di
Federico Giannini
(Instagram: @federicogiannini1), scritto il 09/05/2018
Categorie: Recensioni mostre / Argomenti: Ottocento - Novecento - Simbolismo - Divisionismo - Ferrara - Milano
La pittura religiosa di Gaetano Previati fu straordinariamente moderna e innovativa: con la Via al Calvario e con la Via Crucis rivoluzionò i tradizionali temi iconografici e trasmise tutto il proprio sentimento umano.
Quando Gabriele D’Annunzio entrò in contatto col gallerista Alberto Grubicy, nel 1919, il poeta fu dapprima coinvolto in un’impresa editoriale che avrebbe dovuto produrre un libro su Gaetano Previati (Ferrara, 1852 - Lavagna, 1920), e quindi ricevette la proposta di far da mediatore nell’ambito d’una vendita di sei tele del grande pittore ferrarese: il vate già conosceva il valore di Previati, ma fu in occasione di quegli scambi ch’ebbe modo di definirlo “il grande artista della Via Crucis”. La Via Crucis cui si riferiva era senz’altro quella ch’è oggi conservata presso i Musei Vaticani, ma che non è visibile al pubblico: sono occorsi quasi cinquant’anni per trarla fuori dagli appartamenti papali ov’è custodita e destinarla temporaneamente alla pubblica fruizione in occasione della mostra Gaetano Previati. La Passione, al Museo Diocesano di Milano fino al 20 maggio 2018. La rassegna milanese, curata da Nadia Righi e Micol Forti, ha avuto origine da un’acquisizione: una meravigliosa Via al Calvario giunta al museo tramite legato testamentario, e per l’occasione inserita in un percorso espositivo che l’ha vista protagonista assieme al dipinto di omologo soggetto della Cassa di Risparmio di Tortona, alla completa Via Crucis vaticana e alle fotografie con ritocchi in punta d’argento eseguiti dallo stesso Previati, in arrivo dalla parrocchiale dei Santi Quirico e Paolo di Dogliani, nelle Langhe.
Una mostra, quella del Museo Diocesano, interessante per almeno due motivi. Il primo: ha consentito d’esporre al pubblico un’opera che non era mai stata vista prima, se non dai suoi possessori e dagli studiosi, e ha riportato alla luce del pubblico godimento un ciclo prezioso per addentrarsi negl’intendimenti del pittore. Il secondo: la rassegna ha permesso d’apportare nuovi contributi all’ancora aperta discussione su un tema a lungo dibattuto dagli storici dell’arte, quello del sentimento religioso di Gaetano Previati, pittore che recuperò molti dei temi tradizionali della pittura cristiana per declinarli secondo la propria sensibilità. Per inquadrare questo sentire del pittore ferrarese, occorre partire da un articolo di Enrico Corradini del 1906, in cui si leggeva che Previati “ha riportata l’arte religiosa, cristiana e celeste, dentro la sede da cui ha origine ogni sentimento religioso, dentro le profondità originarie dell’anima umana. In questo senso, e per questa ragione, giusta, profonda, è un pittore dentro l’anima”. Previati, spiegava Corradini, era un pittore religioso non perché dipingeva Cristi e Madonne, in un’epoca in cui la pittura sacra aveva da tempo ceduto il campo ad altri generi: l’animo religioso è un qualcosa che va oltre il credere in una religione, in quanto “concezione della vita” più che disposizione verso una fede, laddove per “concezione religiosa della vita” Corradini intendeva “avere della vita il sentimento più profondo, ingenuo e primitivo”, “vedere la vita tra il mistero e il dolore, o tra il mistero e l’amore, o tra il mistero e il terrore”. È questo l’impulso che anima un capolavoro come la Maternità del 1891, ch’ebbe una pessima accoglienza quando fu esposta alla Triennale di Brera di quell’anno: disprezzata da pubblico e critica, fu difesa soltanto da pochi che ne avevano capito la portata innovativa. Tra questi si contava Vittore Grubicy, fratello di Alberto, che lodò l’originalità dell’opera di Previati, sostenuta dal suo carattere totalmente “arbitrario rispetto alla realtà, o a quanto i nostri occhi sono abituati a considerare come tale”. Previati, infatti, aveva voluto affrontare uno dei temi classici della pittura sacra senza condizionamenti esterni, senza guardare alla tradizione, senza cedere ad alcuna concessione o al gusto del tempo, senza farsi guidare d’alcun sentimento che non fosse il suo, come l’artista stesso dichiarò in una lettera al fratello Giuseppe. Ne risultò un dipinto in cui la sua sensibilità aveva reso “tutta l’intensità dell’amore materno” (per utilizzare le parole dell’artista stesso) in una visione trasognata, in un’apparizione che proiettava sulla tela l’idea di maternità che Previati viveva nel proprio animo: un’idea universale.
In sostanza, per Previati la verità religiosa non è verità fideistica: è verità spirituale. Una verità spirituale che, notava la studiosa Maria Grazia Schinetti in un saggio pubblicato nel catalogo della grande mostra che tra il 1999 e il 2000 Palazzo Reale a Milano dedicò al pittore ferrarese, si fa espressione del sentimento umano. Ed è per questa ragione che i suoi soggetti religiosi si sfaldano in scene che sembrano prodotte da un sogno, che cominciano a perdere gli agganci con la realtà: perché scaturiscono da una riflessione interiore, profonda, che si colloca fuori dal tempo e dallo spazio, e che il pittore cerca di rendere con gli strumenti che ha a disposizione. Questa riflessione, occorre sottolineare, non nega la tradizione, ma si pone in un’ottica di dialogo e, ha scritto lo storico dell’arte Francesco Tedeschi nel catalogo della mostra del Museo Diocesano, si concentra “su dettagli che sono di natura profondamente umana”, col risultato che le “esigenze di una necessità interiore” che animò l’artista possono forse, esse soltanto, bastare per “giustificare la qualifica di ’arte sacra’”. E se con la Maternità del 1891 Previati aveva sondato il mistero della vita, coi dipinti della Passione aveva invece palesato l’intenzione d’esplorare il mistero della morte, per mezzo d’opere altrettanto intense.
|
Una sala della mostra Gaetano Previati. La Passione
|
|
Una sala della mostra Gaetano Previati. La Passione
|
|
Confronto tra le due versioni della Via al Calvario di Gaetano Previati
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, XII stazione, Gesù crocifisso (1906-1910 circa; fotografia ritoccata a punta d’argento, 31 x 28 cm; DOgliani, Santi Quirico e Paolo)
|
In particolare, con le due tele dedicate alla Via al Calvario, Previati intende affrontare il tema della sofferenza della Vergine focalizzando l’attenzione su di un brano del corteo che segue Gesù nella sua tormentata via verso la crocifissione: il pittore “si concentra sul dolore della Vergine, che appare al centro di un corteo all’apparenza tutto femminile, di cui non si scorge né l’inizio né la fine, che lentamente e faticosamente sale dalla città di Gerusalemme verso il Golgota” (così sintetizza Nadia Righi). Non vediamo Cristo che porta la croce, non vediamo i suoi aguzzini, non vediamo scene di dolore fisico. La crocifissione, in questo caso, è per noi un’immagine mentale, e per i protagonisti del dipinto un orrido spettacolo che sferza il loro animo. La Vergine è una madre devastata dalla vista delle atrocità che il figlio sta subendo, tanto che per proseguire necessita dell’aiuto di due donne che la sorreggano e la aiutino. Gli alberi, spogli, con la loro presenza a mo’ di quinta, sulla sinistra, si fanno allegoria della morte di Gesù sulla croce. Nella versione ch’è giunta al Museo Diocesano, i colori terrosi e scuri che l’artista ha scelto per dar forma alla composizione, l’aria pesante che par quasi di respirare, le tonalità calde del cielo che s’accordano alla gamma cromatica dei personaggi in ombra e a quelle del colle contribuiscono a rendere molto più opprimente l’atmosfera e a suscitare una sensazione di mestizia ancor più vivida.
Differente è invece l’approccio che Previati adottò per la Via al Calvario oggi a Tortona, ch’è di circa dieci anni successiva rispetto alla tela milanese. Quest’ultima è probabilmente da identificare, secondo gli studî che hanno accompagnato l’esposizione, con l’opera citata in un numero della rivista Emporium del 1904, in un articolo scritto da Vittorio Pica a proposito d’una collettiva tenutasi presso la Galleria Grubicy, nell’ambito della quale erano state presentate alcune opere mai esposte prima, tra le quali una “Via del Calvario” che si pensa possa essere l’opera poi passata nella collezione di Carlo Dell’Acqua: questi, stando alle informazioni fornite dalla nipote Nella Bolchini Bompiani, che prima di scomparire nel 2016 volle far sì che la tela fosse destinata al Museo Diocesano di Milano, acquistò la Via al Calvario direttamente da Gaetano Previati. Sappiamo però che il pittore già nel 1901 aveva cominciato a cimentarsi con opere sull’andata al Calvario, e sullo stesso tema avrebbe poi prodotto il dipinto oggi a Tortona, di circa dieci anni più tardo, e che si distingue dalla variante precedente (che a sua volta era rielaborazione, di più ampio respiro, d’una prima versione del 1901, oggi in collezione privata) esclusivamente per la maggior sintesi formale e per le variazioni cromatiche: le tonalità si fanno più fredde, il cielo diventa azzurro, l’atmosfera più tersa, il tutto in accordo con quel percorso d’avvicinamento a una pittura sempre più astratta che l’artista di Ferrara aveva intrapreso fin dal momento in cui aveva cominciato a riflettere sulla sua Maternità, e che portò a rendere anche la Via al Calvario un’ulteriore “immagine privata di legami con la realtà” perché nata dal profondo dell’animo, come ha rilevato Maria Grazia Schinetti nel suo contributo sull’opera in occasione dell’esposizione.
|
Gaetano Previati, Via al Calvario (1901-1904; olio su tela, 80 x 150 cm; Milano, Museo Diocesano “Carlo Maria Martini”)
|
|
Gaetano Previati, Via al Calvario (1912; olio su tela, 80 x 150,5 cm; Tortona, Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona)
|
|
Gaetano Previati, Via al Calvario del Museo Diocesano di Milano, dettaglio della Vergine
|
E questo vale anche (e forse soprattutto) per la Via Crucis dei Musei Vaticani, che il pubblico non vede dal 1969, anno dell’ultima esposizione, poco prima che l’opera entrasse nella sua attuale sede: occorre pensare che Previati non dipinse il ciclo per un committente, oppure per piazzarlo sul mercato, anche perché all’epoca sarebbe stato difficilissimo, se non quasi impossibile, vendere un ciclo completo della Via Crucis, oltretutto di quelle dimensioni. Il pittore dipinse il ciclo per se stesso, perché avvertiva l’esigenza di meditare sul supplizio di Gesù Cristo, in una maniera radicalmente diversa e rinnovata rispetto al modo in cui aveva affrontato lo stesso tema una ventina d’anni prima, quando tra il 1882 e il 1888 un Previati allora poco più che trentenne aveva realizzato un ciclo della Via Crucis per il cimitero del comune di Castano Primo, a poca distanza da Milano: in quell’occasione, l’artista dipinse quattordici affreschi fortemente ancorati alla tradizione (in occasione della loro esposizione nel 2001, sempre al Museo Diocesano di Milano, dopo che furono strappati dal cimitero per ragioni conservative, si sottolineava la dipendenza dell’opera tanto dai grandi maestri del passato, dal Tintoretto a Tiepolo, quanto dalle Passioni di Cristo dei sacri monti del territorio lombardo), ma indipendenti rispetto ai modelli più antichi per via dell’impostazione monumentale delle figure che assurgono a protagoniste esclusive delle opere, dacché sono assenti quasi tutti i riferimenti spaziali e temporali. Con le quattordici tele oggi ai Musei Vaticani, realizzate tra il 1901 e il 1902, anch’esse monumentali, Previati portò ulteriori innovazioni avviando una completa rivisitazione del modo di risolvere il tema iconografico della via Crucis, coerentemente con i suoi contributi apportati al rinnovamento della pittura sacra e con le ricerche che lo avevano condotto allo sviluppo della sua poetica divisionista.
Sono tele da un metro e mezzo per un metro e venti ciascuna, da esporre tutte l’una a fianco dell’altra, probabilmente così come aveva immaginato Previati: ed è in questo esatto modo che sono state collocate nella mostra del Museo Diocesano. Non abbiamo informazioni su come fossero state disposte in occasione della prima esposizione pubblica, ovvero durante la Quadriennale di Torino del 1902, ma possiamo immaginare che fossero state sistemate in un’unica sala, senza soluzione di continuità, come avvenne alla mostra personale del gennaio e febbraio 1910, quando al Palazzo della Permanente di Milano le quattordici tele furono mostrate al pubblico di nuovo affiancate, su tre pareti contigue (è stato così anche per la mostra del 2018: le dieci stazioni centrali sulla parete lunga, mentre le prime due e le ultime due sulle pareti corte). L’idea era comunque quella di conferire alle quattordici stazioni della via Crucis, come sottolinea Micol Forti, “un ritmo serrato e inesorabile, nel quale luce e ombra, colore e chiaroscuro, saturazione cromatica e pastose tonalità generano un dinamismo narrativo”. Anche per la Via Crucis, com’era stato per la Maternità, Previati era consapevole delle difficoltà che esporre al pubblico un ciclo simile avrebbe comportato: e l’accoglienza, in effetti, fu piuttosto fredda. La mostra del 1910 andò pressoché deserta, stante anche il fatto che la pittura di Previati non incontrava appieno il gusto dei contemporanei (tutt’altro), mentre maggior attenzione fu riservata al pittore in occasione di un’esposizione della Via Crucis al Palazzo della Cancelleria Apostolica in Vaticano, nel 1914, ma le critiche non furono poche. L’artista dovette attendere l’anno successivo (e, giova ribadirlo, si trattava d’un periodo in cui l’avanguardia futurista aveva già da qualche tempo cominciato a furoreggiare), con una mostra al ridotto del Carlo Felice di Genova, per ottenere successo.
Quella che Previati propone al riguardante è una narrazione continua del dolore patito da Gesù durante la sua salita al Calvario. Fu proprio questo il programmatico intento del pittore che, in una lettera scritta anche in quest’occasione a suo fratello, espresse la volontà di concentrarsi sui “più semplici elementi della stazione che deve rappresentare ogni quadro”, come “il volto della Madonna e di Gesù nell’incontro”, pur rendendosi conto che si trattava di un’“impresa sovrumana”. Eppure la difficoltà di costruire un ciclo tanto complesso, che cercasse di narrare non la storia della Passione, ma la storia dei personaggi della Passione, il loro vissuto interiore, non impedì a Previati di prodursi in un’opera di forte impatto, in cui si consuma quella poetica degli stati d’animo oggetto d’indagine dei pittori del tempo e base per le più aggiornate ricerche che i futuristi avrebbero sviluppato di lì a qualche anno, come ha ben rimarcato la mostra di Palazzo dei Diamanti a Ferrara dedicata agli Stati d’animo, peraltro capace di instaurare un proficuo dialogo a distanza con la rassegna milanese.
Tutte le scene si contraddistinguono per il campo ravvicinato, per la gamma cromatica ridotta, per le pennellate sfilacciate tipiche dello stile di Previati dagli anni Novanta dell’Ottocento in poi, per la monumentalità delle figure che, come accadeva negli affreschi di Castano Primo, sovrasta qualsivoglia tentativo di ridurre le stazioni della via Crucis a un’aneddotica che non apparteneva all’arte di Previati e sarebbe stata in disaccordo con le sue intenzioni: particolarmente esemplificativa in tal senso è la scena con Gesù caricato della croce, dove a malapena intravediamo (ma non riusciamo a distinguerli) gli aguzzini che hanno appena oppresso Gesù col gravame che lo accompagnerà per tutta la salita al colle del Calvario. Non c’è concitazione, ogni intento narrativo viene meno: l’attenzione di Previati si concentra sulla figura solitaria di Gesù per comunicare tutto il suo strazio. E questo vale per ogni singola stazione: il dolore è interiore, e non esistono scene cruente (non s’incontra la benché minima goccia di sangue in tutto il ciclo). Le tonalità rossastre poi, col loro richiamo diretto al sangue versato da Cristo, bruciando come fiamme vive altro non fanno che acuire l’immane tragedia che si consuma dinnanzi agli occhi attoniti e ansiosi dell’osservatore. La commozione tocca il suo apice alla quarta stazione, l’Incontro con Maria Vergine: lo sguardo che Gesù e la madre si scambiano rappresenta uno dei momenti più toccanti dell’intero ciclo, mentre la sintesi che tende all’astrazione raggiunge la sua acmé nelle ultime due stazioni, la Deposizione (altro capolavoro che muove a partecipe compassione) e la Sepoltura, con i toni che si fanno più scuri a suggerire una notte che evoca l’idea della morte (ma con, nella scena della Sepoltura, una luce sul fondo che già prefigura la resurrezione). Il sunto delle convinzioni del pittore è però da ritrovarsi nella quinta stazione, quella del Cireneo. Micol Forti ricorda una conversazione che Previati ebbe con Nino Barbantini, suo amico e concittadino, critico e (come si direbbe oggi) curatore, che contribuì al successo di molti artisti, da Felice Casorati a Gino Rossi. I due s’erano soffermati a parlare della spalla di Gesù, e Previati osservò che “è enorme; sfido, la vedo bene anch’io. Ma ho provato a correggerla, a disegnarla correttamente, e Cristo mi diventava un uomo qualunque; invece con quella spalla... ”.
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione I, Gesù coronato di spine (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione II, Gesù caricato della croce (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione III, Gesù cade per la prima volta (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione IV, Gesù incontra Maria Vergine (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione V, Gesù aiutato dal Cireneo (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione VI, La Veronica (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione VII, Gesù cade per la seconda volta (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione VIII, Gesù incontra le pie donne (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione IX, Gesù cade per la terza volta (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione X, Gesù spogliato (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione XI, Gesù viene inchiodato (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione XII, Crocifissione (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione XIII, Deposizione (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
|
Gaetano Previati, Via Crucis, Stazione XIV, Sepoltura (1901-1902; olio su tela, 121 x 107 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea)
|
L’aneddoto è significativo perché ci mette nelle condizioni di comprendere come fosse precisa aspirazione dell’artista quella di creare un qualcosa di fuori dal comune, in grado di rompere con le convenzioni, in grado d’apportare decisi rinnovamenti alla pittura d’ambito sacro, “il cui linguaggio”, ha scritto Fernando Mazzocca, “era diventato estraneo agli orizzonti della modernità e si era isolato in un accademismo senza tempo”. Previati, attraverso le sue opere, riuscì a donare nuova attualità a un genere che aveva da tempo perso la capacità d’essere moderno.
A margine della mostra è pertanto necessario domandarsi se non sia il caso di dare una nuova collocazione al ciclo della Via Crucis, magari con un allestimento simile a quello della rassegna del Museo Diocesano, che col rosso carminio della sala ha esaltato il senso del lavoro di Previati: un’opera di così fondamentale importanza nel percorso artistico di Gaetano Previati, un insieme di tele che, assieme alla Maternità, alla Via al Calvario, alla Madonna dei gigli e ad altre opere a carattere religioso di quel periodo, inaugurò un linguaggio nuovo dell’arte sacra, merita forse una sistemazione che possa consentire al pubblico di non attendere altri cinquant’anni per ammirarlo in tutta la sua forte carica di pathos, in tutto il fascino ch’è capace d’esercitare l’intima riflessione di Previati, in tutta la sua sconvolgente e staordinaria novità.
Se ti è piaciuto questo articolo abbonati a Finestre sull'Arte.
al prezzo di 12,00 euro all'anno avrai accesso illimitato agli articoli pubblicati sul sito di Finestre sull'Arte e ci aiuterai a crescere e
a
mantenere la nostra informazione libera e indipendente.
ABBONATI
A
FINESTRE SULL'ARTE
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).