dal collezionista François de Camps. Il gruppo era costituito da originali e da copie; tra gli originali del pittore sono rinvenuti San Giacomo Minore e San Giuda Taddeo, San Tommaso, Sant’Andrea e San Giacomo Maggiore. Come già affermato, gli apostoli non sono ritratti nel modo canonico: hanno un aspetto umile e severo, con unghie annerite tipiche dei popolani, barbe incolte e volti espressivi.
Georges de La Tour, San Filippo (1625 circa; olio su tela, 63,5 x 53,3 cm; Norfolk, Chrysler Museum of Art) |
Georges de La Tour, San Giacomo minore (1625 circa; olio su tela, 66 x 54 cm; Albi, Musée Toulouse-Lautrec) |
Georges de La Tour, San Giuda Taddeo (1625 circa; olio su tela, 62 x 51 cm; Albi, Musée Toulouse-Lautrec) |
Il percorso espositivo milanese si apre molto suggestivamente con uno dei temi più ricorrenti in La Tour, ovvero la Maddalena seduta in un interno illuminato solo dalla fiamma di una candela. Qui esposta è quella della National Gallery di Washington, ma note sono le altre tre versioni (Metropolitan di New York, Los Angeles County Museum e Louvre). Distaccandosi dalla frequente raffigurazione sensuale della Maddalena, il pittore la rappresenta seduta in un notturno, in un interno illuminato dalla luce di una candela, mentre è assorta nella sua meditazione con una mano appoggiata al mento e l’altra su un teschio, gesto che rimanda al tema della vanitas. Il carattere effimero della vita terrena è accentuato nel dipinto dalla presenza del piccolo specchio verso cui guarda la Maddalena e su cui è riflesso il teschio e dalla fiamma esile della candela. La prima sezione ribadisce poi il tema della vanitas attraverso le opere esposte di Gerrit van Honthorst e di Jacobbe (attivo a Roma nel terzo e quarto decennio del XVII secolo), dove tornano il teschio, lo specchio e l’ambientazione notturna a lume artificiale, ma in entrambi manca quell’aspetto meditativo che in La Tour coinvolge l’osservatore; nel dipinto di Honthorst la figura femminile diviene persino austera. Il lume di candela è protagonista della terza sezione, dove sono esposte opere di artisti considerati fondamentali nella formazione di La Tour. Nella Cena con sponsali di Gerrit van Honthorst, commensali in un ambiente notturno illuminato dalla sola luce della candela parlano serenamente, gli uni rivolti verso gli altri in pose realistiche, mentre riccamente abbigliati bevono e consumano il loro pasto insieme. Riferendosi al titolo dell’opera, la figura femminile a sinistra con una ghirlanda di fiori sul capo è considerata una novella sposa, anche se lo studioso Reznicek, con cui è concorde Gianni Papi, sostiene che si tratti di un’occasione mondana in un’osteria di Roma e che la presunta sposa sia invece una prostituta (la frequentazione di prostitute da parte di Honthorst è documentata). L’opera appartiene alla prima fase del soggiorno in Italia dell’artista, tra il 1613 e il 1614, dunque negli stessi anni in cui si può supporre il viaggio a Roma di La Tour. Vicino allo stile del primo Honthorst in Italia era il Maestro del Lume di Candela, (attivo a Roma nel terzo e del quarto decennio del XVII secolo), artista dall’identità ancora ignota, che era solito rappresentare figure illuminate da candele o lampade a olio che fuoriuscivano da un buio fittissimo, come il San Gerolamo della collezione Barberini e La cattura di Cristo della Galleria Spada, entrambe in mostra.
Una possibile diffusione della cultura postcaravaggesca in Francia era stata avanzata nella produzione artistica di Carlo Saraceni (Venezia, 1585 – 1625), qui presente con la Natività di Salisburgo, dove in un notturno è il Bambino Gesù a emanare luce, rischiarando le figure circostanti; lo stesso principio si ripete nel Gesù dodicenne al tempio di Paulus Bor, artista olandese che rielabora l’uso della luce di ambito saraceniano e che illustra figure piccole, in questo caso il Cristo, in ampi spazi scuri. Anche Bor compì il suo viaggio in Italia e recenti studi hanno rivelato il suo stretto rapporto a Roma, fino al 1621, con Honthorst.
Il gioco chiaroscurale del lume di candela prosegue nella successiva sezione, caratterizzata dalla presenza maggioritaria delle opere di La Tour. Il visitatore ha qui modo di concentrarsi sull’interpretazione dell’artista riguardo la scena di genere. Scene di notturni illuminate dalla sola fiamma di una candela che s’intrecciano a scene di taverna, queste ultime considerate culmine del realismo secentesco e ambientazione ricorrente in Caravaggio. La Tour ambienta nella taverna raffigurazioni profane, come ne Il denaro versato o ne I giocatori di dadi, e scene dei Vangeli, come nel caso de La negazione di Pietro. Ne Il denaro versato si può intendere il vecchio protagonista quale un usuraio o un esattore delle tasse, ma ad ogni modo l’artista è riuscito a creare una scena movimentata, dove ogni personaggio ha il suo ruolo nella narrazione: al centro è il denaro e tutt’intorno le figure maschili agiscono reciprocamente. Sulla sinistra l’uomo che sta discorrendo con quello vestito di rosso ha già pagato il suo conto e sventola in mano la sua ricevuta; tra questi, è seduto un uomo che fissa attentamente le mani dell’anziano e tiene stretto con tutta la sua forza una sacca con monete, mentre le due figure più vicine al vecchio guardano con interesse la conta delle monete da parte di quest’ultimo. Uno di loro poi regge la candela posta sul tavolo, dalla quale si diffonde il chiarore della scena. Ne I giocatori di dadi è invece rappresentata una scena di gioco d’azzardo tra soldati, osservata attentamente da una donna il cui volto spunta nell’angolo a destra del dipinto, significativa è invece la figura sulla sinistra che sta fumando, poiché con la mano destra sta cercando di rubare dalla tasca del soldato che ha davanti dal cappello rosso. L’opera inscena quindi due temi molto cari sia a Caravaggio che ai suoi seguaci, ovvero il baro e il gioco d’azzardo. Inoltre è da notare che qui la candela risulta nascosta dal braccio della figura che sta lanciando i dadi: spunta la cima della fiamma e la sua luce si riflette sulle armature dei soldati.
Ne La negazione di Pietro, La Tour unisce nello stesso dipinto una scena del Vangelo, che si svolge di notte e che pone in atto il tradimento dell’apostolo, con una scena profana di un gioco di dadi tra guardie. Due scene compresenti raffigurate distintamente: sulla destra il gruppo delle guardie, sulla sinistra il gruppo di san Pietro con la serva con la candela, la cui fiamma è nascosta dietro la mano di quest’ultima. La partita a dadi prefigura la spartizione delle vesti di Cristo tra i soldati che lo crocifiggeranno. Il dipinto è uno dei tre firmati e datati dell’artista (insieme a Il denaro versato e a San Pietro e il gallo), che ha permesso di costruire il corpus dell’autore e di considerare questo come l’ultimo suo capolavoro.
Georges de La Tour, Maddalena penitente (1635 - 1640; olio su tela, 113 x 92,7 cm; Washington, National Gallery of Art) |
Gerrit van Honthorst, Vanitas (1618 circa; olio su tela, 104 x 84 cm; Oxford, The Ashmolean Museum) |
Jacobbe (Giacomo Massa), Vanitas (1630-1635 circa; olio su tela, 96 x 135 cm; Roma, Gallerie Nazionali d’Arte Antica) |
Gerrit van Honthorst, Cena con sponsali (1613-1614; olio su tela, 138 x 203 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi) |
Maestro del lume di candela, San Girolamo (1630-1635; olio su tela, 105 x 138 cm; Roma, Gallerie Nazionali d’Arte Antica) |
Maestro del lume di candela, La cattura di Cristo (1620 circa; olio su tela, 108,5 x 147 cm; Roma, Galleria Spada) |
Paulus Bor, Gesù dodicenne al Tempio (1630-1635; olio su tela, 115,2 x 97,3 cm; Utrecht, Centraal Museum) |
Georges de La Tour, Il denaro versato (1625-1627 circa; olio su tela, 99 x 152 cm; Leopoli, Lviv National Art Gallery) |
Georges de La Tour, I giocatori di dadi (1650 - 1651; olio su tela, 92,5 x 130,5 cm; Stockton-on-Tees, Preston Park Museum and Grounds) |
Georges de La Tour, La negazione di Pietro (1620-1630; olio su tela, 109 x 141,5 cm; Dutch Old Master Paintings) |
Un caso a parte è rappresentato in mostra da La rissa tra musici mendicanti, che è un notturno, ma affronta il tema della rissa tra personaggi umili: si colgono allo stesso tempo tratti drammatici e comici. Una rissa presumibilmente scattata dal desiderio comune, da parte dei due protagonisti al centro, di posizionarsi in un angolo di strada più fruttuoso: quello a destra con una bombarda e una cennamella, quello a sinistra con una ghironda; mentre quest’ultimo impugna minacciosamente un coltello, l’altro cerca di difendersi con la bombarda e spruzzando negli occhi del rivale un limone. Sulla sinistra un’anziana, probabilmente la donna del suonatore di ghironda, guarda fisso lo spettatore spaventata con la bocca spalancata e le mani giunte, mentre sulla destra un suonatore di violino rivolge un ammiccamento all’osservatore, quasi divertito.
La rappresentazione di mendicanti e suonatori di ghironda era familiare nella Lorena e anche La Tour li ha raffigurati nella sua pittura al naturale. In particolare sono presenti in esposizione le due figure di anziani, un uomo con bastone e una donna, che sembrano contadini ma in realtà sono abbigliati con le tipiche vesti della borghesia cittadina, e il monumentale Suonatore di ghironda con cane. Quest’ultimo è infatti il più grande dipinto di La Tour che ci è pervenuto e appartiene al primo periodo dell’artista, caratterizzato dal realismo caravaggesco.
Dipingere la notte è il titolo scelto per racchiudere le opere della sesta sezione della mostra e in effetti viene qui ribadito, attraverso alcuni dipinti significativi, il tema del lume artificiale nella produzione di La Tour, in interni domestici di notte. Ne Il Giobbe deriso dalla moglie, lo spazio appare troppo piccolo per contenere la figura monumentale della donna che incita Giobbe a ribellarsi al suo destino e a Dio: l’ambiente costrittivo sottolinea ancora di più la drammaticità della scena e in tutto ciò la candela, creando un effetto di controluce e di riflesso, amplifica il gesto della donna e la sofferenza raffigurata nella scena. In maniera opposta, la quiete domestica è proposta nell’Educazione della Vergine della Frick Collection, dove la fiamma della candela tra le mani della bambina rischiara fortemente il volto di quest’ultima, il libro oggetto della lettura della stessa e, in maniera più attenuata, la donna di fronte a lei. L’osservatore prova davanti a quest’opera una sensazione di religioso silenzio. Altro aspetto della produzione dell’artista legato a una scena di genere e alla presenza di una fonte di luce artificiale in un notturno è la raffigurazione di giovani e fanciulle intenti ad accendere fuochi, lampade o pipe: è qui esposto il Giovane che soffia su un tizzone che evidenzia il contrasto tra la fonte di luce che illumina parte del volto di chi soffia e il fitto buio circostante che non permette di distinguere alcunché dell’ambiente.
Georges de La Tour, La rissa tra musici mendicanti (1625 - 1630 circa; olio su tela, 85,7 x 141 cm; Los Angeles, The J. Paul Getty Museum) |
Georges de La Tour, Il suonatore di ghironda con cane (1622 – 1625; olio su tela, 186 x 120 cm; Bergues, Musée du Mont-de-Piété) |
Georges de La Tour, Giobbe deriso dalla moglie (1650 circa; olio su tela, 145 x 97 cm; Epinal, Musée départemental d’Art ancien et contemporain) |
Georges de La Tour (e bottega?), L’educazione della Vergine (1650 circa; olio su tela, 83,8 x 100,3 cm; New York, The Frick Collection) |
Georges de La Tour, Giovane che soffia su un tizzone (1640 circa; olio su tela, 61 x 51 cm; Digione, Musée des Beaux-Arts) |
Georges de La Tour (copia da?), San Sebastiano curato da Irene (1640-1650 circa; olio su tela, 105 x 139 cm; Orléans, Musée des Beaux-Arts) |
Georges de La Tour, San Giovanni Battista nel deserto (1649 circa; olio su tela, 81 x 101 cm; Vic-sur-Seille, Musée départemental Georges de La Tour) |
Le ultime due sezioni si concentrano ciascuna su un solo dipinto, ovvero sul San Sebastiano curato da Irene e sul San Giovanni Battista nel deserto. Il primo si riferisce a un episodio avvenuto nel corso della carriera dell’artista: La Tour regalò a re Luigi XIII un quadro raffigurante un “san Sebastiano di notte”, che fu molto apprezzato dal sovrano tanto da eliminare tutti i quadri appesi nella sua camera da letto per esporlo da solo. Di quest’opera sono note almeno dieci versioni (quella in mostra proviene da Orléans), quindi si è giunti a supporre che le copie si riferissero al dipinto entrato nelle collezioni reali francesi intorno al 1639, quando La Tour ottenne il titolo a Parigi di pittore ordinario del re. In questa versione, Irene trova il corpo di san Sebastiano e lo cura con affetto, concentrazione e devozione. La luce della candela illumina delicatamente il corpo del santo dando alla scena anche un tono di sensualità.
Infine il San Giovanni Battista nel deserto, capolavoro della produzione tarda dell’artista, esplicita la semplificazione formale della composizione eliminando ogni altro elemento. La figura del santo è ritratta con essenzialità mentre sta nutrendo con fili d’erba un piccolo agnello. Con la schiena ricurva illuminata da una fonte di luce artificiale, non visibile sulla scena, e la lunga chioma liscia, il giovane rivolge lo sguardo meditabondo all’animale e con la mano sinistra regge un’alta e sottile croce di legno. Il percorso espositivo si conclude dunque con uno degli ultimi dipinti del pittore, realizzato intorno al 1649, ed è singolare perché a differenza dei suoi tipici notturni ha scelto qui di non rappresentare la fonte di luce, finora sempre presente nelle opere esposte. L’essenzialità ha eliminato uno degli elementi ricorrenti nelle sue ambientazioni notturne, né una candela né una lampada.
In una sorta di parallelismo, la mostra si era aperta con una figura solitaria in meditazione, la Maddalena, e ora si chiude con un’altra figura in meditazione, sola con l’unica compagnia di un agnellino.
Il catalogo che accompagna l’esposizione si avvale di diversi contributi di esperti: Francesca Cappelletti riflette su La Tour e il suo tempo, Pierre Rosenberg traccia la storia della riscoperta novecentesca del pittore, Jean-Pierre Cuzin si sofferma su La Tour come pittore europeo, Gail Feigenbaum illustra lo stile dell’artista, in particolare il chiaroscuro. Dimitri Salmon riflette sulla questione delle copie antiche, Gianni Papi affronta il tema del rapporto tra La Tour e l’Italia e del possibile viaggio nella penisola, Rossella Vodret con Giorgio Leone e Carlo Giantomassi con Donatella Zari trattano delle opere in Santa Maria in Aquiro, Matteo Mancinelli affronta il tema del misticismo e infine Manfredi Merluzzi narra qual era la percezione dell’Europa tra fine Cinquecento e prima metà del Seicento. Contributi significativi per l’avanzamento degli studi su La Tour e sulle questioni ancora dibattute. Inoltre, al fine di una conoscenza complessiva dell’intero corpus di La Tour, sono state inserite nel catalogo le immagini delle opere non esposte in mostra ma che sono legate a temi e soggetti rappresentati, come altri suonatori di ghironda, apostoli, altre raffigurazioni di san Gerolamo o di san Giuseppe, la Buona ventura, bari, varie versioni della Maddalena penitente e di san Sebastiano curato da Irene.
Per la prima volta sono state riunite in Italia molte opere di uno dei maggiori artisti francesi del Seicento che, come si è visto, è considerato tra i principali caravaggeschi di Francia; e senz’altro questa mostra costituisce un significativo tassello per giungere a una maggiore conoscenza del pittore basandosi su attenti studi e ricerche in continuo sviluppo.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.