Felicitazioni! Nostalgia, allerta: i CCCP 40 anni dopo. Com'è la mostra di Reggio Emilia


Recensione della mostra “Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024”, a Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro, promossa da Fondazione Palazzo Magnani e Comune di Reggio Emilia, dal 12 ottobre 2023 al 10 marzo 2024.

L’ultimo spettacolo. L’atto conclusivo. L’estremo saluto. Sul palcoscenico più improbabile. Felicitazioni! A quarant’anni dall’uscita di Ortodossia e a venti dall’ultimo ricongiungimento, i CCCP – Fedeli alla Linea si ritrovano assieme, tra le aule austere dei Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia, scampati alle macerie, sopravvissuti tra le macerie, superstiti d’un’epoca finita, remota, inghiottita dalla storia. La performance finale prima di consegnare alla storia anche i CCCP, in stile CCCP. E quindi con un capitolo, forse davvero quello definitivo (ma sarà davvero così?), di quel teatro espressionista che sfruttava abusivamente la musica (così dice Giovanni Lindo Ferretti) e ch’è stato messo in scena per sette anni, fino al dissolvimento dell’Unione Sovietica, fino alla fine di quel pretesto che aveva fornito ai CCCP la loro raison d’être. La sigla dell’URSS in caratteri cirillici da pronunciarsi come veniva pronunciata nelle case del popolo della bassa reggiana: cicicipì spesso con terza sillaba deglutita. Qualcuno li aveva presi sul serio, ha continuato a prenderli sul serio, tuttora li prende sul serio. Malgrado la serietà della loro musica, malgrado gli enunciati contrarî. Ma è risaputo che affidarsi alle dichiarazioni equivale a costruire mitografie.

Cosa fosse punk rock era abbastanza chiaro, anche se le etichette si confanno più e meglio alle scatolette sugli scaffali dei supermercati. La musica melodica emiliana era la culla, il sostrato, il retroterra. Cosa fosse filosovietico non lo sapevano manco loro, figurarsi gli altri. Eppure l’aggettivo catalizzava l’attenzione: a fornire un preciso ragguaglio giungono in soccorso i quotidiani e le riviste del tempo, esposti in mostra in buona quantità. Qualche riga di quel che si scriveva sul conto dei CCCP tra l’85 e l’87: “Questa della moda della russian way of life proprio non c’era da aspettarsela, dai figli del viziato Occidente consumistico. E poi, via, diciamoci la verità: mantenere corretti rapporti con una superpotenza va bene, ma addirittura far del filosovietismo in tempi come questi, mentre non lo fa più nemmeno il Pci, o non nella misura assoluta di un tempo, e con quel che succede in Afghanistan... ”. “Credono fermamente in quel che dicono, si considerano i ‘nipotini di Togliatti’ ed esaltano l’Emilia perché la reputano la più filosovietica delle regioni italiane”. “Il rock ‘sovietico’ dei CCCP Fedeli alla linea, il gruppo invitato domenica scorsa al centro giovanile Il Casalone per un concerto, ha fatto arrabbiare la Dc. I democristiani hanno infatti presentato un’interpellanza al quartiere San Donato, dove si trova il centro, in cui si chiede di conoscere ‘chi ha autorizzato l’uso della struttura pubblica del Casalone’ per una manifestazione chiaramente di parte”. C’è pure l’incolpevole articolo d’un giornale di provincia che segnala una gara podistica con foto di quattro giovanissimi atleti: un impaginatore distratto aveva scritto, nella didascalia sotto i volti dei corridori adolescenti, “i CCCP fedeli alla linea”, e quello che per chiunque sarebbe stato un trascurabilissimo refuso, per i CCCP diventa un oggetto da conservare per decennî e mostrare al pubblico pagante. Forse è sufficiente questo ritaglio, più dei memorabilia, più delle opere create apposta per i Chiostri di San Pietro (site specific, direbbero i kurators), più delle letture e delle interpretazioni della critica, a fornire l’immagine più immediata di cosa siano stati i CCCP.

A fornire l’immagine di cosa siano oggi, invece, contribuisce soprattutto l’allestimento del chiostro grande, adornato col repertorio pressoché completo dei feticci con cui la band s’è costruita la propria immagine. Al centro un lacerto del muro di Berlino, quello che nel 1999 è stato donato al Comune di Albinea dall’amministrazione del nono municipio di Berlino, Treptow-Köpenick, gemellata con la cittadina adagiata ai piedi dell’Appennino reggiano. Il muro, messo davanti alle scuole elementari di Albinea, per tutta la durata della mostra si trasferisce ai Chiostri di San Pietro. Di fianco, l’immancabile Trabant, che sarebbe stata poi celebrata da Danilo Fatur in uno dei suoi più famigerati e inevitabili pezzi da solista. Attorno i cavalli di Frisia. Prima ancora i Vopos. Un altoparlante che gracchia le note di Spara Jurij, il loro esordio datato 1983, la mitragliata di chitarra di Massimo Zamboni che pareva uscita da un disco dei Damned o dei Dead Boys, un pezzo sarcastico sull’aereo di linea coreano abbattuto pochi mesi prima da un caccia sovietico. Lo scambiarono per una celebrazione dell’invasione sovietica dell’Afghanistan: i CCCP venivano presi fin troppo sul serio. Sotto il loggiato del chiostro piccolo le bandiere dei paesi socialisti che furono. Sotto il loggiato del chiostro grande uno dei versi più celebri ripetuto con ossessiva costanza. È una questione di qualità è una questione di qualità è una questione di qualità è una questione di qualità è una questione di qualità. Si entra nella mostra lasciando l’Occidente. Achtung! Sie verlassen jetzt West-Berlin.

I CCCP. Foto: Michele Lapini
I CCCP. Foto: Michele Lapini
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Michele Lapini
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Michele Lapini
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Finestre sull’Arte
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Finestre sull’Arte

Dentro alle sale dei chiostri s’aggira di tutto. Vecchi comunisti male in arnese che nonostante l’età faticano a rinunciare alle braghe corte e al field cap, e anche se oggi hanno il tono di chi la sa lunga probabilmente non hanno mai smesso di crederci (fanno fede le sequele d’improperî che oggigiorno Ferretti si becca sui social quasi ogni volta che apre bocca). Giovani punk con la reflex al collo e il mazzo di chiavi d’ordinanza che pende dal moschettone attaccato ai pantaloni, girano col naso attaccato a ogni vetrina, ammirano, contemplano, se devono commentare lo fanno sottovoce. Impiegati in jeans e camicia azzurra che hanno appena finito il turno in ufficio nine-to-five e sciamano a riverire il gruppo che ascoltavano da ragazzi. Turisti. Pensionati. Coppie. Signore. Adolescenti. Gran parte del pubblico non ha mai visto un concerto dei CCCP dal vivo, eppure prova per loro una sincera nostalgia. Tutti che sostano davanti alle teche, guardano la paccottiglia sovietica, i vinili d’epoca, i ritagli di giornale, i dattiloscritti annotati a mano, l’abbigliamento workwear delle sottoculture giovanili del tempo, le fotografie, con un’attenzione ch’è insolita da riscontrare in mostre del genere. S’è mai visto qualcuno che in una mostra documentaria si ferma davanti a ogni singolo articolo, a ogni singolo foglio, a ogni singolo taccuino e si legge tutto per intero? Un’inusuale riserva che accoglie numerosi esemplari di questa specie in via d’estinzione. Si può provare nostalgia per qualcosa che non s’è mai vissuto? Un americano che s’è messo in testa di trovare una parola per tutti i malesseri privi di definizione ha coniato un termine per descrivere questa sensazione: “anemoia” (non ha avuto grande successo: “anemoia” è vocabolo oggettivamente rivoltante nonostante i riferimenti romantici al vento, al pensiero e robe così). Ma non è vero che chi non c’era non può capire: ha vissuto i CCCP in modo diverso. Ognuno ha e ha avuto i suoi CCCP, chi non gradisce se ne faccia una ragione. Sono stati un riferimento ineludibile anche per la paideia di chi è cresciuto nell’età della fine delle ideologie. Una presenza solida nella società liquida. Dove la solidità non stava, ovviamente, nel portato politico. A dispetto di tutti gl’inturgidimenti provocati dal riscontro che a Stalingrado non passano. Semmai, s’annidava in mezzo alle trame contorte del progetto artistico.

Arezzo, 22 aprile del 1988, edizione numero due del festival Arezzo Wave, i CCCP sono gli special guest della seconda serata. Una folla di cinquemila fedeli attende da giorni, da settimane, da mesi l’esibizione del suo gruppo preferito. Annarella Giudici e Danilo Fatur recitano alcuni brani di Allerghia, la pièce teatrale scritta l’anno prima appositamente per loro. Ferretti, invece di cantare, inizia a declamare, con voce cantilenante. “Forte è l’interesse che ogni potere nutre nei confronti della musica come legittima azione e continuità o rottura e cambiamento. Ma la musica è intimamente legata alla vita dell’uomo, degli uomini, e mal sopporta le pretese intelligenti. Può legarsi al meglio della condizione umana, ma si adegua benissimo anche al peggio. […] La musica ha tempi, ritmi, possibilità e poteri che sono solo suoi, e che raramente coincidono con quelli di organizzazioni, movimenti che si muovono verso gli stessi fini ma con altri mezzi. È inutile chiedere alla musica di spalleggiare azioni o strumenti proprî della politica, perché o si toglie dignità al linguaggio musicale o si svilisce la razionalità del linguaggio politico. È inutile e un po’ patetico assaporare il piacere della musica convinti di partecipare a una battaglia politica. La musica è una cosa seria, anche la politica deve esserlo”. Finisce a fischi e insulti: gli spettatori delusi non avevano ottenuto quel che s’aspettavano. Avevano ottenuto di meglio: andava in scena quello ch’è stato forse l’unico momento di uscita dalla sospensione dell’incredulità di tutta la storia dei CCCP. Non se n’erano resi conto.

Allerghia giunge verso la fine del percorso della mostra. Prima è tempo di ripasso. Sette sale al pian terreno ripercorrono la storia dei CCCP. Sette come gli anni di vita del gruppo, sette come i dischi pubblicati finché son stati in vita (contando gli EP e l’unica raccolta), sette come i minuti di Emilia paranoica, il brano che più rappresenta il paesaggio dove i CCCP son nati, canzone dal forte impatto visivo, pezzo di vedutismo espressionista che racconta di un’Emilia degli anni Ottanta raggiunta dalle notizie frammentate di guerre lontane, gelida, opprimente, popolata di zombi che nelle notti fredde della pianura si trascinano da un locale all’altro, per le strade dritte buie e deserte, annoiati, gonfi di psicofarmaci, cercando qualcosa senza sapere cosa, aspettando qualcosa che non arriverà. E poi c’è l’altra Emilia, che travolge il pubblico nella seconda sala. L’Emilia del compagno Togliatti. Affinità e divergenze. Alla parete, una citazione dal discorso che Togliatti tenne al Teatro di Reggio Emilia nel settembre del 1946. Tema: il PCI e il ceto medio. Davanti, il tavolo ottagonale che fu nella sede del PCI di Reggio Emilia. Attorno, oggetti e complementi d’arredo che suggeriscono, con un’installazione, l’idea della sede del partito. Poi prosegue il viaggio nella storia dei CCCP. Una scultura di Fatur, saggio di neodadaismo agreste, evoca l’epopea contadina dell’Emilia, presenza viva nei brani della band. C’è il momento kitsch con un monumento brutalista in polistirene, opera di Luca Prandini, che omaggia i quattro superstiti della band: Ferretti Lindo Giovanni il punk, Zamboni Massimo la musica, Giudici Annarella la femminilità, Fatur Danilo il corpo. Montanari, pastori, contadini. L’avanguardia più inusuale. Nella sala Canzoni preghiere danze, in mezzo agli oggetti di scena, tra le sculture vagamente duchampiane di Fatur, uno schermo proietta a ciclo continuo le rèclame che i quattro registrarono per promuovere il terzo album in studio, ognuno recitando una parte. Annarella faceva l’annunciatrice televisiva. Ferretti faceva uno spiritato e nervoso telegiornalista. Zamboni faceva l’imbonitore da televendita. Fatur faceva Fatur. L’album conteneva Madre, una delle canzoni più raffinate e delicate del gruppo: le cronache raccontano che i CCCP, con Madre, riuscirono a guadagnarsi un articolo su Famiglia Cristiana, peraltro benevolo. “CCCP Fedeli a Maria”. È esposto anche lui, pure con una certa enfasi. Avanti, la sala Epica Etica Etnica Pathos è una mostra nella mostra: la serie di fotografie di Luigi Ghirri, scattate per il disco ed esposte su tutti i lati della sala, in gran parte inedite, segna uno dei vertici della rassegna, da sola potrebbe valere una visita. Si finisce con un altro dei momenti apicali della storia dei CCCP, la loro collaborazione con Amanda Lear: la sala Tomorrow propone una sua gigantografia e schermi che proiettano i video di quando s’è trovata a cantare coi CCCP.

Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Michele Lapini
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Michele Lapini
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Michele Lapini
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Finestre sull’Arte
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Finestre sull’Arte

Alla fine della mostra manca ancora una ventina di sale. Si sale al piano superiore e anche le scale diventano un’installazione. Finisce il viaggio attraverso i CCCP, comincia il viaggio nei CCCP. “La dimensione del labirinto”, recita il pannello che introduce il pubblico a quest’ascesa che sembra una discesa, a questo itinerario nelle viscere, nei pensieri, nell’anima dei CCCP tutto reso sotto forma d’installazioni dentro un luogo perfetto per evocare l’immaginario del gruppo. “Una enorme estensione destrutturata che ha i connotati di mille case occupate del nord Europa. I muri sgretolati, i pavimenti non finiti, le finestre provvisorie, nessun conforto se non il ritrovarsi tra le installazioni come fossero indizi per indovinare l’uscita”. Dentro una sala cupa, con una sedia davanti a uno schermo, risuonano le note di Madre. Una sorta d’invocazione prima che cominci il labirinto. Si entra frastornati in uno stanzone buio con proiezioni che sulle pareti creano arazzi di notizie sui CCCP uscite sui giornali dell’epoca, di qualunque segno: negative, positive, che esaltano, che deridono, che disprezzano. Una sala ricrea un teatrino di provincia: va in scena Allerghia, proiettata in loop. Fellegara rievoca la casa di campagna dove i CCCP sono nati. Sul lato corto, una barriera di filo spinato divide il pubblico dagli attrezzi usati per concerti e registrazioni. Chi è stato ai concerti punk lo sa che i punk veri non incitano il pubblico: goditi il concerto e magari già che ci sei evita di rompere troppo i coglioni. Al centro della sala un divano rosso, un tavolino, una poltrona di legno. Sui due lati lunghi diapositive che proiettano immagini storiche e, all’opposto, un video con i quattro componenti dei CCCP ripresi nel 2023 mentre incedono verso di te, si fermano e ti guardano. E tu provi un sincero disagio.

Avanti, una sala cupa con un abito bianco macchiato di rosso (“e l’invito agli spettatori di lacerarlo”) rammenta la strage di Tienanmen, in sottofondo il video d’un cinese temerario che col megafono canta Io sto bene nella sua lingua e nel suo paese. A poca distanza Ahimè il congresso del mondo fa conoscere al pubblico la prima pubblica apparizione dei CCCP quando ancora non si chiamavano CCCP. Un lungo corridoio Socialismo irreale fa il verso ai pomposi apparati scenografici delle parate dei regimi comunisti: dalle casse l’inno sovietico, i proprî passi in mezzo a stendardi con le immagini della dirigenza. Bréžnev Andropov Ceausescu Honecker Husák Tito Deng e altri. Volti rigati da squarci di luce attraverso una “via crucis sulla Unter den Linden”, “un percorso di sottomissioni in mezzo a coloro che cadranno a breve in un solo attimo”. Il corridoio Onde recupera, da un nastro “dato per perso”, il primo concerto reggiano dei CCCP: emerge un inedito, Onde appunto, che scivola giù dagli altoparlanti.

Si finisce dentro la navata di A Carpi al Tuwat, una “maestà punkettona” come la definiscono, al posto dell’altare un enorme telo che proietta tre ore di concerto dei CCCP. I CCCP, del resto, sono una specie di religione, una religione che a Reggio Emilia celebra l’evento atteso da tutte le religioni, ovvero il ritorno sulla terra delle sue divinità, e come ogni religione che si rispetti ha i suoi fedeli, i suoi riti, i suoi officianti, i suoi ufficiali, persino il suo eretico, Umberto Negri, primo bassista della band, che lasciò il gruppo nel 1985 e oggi celebra l’anniversario a modo suo. Una religione che qui ha il suo tempio. La grande navata centrale dei chiostri ha financo le sue cappelle laterali, ognuna con le sue pale d’altare, ognuna con la sua presenza numinosa, col suo santo titolare. Amandoti, il testo della “sedicente cover” su di un tappeto sonoro composto coi frammenti di tutte le tribolazioni vissute da questa specie di figliol prodigo. La Stanza della grafica: falce e martello, l’importante è penetrare. CCCP incontra la storia, gara con la più stretta, tragica e luttuosa attualità. Punk islam, le forme di un dedalo. Lombroso, gli ambienti cupi, freddi e inquietanti del manicomio di San Lazzaro, Curami, psicofarmaci alle pareti. La benedizione finale davanti all’altare prima dell’uscita, Fedeli alla lira, raccolta “di insulti e perplessità” espressi a mezzo stampa e volantini. Qualche titolo: “Il punk filosovietico dei CCCP provoca a Roma una maxirissa”. “Fedeli alla Linea di Sanremo”. “Rock demenziale dei CCCP fedeli a quale linea?”. “Risse russi e rock ‘n roll”. “Sputi e spintoni per i CCCP”. Le invettive e le accuse che diventano un’opera d’arte per ricondurre il pubblico all’uscita con un ultimo manifesto poetico.

Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Finestre sull’Arte
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Finestre sull’Arte
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Michele Lapini
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Finestre sull’Arte
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Michele Lapini
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Finestre sull’Arte
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Finestre sull’Arte
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024
Allestimenti della mostra Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024. Foto: Finestre sull’Arte
I CCCP. Foto: Guido Harari
I CCCP. Foto: Guido Harari
I CCCP. Foto: Guido Harari
I CCCP. Foto: Guido Harari
I CCCP. Foto: Michele Lapini
I CCCP. Foto: Michele Lapini
I CCCP. Foto: Paolo Puccini
I CCCP. Foto: Paolo Puccini

Poi cos’è successo? Il muro di Berlino è abbattuto, l’Unione Sovietica è crollata, la cortina di ferro più non c’è. I CCCP si trasformano in CSI e il progetto assume forme totalmente nuove, una storia finisce, un’altra comincia. Nel frattempo accade che l’avanguardia, come tutte le avanguardie, diventa istituzione al punto da entrare nei luoghi dell’istituzione. Con tanto di conferenza stampa con le autorità. Se guardate bene potete vedere anche il sindaco. Il vicesindaco. L’assessore all’urbanistica. Lo riconoscete? Poi dati i prezzi del bookshop l’avanguardia si è pure imborghesita, consapevole forse del fatto che la nostalgia è il sentimento più potente della nostra epoca, forse seconda soltanto all’indignazione. C’è scritto anche nei comunicati stampa: si spera di trasmettere un po’ dello spirito di quel tempo, quando l’Emilia era terra brulicante di vita impossibile da ricordare per chi non l’ha vissuta e per chi può affidarsi giusto ai ricordi, meglio se vengono da un nume tutelare, mettiamo un Pier Vittorio Tondelli, che parlava nel 1990 di una “enorme, scintillante città della notte con le sue balere adagiate sulle colline, le maxidiscoteche di cemento armato attorniate da parcheggi per migliaia di autovetture, vere e proprie cattedrali del liscio o della disco dance che improvvisamente emergono dalla campagna più piatta e uniforme; con i bar aperti tutta la notte, i juke-box e le osterie per camionisti”. L’ascolto della musica solo negli ultimi dieci anni è totalmente cambiato, diventato un elemento molto più individuale, forse più intimo, di certo non è più il rito collettivo ch’era un tempo, il risultato è che i locali per la musica dal vivo chiudono ovunque, sostituiti quando va bene da ristoranti e supermercati, abbandonati quando va meno bene.

E ciò che un tempo era avanguardia adesso segue le litanie del rito borghese. Non che sia rimasto molto altro, in effetti. Meglio allora affidarsi al ricordo per ricordare d’essere stati vivi. Cosa sarà dei CCCP? Non è dato sapere. Per ora sono vivi e salutano il pubblico (di nuovo: sarà davvero così?) con una mostra preclusa a qualunque altro gruppo rock, con un’enorme “esperienza immersiva” come scriverebbero i copywriter pescando dal loro tipico fraseggio, con uno spettacolo che fonde musica, teatro, arte, con un’immagine nuova costruita con (quasi) tutto quel che s’è già visto e sentito: non poteva andare diversamente. Un pezzo di storia che si cerca di far vivere. Ragioni per le quali la mostra, un’opera d’arte in sé, un’unica grande Punk-Gesamtkunstwerk, è da vedere anche se dei CCCP non hai mai sentito parlare. Mentre consegno queste righe, deve ancora tenersi il “Gran Gala” del Teatro Valli di Reggio Emilia programmato per il 21 e il 22 ottobre. Non si sa cosa faranno i CCCP: se daranno un ultimo concerto da cover band di se stessi, se faranno teatro anche semplicemente raccontandosi, se metteranno in scena il preludio di un improbabile end of the road tour da non escludersi comunque a prescindere, se più semplicemente tutto finirà, tutto diventerà davvero storia, passato da ricordare, da leggere sui libri, da guardare nelle fotografie, da ascoltare sui dischi. Soprattutto non si sa che ne sarà dopo le due serate, dopo la mostra. Le premesse che i CCCP hanno messo in circolo da un anno a questa parte sono ambigue (e come altro potevano essere?): presentare Annarella Giudici come esecutrice testamentaria della band e presentare se stessi come cellula dormiente che s’è risvegliata è quanto di più contraddittorio potessero fare. Dunque, faranno quel che vorranno fare. La storia, malgrado tutto e come ci rammenta l’attualità, non è finita. Fuori dai Chiostri di San Pietro campeggia un enorme banner con le parole che Giovanni Lindo Ferretti ha scritto per l’occasione, sempre col suo solito stile oracolare. “INTRATTENIMENTO / PROPAGANDA / DISSOLUZIONE / guerra GUERRA guerra / on line mondovisione / all’erta sto, attendo”. C’è d’aspettarsi di tutto senz’aspettare niente.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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