Napoli, 29 luglio del 1610. Deodato Gentile, vescovo di Caserta, scrive al cardinale Scipione Borghese una lettera per informarlo che Michelangelo Merisi, il Caravaggio, è morto a Porto Ercole, “ove ammalatosi ha lasciato la vita”. La “felluca” che lo aveva condotto sulla spiaggia toscana, riferisce Gentile, se n’è tornata a Napoli con “le robbe” che l’artista aveva con sé, e che vengono consegnate alla marchesa Costanza Colonna, residente a Chiaia: tra i beni del pittore figurano tre quadri, “li doi S. Giovanni, e la Madalena”. Gentile manda a pregare la signora marchesa “che vogli tenerli ben custoditi, che non si guastino, senza lasciarli vedere, o andar in mano di alcuno”. 31 luglio: Gentile scrive ancora a Scipione Borghese, per informarlo del fatto che il priore di Capua ha sequestrato le opere. Caravaggio era stato cavaliere di Malta e il priore, il più alto rappresentante dell’Ordine nel Regno di Napoli, pretende i dipinti come eredità. La vicenda si risolve con l’intervento del viceré, Pedro Fernández de Castro y Andrade, conte di Lemos, che fa anche eseguire una copia di uno dei “doi S. Giovanni”. Alla fine uno dei due arriva effettivamente a Scipione Borghese. È il San Giovanni Battista oggi tra i più ammirati pezzi della Galleria Borghese di Roma. Dell’altro non conosciamo il destino.
Potrebbe cominciare così la storia del San Giovanni Battista disteso, quadro che fino al 31 dicembre 2021 gli specialisti di Caravaggio e gli appassionati di pittura e di storia dell’arte possono osservare da vicino al Museo di Arte Sacra di Camaiore, il bel borgo della Versilia che ha l’onore d’esser la prima località italiana della storia a mostrare al pubblico questo dipinto, oggi proprietà d’un collezionista maltese. Potrebbe cominciare così, perché attorno a quest’opera non ci sono sicurezze. Ci sono, certo, le opinioni di alcuni esperti, ci sono documenti che potrebbero essere riferiti al dipinto, ci sono alcune indagini diagnostiche eseguite di recente. Mancano però elementi decisivi. E soprattutto c’è un quadro molto difficile da giudicare. L’invenzione potrebbe tranquillamente spettare a Caravaggio, e in particolare all’ultimo Caravaggio. Quello del San Giovanni Battista della Galleria Borghese e del Martirio di sant’Orsola, o ancora della Maddalena in estasi, per intenderci. La figura del san Giovannino è distesa sul panno rosso, onnipresente nel Merisi più avanzato, illuminata da bagliori che indugiano sulle cosce e sul braccio destro, e immersa in un cupo paesaggio roccioso, a malapena distinguibile, altra presenza ricorrente nei dipinti dell’ultima fase della carriera di Caravaggio. Ai piedi del san Giovannino, la croce, suo attributo iconografico, attorno alla quale s’avvinghia un serpente.
È però l’esecuzione che lascia perplessi, benché la lettura dell’opera sia pregiudicata dalle condizioni nelle quali ci è arrivata dopo aver attraversato quattro secoli di storia. La superficie pittorica è molto malconcia: restauri che la tela ha subito nel corso degli anni, danni dovuti a percolature d’acqua, alcune parti dove la stesura si presenta molto lacunosa hanno fatto diventare questo San Giovanni Battista disteso poco più d’un’ombra di quel che doveva essere in origine. Il volto ormai è quasi del tutto irriconoscibile. Meglio invece la parte inferiore del corpo. Si tratta però d’un quadro estremamente interessante, del quale esiste un altro esemplare, conservato a Monaco di Baviera: le due varianti sono oggetto di dibattiti sin dal 2009, anno in cui Maurizio Marini pubblicò per la prima volta la versione maltese (ma del dipinto in sé si parla da prima, poiché l’esemplare monacense è noto sin dagli anni Settanta). L’opera era riemersa nel 2009, quando l’attuale proprietario la comprò in un’asta della casa statunitense Thomaston. Diversi studiosi, da allora, si sono espressi sul dipinto.
Marini propendeva per l’esemplare di Monaco, e come lui altri. In favore della versione di Malta si sono invece espresse Roberta Lapucci e Mina Gregori. Lapucci fa valere elementi tecnici: la presenza di incisioni sul braccio destro, sull’interno delle cosce e sui panni all’altezza dell’inguine (s’è detto di come la parte inferiore del corpo del Giovannino sia la porzione più interessante del dipinto), alcune sovrapposizioni delle stesure pittoriche, un accenno di pennellata a zig zag sull’avambraccio sinistro. Ovvero tutte caratteristiche compatibili col modus operandi di Caravaggio. A Mina Gregori spetta invece una perizia del 2019, redatta prima che il quadro maltese venisse portato in Giappone, durante un tour che ha condotto alcuni capolavori di Michelangelo Merisi, provenienti da musei italiani e da collezioni private, in tre musei a Sapporo, Nagoya e Osaka. In quell’occasione, il San Giovanni Battista disteso era stato presentato come attribuito al Caravaggio, vicino al cui nome compariva un inequivocabile punto interrogativo. Gregori, nel suo documento, citava alcune ricerche inventariali svolte pochi mesi prima da Nadia Bastogi, che ha fatto corrispondere il dipinto maltese con il “quadro in tela entrovi un S. Giovanbattista nel deserto che giace sopra un panno rosso nudo di mano del Caravaggio con adornamento tutto dorato con rabeschi intagliati” ch’è registrato nell’inventario del 1641 delle collezioni medicee conservate nella Villa del Poggio Imperiale. Non sappiamo come vi sia arrivato: forse tramite un cavaliere di Malta d’origine fiorentina, magari Antonio Martelli o Filippo dell’Antella, entrambi vicini ai Medici. Negl’inventari successivi, sempre secenteschi, si cita un “San Giovanni Battista disteso che ha ai piedi una croce di canna”: secondo Bastogi e secondo Gregori, la menzione della “croce di canna” sarebbe decisiva in quanto, nel dipinto tedesco, si trova sul pavimento, e non vicino ai piedi del san Giovannino come nel quadro esposto a Camaiore. Altro punto a favore sarebbero le misure inventariali, più simili a quelle del dipinto maltese che alla versione monacense. L’opera citata nelle collezioni medicee conobbe poi diversi trasferimenti: dal Palazzetto mediceo di Livorno, e in seguito di nuovo a Firenze tra il 1716 e il 1723 (ma a Palazzo Pitti). Poi il nulla: l’opera uscì in epoca imprecisata dalle collezioni dei Medici. E il San Giovanni Battista disteso oggi a Malta sarebbe successivamente ricomparso nel 1860 a Boston. Non sono però al momento emerse evidenze forti che possano legare il dipinto in mostra a Camaiore, che dunque era presente in America fin dall’Ottocento, col dipinto citato nelle raccolte medicee.
Chi s’è subito schierato contro il dipinto maltese è Pietro Di Loreto, il solo, assieme a Vittorio Sgarbi, ad essersi al momento pubblicamente espresso dopo aver visitato la mostra di Camaiore. “L’idea di trovarci di fronte ad un capolavoro è del tutto evaporata ridimensionandosi a favore di una copia, probabilmente coeva, realizzata da un seguace stretto del genio lombardo”, ha scritto Di Loreto su About Art online. “Va certamente riconosciuto che il dipinto ha sofferto di vari malsani restauri e ritocchi precedenti che ne hanno compromesso la stesura deprivandolo in buona parte della materia originale al punto che oggi ne esce ostacolata una sia pur sommaria analisi anche solo visiva, e però quello che si può capire in termini di ductus e di tecnica realizzativa porta a escludere – almeno a parere di chi scrive - che vi sia impegnata la mano del Maestro”. E taglia infine corto: “quello sub judice esposto a Camaiore, proveniente da Malta, altro non potrebbe essere che una copia di quello di Monaco di Baviera (ammettendo che questo sia l’originale cosa che alcuni fra gli esegeti di Caravaggio non contemplano) e se si considera quanto il Merisi fosse contrario a concedere a chicchessia la possibilità di copiare i suoi capolavori, si deve ritenere che il dipinto di Camaiore possa essere - ancorché coevo - però di qualche anno successivo alla scomparsa dell’artista, avvenuta nel 1610)”. Sgarbi sospende il giudizio, dichiarando in un articolo pubblicato su il Giornale che le condizioni del dipinto gli “suggeriscono di non prendere una posizione”.
Non è poi detto che il dipinto in mostra in Versilia sia uno dei “doi S. Giovanni”. Ci sono almeno altri tre dipinti che concorrono per il secondo posto: il San Giovannino alla sorgente con agnello in collezione privata londinese, il San Giovannino al fonte già in una raccolta di Roma, e il San Giovannino alla sorgente con paesaggio, altra opera conservata in una collezione privata maltese in deposito al Museum of Fine Arts della Valletta.
La vicenda del San Giovanni Battista disteso è dunque tutt’altro che chiara e di facile soluzione. E il problema delle copie di Caravaggio è molto intricato: di buona parte dei dipinti del pittore lombardo si conoscono più esemplari. L’elenco è lungo: il San Francesco in estasi, per esempio. L’Incoronazione di spine di Prato, di cui si conosce uno splendido esemplare conservato a Genova, nella chiesa di San Bartolomeo della Certosa. O la Maddalena in estasi, replicata svariate volte, e malgrado quest’abbondanza non s’è ancora arrivati a capire quale sia il prototipo, sempre che sia una delle versioni note. E poi l’Ecce Homo recentemente emerso sul mercato, quello che stava per andare in asta a Madrid, alla casa Ansorena, prima che venisse ritirato per il gran clamore suscitato, in quanto candidato a essere un autografo. Giusto per citare quelli più famosi. E il Giovannino esposto a Camaiore è solo l’ultimo della serie.
Non è comunque con piglio riduzionistico che si parla di “copie”: alcune sono di qualità eccelsa. E lo stesso Caravaggio è noto anche per aver eseguito varianti dei suoi dipinti. Ora, il dipinto esposto a Camaiore è messo troppo male per potersi sbilanciare in favore soltanto guardando l’opera, anche perché l’illuminazione non aiuta, poiché pensata per un’esclusiva visione frontale: è stato infatti creato un allestimento sicuramente scenografico e suggestivo, col dipinto che si palesa solitario ai visitatori nell’aula delle adunanze della Confraternita del Santissimo Sacramento, i cui volontari garantiscono l’apertura del museo. Un allestimento teso a ricreare l’atmosfera di raccoglimento che il dipinto doveva ispirare ai suoi antichi proprietari, ma poco adatto a farsi un’idea complessiva dell’opera. La mostra di Camaiore merita però una visita (che per gli specialisti verrebbe da definire obbligatoria): intanto, perché non siamo dinnanzi a un’opera arrischiata. Il San Giovanni Battista disteso è dipinto sul quale s’è espressa una critica autorevole, per quanto si tratti d’un’opera che ha finora accolto pochi favori. È un quadro da vedere dunque con sommo interesse. Poi, perché l’esposizione offre una rilevante occasione d’avanzamento delle conoscenze sull’ultimo Caravaggio: anche ammettendo di non trovarci di fronte a un autografo, è indiscutibile l’importanza di questo dipinto anche soltanto in qualità di documento. E poi, specialmente pensando a un pubblico che in questi anni ha sentito spesso nominare Caravaggio in virtù dei tanti quadri che sono emersi a concorrere per un posto nel suo catalogo, talora proponendosi come candidati autorevoli e talaltra come arrembanti boutade, la mostra merita una visita per rendersi conto di quanto sia complessa la materia delle attribuzioni. Delle opere d’arte in generale, e di Caravaggio particolare.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).