Appare ora quanto mai attuale, a mio avviso, la mostra che Palazzo Nicolosio Lomellino a Genova dedica a Domenico Parodi (Genova, 1672 - 1742), artista tardo barocco (la rassegna fa infatti parte del più ampio progetto genovese Superbarocco. I protagonisti. Capolavori a Genova 1600 – 1750) che ebbe un ruolo di primo piano proprio nella fase settecentesca di aggiornamento del palazzo stesso. Domenico Parodi. L’Arcadia in giardino, a cura di Daniele Sanguineti e Laura Stagno con la collaborazione tecnica di Valentina Borniotto, è attuale perché le tematiche dell’ecologia, dell’ambiente, della sostenibilità, dell’amore e del rispetto per la natura stanno diventando centrali nei dibattiti e nel panorama artistico di questi ultimi anni, e in linea con questa tendenza potremmo dire che la mostra affronta tali temi da un doppio punto di vista. Innanzitutto l’Associazione Palazzo Lomellino ci ha tenuto a specificare che ha inteso contribuire alla sensibilizzazione e all’attenzione verso il tema dell’ecosostenibilità attraverso la realizzazione di un allestimento green, con l’impiego di materiali naturali e riciclabili e di energia a basso consumo. Allestimenti che sono stati creati grazie alla collaborazione con l’Accademia Ligustica di Belle Arti e alla curatela di Guido Fiorato e che risultano altamente immersivi: le sale espositive al piano nobile del palazzo sono state infatti letteralmente trasformate in vere scenografie.
Alle pareti sono stati riportati motivi che rimandano a ciò che Parodi ha compiuto in riferimento alla natura, fondali e quinte teatrali dipinte che richiamano la scena del teatro barocco; i pavimenti sono stati ricoperti da grandi tappeti antichi delle dimore genovesi che richiamano nei motivi elementi naturali, per dare l’impressione al visitatore di trovarsi a passeggiare su un morbido prato proiettandolo in un ambiente esterno. Contribuiscono a questa intenzione la scelta dei colori dominanti, ovvero il verde della natura (nelle prime tre sale) e l’azzurro del cielo nella quarta ed ultima sala. Anche chi scrive ha percepito pienamente questa volontà di portare la natura all’interno del palazzo, eliminando così i confini tra interno ed esterno. Secondariamente la mostra si concentra sul passato, analizzando dell’uomo con la natura e gli espedienti, frequenti nel periodo barocco, attraverso cui spazi delle dimore genovesi erano studiati proprio per inglobare elementi naturali, come rocce, conchiglie, piante e fiori, dando un ruolo fondamentale alla natura. Molte dimore infatti possedevano cortili interni, dove non era insolito trovare un ninfeo, una costruzione molto scenografica, al cui centro era collocata una fontana, abbellita da nicchie, statue e soprattutto da grotte artificiali, all’interno della quale scorreva l’acqua.
Nell’antichità i ninfei erano luoghi sacri delle ninfe (da qui il nome), situati vicino a sorgenti d’acqua: le ninfe erano infatti esseri divini legati alla natura, ai boschi, agli alberi, e strettamente connesse all’acqua. Le dimore barocche ospitavano quindi queste finte grotte popolate da miti per legarsi all’antichità e a quel senso di sacralità che si poteva trovare nella natura. In età barocca l’immagine doveva esaltare gli elementi della natura, legandosi anche alla poetica che era stata diffusa dalla Colonia Ligustica dell’Arcadia, nata nel 1705 grazie a Giovanni Battista Casaregi, che prevedeva l’esaltazione di un valore etico della natura regolata dalla ragione; in quest’ottica si celebravano attraverso progetti artistici nei giardini le qualità spirituali e intellettuali del committente. Domenico Parodi fu uno degli artisti che meglio sposò lo spirito arcade: gli spazi interni si aprivano a una natura incolta e genuina attraverso la realizzazione di grotte artificiali e illusionistiche, antri, concrezioni rocciose, mentre negli esterni predominavano sovrapposizioni di terrazzamenti, simmetrie, aiuole, filari di alberi intervallati da creazioni che dovevano suscitare meraviglia, come fontane, ninfei, sculture di divinità legate al mondo mitologico. Agli inizi del Settecento si diffuse perciò a Genova, su quest’onda naturalistica, la volontà di alcuni esponenti del patriziato della città di sperimentare la propria Arcadia con una nuova concezione del giardino di villa, e in molti casi, in quanto esperto, tali progetti vennero affidati a Domenico Parodi: ne sono esempi il palazzo dei Durazzo in via Balbi (Parodi ne era artista di famiglia), le ville di Romairone e di Pino Sottano; in quest’ultima addirittura creò la “stanza a grotesco” e il bagno di Diana, impiegando concrezioni calcaree e finte stalattiti, coralli, conchiglie, specchi e divinità che dovevano celebrare Giovanni Luca II Durazzo e la moglie Paola Franzone. Cifra distintiva delle “trasformazioni” più originali e più scenografiche di Parodi erano infatti la finta grotta (come quella che realizzò a Palazzo Brignole Sale per Anton Giulio II) e il tema del boschereccio, per dare un ruolo centrale alla natura popolata da figure divine.
Anche Palazzo Nicolosio Lomellino passò tra le mani di Domenico Parodi quando la famiglia Pallavicino, che risiedette nella dimora dal 1711, volle compiere quell’aggiornamento arcadico di cui si accennava precedentemente: l’artista, figlio del famoso scultore Filippo e allievo di Domenico Piola, che era suo padrino e amico del padre, si occupò della sistemazione del giardino superiore e della progettazione del monumentale ninfeo nel cortile interno che tuttora attrae i visitatori che lo intravedono già da Strada Nuova.
La raccolta e deliziosa mostra prende il via proprio da quel ninfeo che per primo Carlo Giuseppe Ratti citò nella sua guida sulle bellezze artistiche della città nel 1766 e che lo stesso menzionò anche nella biografia di Parodi: “la bella fontana nel cortile del palaggio Pallavicini in Strada Nuova in stucco lavorata con due belli e ben risentiti termini e un Fetonte che cade nel Po con due puttini lavorati in stucco con molta maestria che ben fan conoscere il molto suo sapere”, scriveva nella versione manoscritta.
Secondo le testimonianze, Domenico Parodi lavorò, rinnovandolo, su un più antico ninfeo preesistente, a cui aggiunse la scenografica balconata praticabile sostenuta da due tritoni con protome pisciforme che fungono da telamoni e che delimita una sorta di palcoscenico naturalistico dedicato alla rappresentazione del mito. Rimane tuttavia discussa la questione della raffigurazione di Fetonte citato da Ratti poiché si discosta dal disegno di Parodi presente in mostra proveniente dal Gabinetto Disegni e Stampe di Palazzo Rosso in cui è rappresentato un essere divino fluviale che versa acqua nella bocca del sottostante drago in una grande vasca a forma di conchiglia. L’ipotesi più accreditata sarebbe quella che prevede una modifica del progetto per volere della committenza in una fase successiva al disegno menzionato: probabilmente la caduta di Fetonte era più in linea con le storie tratte dalle Metamorfosi di Ovidio rappresentate nel secondo piano nobile. Oggi invece si può ammirare un fanciullo seduto al livello più alto del ninfeo (forse personificazione di Eridano), che risalirebbe ai restauri ottocenteschi. Per quanto riguarda i tritoni, Domenico Parodi conosceva bene i telamoni compiuti dal padre Filippo per il portale del giardino del palazzo Brignole Durazzo, prima ancora di conoscere la fontana di Bernini in piazza Barberini a Roma: era una figura molto usata in ambito locale, come testimoniano anche disegni in collezione privata che mostrano quattro coppie di tritonesse nella sala con Bacco al secondo piano nobile di palazzo Pallavicino.
Dopo aver ammirato nel cortile interno il monumentale ninfeo di Parodi e del suo allievo Francesco Biggi, il percorso di visita prosegue nelle quattro stanze del piano nobile. Il visitatore si trova subito coinvolto direttamente nelle scenografie grazie a uno specchio che lo proietta vicino a Paride a richiamare la sala del Bagno nella villa Durazzo di Pino Sottano. Si entra poi in un ambiente ricoperto alle pareti con elementi di verzura tratti da stampe settecentesche, dove sono esposti progetti di spazi all’aperto, il disegno del bagno di Diana in cui una ninfa sostiene un drappo per nascondere una figura nuda immersa nell’acqua della quale spuntano solo le gambe, e progetti di fontane con Ercole bambino che strozza i serpenti o con un putto su una conchiglia o quella con la lupa che allatta Romolo e Remo. Seguono poi raffigurazioni di Diana cacciatrice e di Adone con il cinghiale, ma innanzitutto ad aprire la mostra è l’Autoritratto proveniente dagli Uffizi che Domenico Parodi inviò al Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici, in cui l’artista si dipinge vestito come un dotto, come un personaggio della cultura del tempo, col turbante e il tessuto damascato sulle spalle. Mostra fiero la tavolozza con pennelli da pittore, la squadretta e il compasso e soprattutto il libro aperto a ricordare che, come membro dell’Arcadia, legge i grandi classici quali Petrarca e l’Eneide virgiliana.
Se nella seconda sala lo scenografico allestimento presenta colonne con figure cariatidi che sorreggono una balaustra, la terza conduce idealmente su prati fioriti con al centro alberi conici ricoperti da colorate creazioni floreali: la sala è infatti dedicata alla Primavera e a rappresentarla è Paola Maria Lomellini Adorno in veste di Flora, la dea della Primavera. Rifacendosi alle pose delle dame rigaudiane, Parodi traspone la poetica dell’Arcadia nel ritratto, rendendo mitologica la figura del committente: la donna avanza trionfante con veli svolazzanti spargendo fiori dal rigoglioso bouquet che tiene raccolto nelle vesti. Come Flora simboleggia la fertilità, la capacità di generare la fioritura “di tutte le piante e de i verdi prati ancora”, anche Paola Franzone Durazzo è raffigurata con fiori appena raccolti che tiene riuniti in un lembo del manto. Ritratta come “bella giardiniera” dalla pelle chiarissima e l’acconciatura settecentesca, Paola Franzone appare in primo piano su una veduta di giardino con aiuole, una vasca con giochi d’acqua e un ninfeo con statua di Adone. La dama genovese insieme al marito Giovanni Luca II Durazzo commissionò la decorazione ad affresco a tema boschereccio a Domenico Parodi nella villa di delizie di Pino Sottano e, in occasione delle nozze della coppia, l’artista mise in scena nel palazzo di via Luccoli l’allegoria della poesia petrarchesca, autore in cui gli arcadi genovesi trovavano ispirazione.
Infine, nell’ultima sala in cui spicca una grande scenografia che richiama la “Macchina per il divertimento di ballo” ideata da Parodi e realizzata con la collaborazione di scultori e plasticatori coordinati da Francesco Biggi per il ricevimento danzante che si tenne a Genova il 23 luglio 1716 in occasione della fine del soggiorno italiano del principe Elettore di Baviera Karl Albrecht Wittelsbach, la Morte di Germanico rimanda alla cultura di Parodi che trae la storia dai grandi storici latini. L’artista qui si rappresenta nell’angolo a destra del quadro, chiudendo il percorso espositivo nel primo piano nobile come l’Autoritratto degli Uffizi lo aveva aperto.
Dal piano nobile si salgono poi le scalette laterali che collegano il cortile interno dove si trova il ninfeo al giardino superiore, facendo una tappa intermedia per ammirare diciassette elaborati di studi di architettura italiani e internazionali che hanno fornito la loro soluzione e reinterpretazione progettuale del ninfeo. Frutto della call La Statua e il Ninfeo compiuta dallo studio Caarpa (Casana Architettura Paesaggio) nel 2019, nell’ambito di OPEN studi aperti, come parte di un vasto progetto dedicato al ninfeo di Palazzo Nicolosio Lomellino, ne è risultata una serie di disegni molto originali e molto diversi tra loro, ciascuno con una propria identità, per dare vita a un inedito fondale per il cortile.
Giunti al giardino superiore, delimitato verso il cortile interno da una balaustrata con statue di satiri, si apre davanti al visitatore un luogo lussureggiante, ricco di piante, fiori e di suggestioni mitologiche; vi è un pergolato di profumato glicine, piante di agrumi le cui zagare emanano un’inebriante essenza, siepi che danno al giardino un aspetto geometrico scandito al centro da una fontana con vasca ottagonale. Le piante presenti oggi non corrispondono in maniera scientifica al progetto parodiano, ma sono stati realizzati da Francesco Biggi e collaboratori su disegno di Parodi (con interventi ottocenteschi) i ninfei con grotte artificiali che si vedono in fondo al giardino: uno con il gruppo di Sileno che abbevera Bacco circondato da satiri e grappoli d’uva, l’altro con Adone che con un ginocchio appoggiato su una roccia sta cacciando un cinghiale, come vuole il mito.
Si chiude così, scendendo nel cortile interno, la mostra di Palazzo Nicolosio Lomellino che ha il merito di aver ideato un percorso espositivo strettamente legato al luogo in cui si dipana e in cui parti della struttura del palazzo sono proprio elementi fondanti del percorso. Ha avuto inoltre la felice intuizione di affrontare un tema di grande attualità connettendolo al modo in cui questo tema veniva sentito nel periodo del Barocco genovese: la natura e il suo legame con l’uomo viene perciò presentata sia dal punto di vista del presente sia dal punto di vista dell’antico. L’esposizione dà inoltre occasione di conoscere un artista poliedrico e allo stesso tempo specializzato in questi originali progetti che gli consentì di lavorare per la più importante committenza genovese della sua epoca, ma anche per una committenza internazionale, come il principe Elettore di Baviera Karl Albrecht Wittelsbach, per il quale progettò una serie di sculture per adornare la Galleria dei Marmi nel Belvedere inferiore.
In definitiva, una mostra piacevole, non scontata, legata alla città e che porta all’interno di un progetto espositivo una tematica attuale in modo inedito.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.