Annunciata come una delle mostre-evento di quest’anno e addirittura sold out ancora prima dell’apertura ufficiale del 29 settembre, con più di sessantamila biglietti venduti (ed esauriti in prevendita), la visita alla mostra “Dentro Caravaggio”, che Palazzo Reale di Milano dedica fino al 28 gennaio 2018 all’arte del grande Michelangelo Merisi, meglio conosciuto come Caravaggio, presupponeva non poche aspettative. Il grande pubblico è da sempre stato attratto dalla figura di Caravaggio (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610), oltre che per le sue indubbie capacità artistiche, anche per la sua biografia niente affatto monotona, per la sua esistenza sregolata, per il suo carattere ribelle... e si sa che il “ribelle e dannato” emana un fascino che difficilmente può contrastare con caratteri opposti.
Si attendeva una mostra che potesse competere con quella che fu la più importante esposizione dedicata a Caravaggio del Novecento, ovvero quella che Roberto Longhi curò nel 1951 nelle stesse sale in cui quest’anno è stata allestita la mostra in questione. Anche perché prima della conferenza stampa d’inaugurazione si possedevano pochissime informazioni relative alle scelte dei dipinti da esporre in mostra, nonché relative agli intenti della rassegna.
“Dentro Caravaggio” prende le mosse da un’ampia campagna di studi avviata in occasione del IV Centenario della morte di Michelangelo Merisi (1610-2010). Le ricerche archivistiche, compiute presso l’Archivio di Stato di Roma, hanno condotto, oltre alla revisione di tutti i documenti, a nuove scoperte documentarie che hanno portato a rivedere profondamente la cronologia relativa al primo periodo romano dell’artista. Ma non solo: le indagini hanno interessato anche la tecnica esecutiva che Caravaggio impiegava nella creazione delle sue opere; indagini diagnostiche, dirette da Rossella Vodret, curatrice dell’attuale esposizione, in collaborazione con il Comitato Nazionale per il IV Centenario della morte di Caravaggio, con la Soprintendenza speciale per il polo museale romano e con l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, che hanno preso il via dal 2009 e che poi sono proseguite nel 2017, grazie al sostegno della Fondazione Bracco, sulle altre opere esposte oggi a Palazzo Reale. Queste sono confluite, attraverso un progetto che ha visto fianco a fianco Università degli Studi di Milano-Bicocca e CNR, in un’elaborazione grafica con l’intento di presentarle al grande pubblico in modo innovativo e più comprensibile a tutti.
Sala alla mostra Dentro Caravaggio a Milano |
Sala alla mostra Dentro Caravaggio a Milano |
Dietro ciascun pannello sul quale in mostra è posizionato ogni dipinto, è visibile un breve video ad altissima risoluzione che, a ripetizione, proietta i risultati delle indagini radiografiche relative all’opera in questione: si potranno perciò notare eventuali rimaneggiamenti, modifiche, ripensamenti che hanno condotto alla resa finale del dipinto. Un’analisi molto interessante per quanto riguarda la storia della creazione di ogni opera che ci permette di vivere passo dopo passo gli errori, i dubbi che hanno accompagnato l’artista nella realizzazione dei suoi capolavori: quasi come immergerci nella mente di Michelangelo Merisi. “Dentro Caravaggio” – titolo della mostra meneghina – rimanda infatti alla grande possibilità che l’esposizione offre di vedere dentro le opere dell’artista, ovvero ciò che si nasconde sotto la pittura superficiale, come figure abbozzate, personaggi traslati in un’altra posizione sulla tela, dettagli che durante la realizzazione del dipinto l’artista ha pensato di eliminare, nonché la natura e il colore della preparazione e specifiche tecniche pittoriche che hanno caratterizzato la sua arte.
Tuttavia, malgrado il tentativo di rendere più fruibile e comprensibile a tutti lo studio diagnostico di ciascuna opera, a parere di chi scrive la gran parte del pubblico che andrà a visitare la mostra si soffermerà e rimarrà estasiata soprattutto di fronte ai capolavori di Caravaggio, di straordinaria bellezza e notevole impatto emotivo, ma sempre affascinanti per la loro notevole narratività. È prevedibile che saranno soprattutto gli addetti ai lavori a interessarsi ai video con gli studi diagnostici, ai quali sono soprattutto rivolti benché concepiti in “pillole”. Anche perché occorre notare che una diversa soluzione dal punto di vista del loro posizionamento forse avrebbe incuriosito di più il grande pubblico. Sembra quasi che si siano voluti nascondere gli studi radiografici: è necessario circumnavigare letteralmente i singoli pannelli per rendersi conto della presenza dei video (e sappiamo addirittura di qualcuno uscito dalla mostra ignaro della loro esistenza).
Sempre per quanto riguarda l’allestimento delle sale nelle quali il visitatore si addentrerà nell’arte di Caravaggio, è stato scelto di utilizzare come filo conduttore il colore nero, o comunque toni scuri, per i pannelli sui quali sono poste le singole opere. Queste ultime risaltano sullo sfondo – e ai nostri occhi – grazie a un gioco di luci e ombre che dà importanza a ciascuna di esse: protagonista indiscusso di ogni pannello è infatti ogni dipinto. Proprio quel gioco chiaroscurale che poneva in primo piano le figure rappresentate sulla preparazione scura nei dipinti di Michelangelo Merisi.
Pierluigi Cerri, dello Studio Cerri & Associati, a cui è stato affidato il compito di allestire la mostra milanese, ha affermato: “Abbiamo l’ambizione di aver qui cercato di allestire un percorso di elementi organizzati come un testo che consenta di intercettare l’opera prodigiosa, il fenomeno eccezionale o il fatto portentoso. […] Questo allestimento disegna un percorso in cui una serie di volumi si organizzano in gruppi articolati nelle sale in penombra di Palazzo Reale, o si allineano per consentire letture eterogenee delle opere esposte. […] Un argomento che osiamo affrontare è l’abbandono della tradizione della pinacoteca classica, della camera bianca neutrale, per adottare il colore come sfondo delle opere, colore meditato per identità o coincidenza armonica con i colori delle immagini o ripresi da stratigrafie che rivelano fondi di colore sottostanti”.
Barbara Balestreri, che si è occupata dell’illuminazione, aggiunge: “Caravaggio è un visionario della luce e dell’ombra. Il percorso luminoso sviluppato riflette il processo creativo dell’artista e il modo in cui ha modellato la luce nelle sue opere. [...]Aloni diffusi per le prime opere lasciano spazio a sagomature nette per i capolavori più tardi. Di tela in tela i visitatori intraprendono un viaggio sempre più oscuro. Un percorso emotivo e immersivo che non distrae né altera la potenza emanata dalle opere”.
Uno dei video in mostra |
Sala alla mostra Dentro Caravaggio a Milano |
Sala alla mostra Dentro Caravaggio a Milano |
In definitiva, né l’allestimento né l’illuminazione sono stati lasciati al caso: colori, luci e ombre rimandano all’evoluzione delle opere di Caravaggio. Iniziare l’analisi del percorso espositivo è dunque interessante per comprendere meglio questo legame che è stato appositamente creato tra opere, allestimento e illuminazione. Innanzitutto, è necessario tenere conto della scoperta compiuta dal giovane studioso Riccardo Gandolfi, presentata il 1° marzo 2017 in occasione della giornata di studi “Sine ira et studio. Per una cronologia del giovane Caravaggio (estate 1592-estate 1600). Opinioni a confronto” presso la Sapienza di Roma, promossa da Alessandro Zuccari, Maria Cristina Terzaghi e Sybille Ebert-Schifferer: si tratta di un manoscritto inedito di Gaspare Celio, datato al 1614 – successivo quindi alla biografia di Van Mander del 1604 e precedente alle Considerazioni sulla pittura (1617-1621 circa) di Mancini – nel quale si legge un’articolata biografia dedicata a Caravaggio. Questo scritto è importante perché possiamo avere notizie sui primi anni dell’artista. È la prima volta che si fa menzione esplicita del motivo per cui l’artista avrebbe lasciato Milano per trasferirsi a Roma: sembra che uccise un compagno. Una conferma del dato già scritto da Mancini in una nota al suo manoscritto marciano: “Fece delitto. Puttana scherzo (?) et gentilhuomo scherzo (?) ferì il gentiluomo et la puttana sfregia sbirri ammazzati volevan saper che i compagni; fu prigion un anno et lo volser veder vender il suo […] a Milano fu prigion, non confessa, vien a Roma né volse […] Fu provocato, andò a casa raccattare a tradimento si misse nel servitio per rispetto suo” e in una postilla manoscritta da Bellori alla biografia di Baglione compresa ne “Le vite de’ pittori, scultori et architetti” (1642): “Macinava li colori in Milano, et apprese a colorire et per haver occiso un suo compagno fuggì dal paese”. Proseguendo nella lettura del manoscritto di Celio, in corso di pubblicazione, si conoscono le difficoltà economiche di Caravaggio a Roma, dove lavorò per Lorenzo Siciliano dipingendo due teste di santi al giorno per cinque baiocchi l’una, e il ruolo fondamentale che ebbe Prospero Orsi nel presentare Michelangelo Merisi al cardinal Del Monte.
La revisione dei documenti dell’Archivio di Stato di Roma ha permesso di acquisire nuovi significativi dati che hanno portato a stabilire la prima testimonianza di Caravaggio a Roma nel marzo-aprile 1596, modificando perciò la cronologia dei suoi primi anni romani. Fino al 2010 infatti si pensava che Caravaggio fosse arrivato a Roma subito dopo il 1° luglio 1592, data in cui compare in un atto notarile a Milano, e che dopo qualche anno di apprendistato presso Lorenzo Carli, Antiveduto Gramatica e il Cavalier d’Arpino, avesse incontrato il cardinale Francesco del Monte intorno alla metà del decennio ed infine che tutte le opere giovanili fossero state realizzate tra il 1592 e il 1600, anno in cui ebbe il suo primo debutto pubblico nella Cappella Contarelli. Si trattava quindi di far rientrare dal 1596 circa a luglio 1597, data in cui è testimoniato il servizio di Caravaggio presso il cardinal Del Monte, tutti gli apprendistati svolti presso le botteghe già citate e la realizzazione di tutte le opere eseguite prima del suo incontro con il cardinale. E di collocare le opere giovanili dal 1596 al 1600.
Iniziamo a visitare la mostra: il percorso espositivo è organizzato in senso cronologico, secondo la nuova cronologia, in particolare delle opere giovanili, per cui il manoscritto di Celio scoperto da Gandolfi è stato di grandissimo aiuto. Con un’eccezione: la prima sala è infatti dedicata alla Giuditta che taglia la testa a Oloferne conservata alla Galleria Nazionale d’Arte Antica – Palazzo Barberini di Roma. Opera che suscita inevitabilmente un certo senso del macabro, ma considerata in maniera indiscussa uno dei più grandi capolavori di Caravaggio. Il dipinto compare in due testamenti di Ottavio Costa, potente banchiere di Albenga che si innamorò perdutamente di quest’opera, tanto da vietare ai suoi eredi di venderla (la nascose addirittura dietro una tenda di taffetà). La tela è stata oggetto di discussione per la sua datazione: ritenuta per anni risalente al 1599, come momento chiave del passaggio tra le opere giovanili e la realizzazione delle tele della Cappella Contarelli, ora grazie alle nuove indagini si ritiene opportuno datarla al 1602, poiché simile nella struttura compositiva e anche nelle tecniche utilizzate, ovvero nello schema delle incisioni e nell’uso di abbozzi chiari, al Sacrificio di Isacco della Galleria degli Uffizi documentato al 1603. La Giuditta infatti, secondo Michele Cuppone e Gianni Papi, teoria accettata e sostenuta anche dalla curatrice Rossella Vodret, sarebbe il dipinto a cui si riferirebbe una ricevuta rilasciata da Caravaggio a Ottavio Costa il 21 maggio 1602; il documento scoperto dalla studiosa Maria Cristina Terzaghi era ritenuto invece riferibile al San Giovanni di Kansas City.
Un dato reso visibile grazie alle radiografie è la presenza di due significativi pentimenti che riguardano la distanza tra i margini della ferita sul collo del generale assiro Oloferne inferta dalla giovane vedova della città di Betulia, con un conseguente spostamento verso destra di tutta la testa. L’artista ha perciò scelto di rappresentare nello stesso momento sia la fine del secondo fendente – secondo la Bibbia, Oloferne venne colpito due volte prima della decollazione – sia l’azione di staccare la testa dal corpo. Inoltre, probabilmente il volto di Giuditta corrisponde a quello della Vergine della Natività di Palermo.
Nella seconda e nella terza sala sono esposti i dipinti che, secondo tutte le fonti, furono realizzati nel periodo in cui Caravaggio si mise in proprio, grazie all’aiuto di Prospero Orsi e del mercante Costantino Spada, ed ebbe una stanza per lavorare nel palazzo di Fantin Petrignani nell’aprile-maggio 1597: si tratta del Riposo durante la fuga in Egitto e della Maddalena penitente conservati alla Galleria Doria Pamphilj di Roma, e della Buona Ventura del Louvre (in mostra la versione dei Musei Capitolini di Roma). Le tre tele vennero acquistate da Girolamo Vittrice, cognato di Orsi, e dopo il 1650 vennero vendute dalla figlia di Girolamo, Caterina Vittrice, a Olimpia Maidalchini Pamphilj; la Buona ventura del Louvre venne successivamente mandata da Camillo Pamphilj, figlio di Olimpia, in dono a Luigi XIV.
Tra queste la più interessante sia dal punto di vista compositivo sia dei risultati delle radiografie è senza dubbio il Riposo durante la fuga in Egitto: il dipinto realizzato su una tovaglia di Fiandra pone al centro della scena lo splendido angelo di spalle che, con la sua intera figura e con le sue lunghe ali, mentre suona il violino, divide la tela in due parti. Sulla sinistra è san Giuseppe che regge lo spartito, tra toni più scuri, sulla sinistra in piena luce è la Madonna, che tenera e dolce stringe a sé il Bambino. Per questa composizione sembra che Caravaggio abbia pensato all’Ercole al bivio di Annibale Carracci, pittore che conosceva e stimava molto. Dalle radiografie, oltre all’iniziale spostamento sulla destra dell’angelo e verso il centro della Madonna col Bambino, è stata rinvenuta una figura nuda di spalle nella parte inferiore del dipinto; forse la posizione in cui l’artista aveva inizialmente pensato di raffigurare l’angelo. Accanto al Riposo è esposta la Maddalena penitente, seduta su una sedia elegantemente abbigliata con un abito in tessuto broccato grigio-verde mentre raccolta in sé piange. Il vaso con l’unguento, le perle e gli orecchini a cui ha rinunciato sono raffigurati in una bella natura morta ai piedi della ragazza. Per la raffigurazione della Maddalena, Caravaggio sembra abbia utilizzato la stessa modella del Riposo.
Caravaggio, Giuditta e Oloferne (1602; olio su tela, 145 x 195 cm; Roma, Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma, Palazzo Barberini; Foto di Mauro Coen) |
Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto (1597; olio su tela, 135,5 x 166,5 cm; Roma, Galleria Doria Pamphilj) |
Caravaggio, Maddalena penitente (1597; olio su tela, 122,5 x 98,5 cm; Roma, Galleria Doria Pamphilj) |
Nella sala successiva campeggia La Buona ventura dei Musei Capitolini, che a differenza di quella del Louvre presenta caratteri stilistici più maturi. Probabilmente l’opera venne realizzata poco prima dell’incontro con il cardinal Del Monte, un incontro che cambiò la vita al giovane artista: gli offrì di diventare suo pittore personale e di stabilirsi nella sua abitazione di Palazzo Madama. L’occhio dello spettatore è immediatamente catturato dal movimento delle mani, in cui si nota, grazie a un recente restauro, l’anello d’oro che l’indovina sta rapidamente sfilando dal dito del giovane che invece non si accorge di nulla. Dalle indagini radiografiche è stato possibile vedere che il dipinto venne realizzato utilizzando una tela sulla quale, si è pensato, l’artista stesso avrebbe compiuto una Vergine con il Bambino che dorme e che per tracciare l’aureola della Vergine utilizzò un compasso, strumento abituale di Caravaggio ma scambiato per oggetto contundente in un arresto del 1598 per detenzione abusiva di armi.
Queste opere denotano alcune caratteristiche tipiche del suo periodo giovanile: l’utilizzo di una preparazione chiara sulla quale disegna i personaggi e gli oggetti che intende raffigurare – la mostra meneghina smentisce con forza le ipotesi secondo le quali Caravaggio non disegnava – usando carboncino o tratti di pennello sottile scuro, procedendo successivamente con l’aggiunta di strati di vari colori e delle ombre. Nella Buona ventura si nota anche la presenza dei profili a risparmio: le stesure pittoriche delle campiture confinanti non entrano in contatto, lasciando a vista la preparazione.
Caravaggio, La buona ventura (1597; olio su tela, 115 x 150 cm; Roma, Musei Capitolini – Pinacoteca Capitolina) |
L’esposizione prosegue con le altre opere ascrivibili al suo periodo giovanile: il celebre Ragazzo morso dal ramarro, davanti al quale si rimane colpiti dalla sensazione di movimento che scaturisce dalla tela, causata dallo scatto repentino del ramarro che, uscendo dalla composizione floreale, morde il dito del ragazzo che dal dolore lancia un urlo. Il movimento si percepisce persino dal sussulto dell’acqua all’interno del vaso. Questa è una delle opere per cui, per la sua realizzazione, l’artista si servì di uno specchio: in mancanza di modelli, ritraeva se stesso, e di un poggiamano, strumento per stabilizzare la mano con cui dipingeva. Il San Francesco in estasi di Hartford, dove è raffigurato il momento in cui il santo sul monte della Verna riceve le stimmate: è sorretto da un angelo dal bellissimo panneggio bianco in un dettagliato paesaggio; sullo sfondo, un frate e alcuni pastori. Il santo e l’angelo sono illuminati da un unico raggio di luce che proviene da sinistra. Marta e Maria Maddalena, opera conservata a Detroit, nella quale si osserva la contrapposizione tra Marta, vestita con abiti modesti, e la sorella Maria Maddalena, in abiti lussuosi; la prima è intenta a convertire la seconda: una luce sembra provenire dalle mani di Marta per raggiungere il viso di Maddalena, accanto alla quale compaiono uno specchio, un pettine e il vasetto d’unguento, simboli della vanitas, come pure il ricco abito che indossa. In queste tre tele la preparazione inizia a farsi leggermente più scura rispetto alle tele Vittrice, di un colore bruno-rossastro. Presenti inoltre incisioni, profili a risparmio e pennellate chiare di abbozzo, caratteristiche che presuppongono una datazione più vicina alle tele Contarelli, realizzate nel 1600 e che segnarono un punto di svolta nell’attività artistica di Michelangelo Merisi. Un cambiamento dettato dalla necessità di affrettare i tempi di realizzazione – le tele della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi dovevano essere compiute in un solo anno: sulla tela stendeva una preparazione scura su cui tracciava con uno strumento appuntito le incisioni e delineava le figure da rappresentare con larghe pennellate scure e brevi pennellate chiare di abbozzo. Sulla preparazione scura che lasciava a vista, aggiungeva le parti in luce o in penombra al fine di rendere visibili solo le figure illuminate dalla luce, che divenivano il fulcro del dipinto. Tutto intorno il buio.
Le opere nelle sale successive perciò proseguono su questa linea, mettendo in risalto allo spettatore i personaggi raffigurati che, dal fondo, sembrano spingersi in superficie. Scorrono davanti ai nostri occhi il Sacrificio di Isacco degli Uffizi, la Sacra Famiglia con san Giovannino del Metropolitan Museum di New York (opera assegnata a Caravaggio ma senza unanimità), i due esemplari che raffigurano san Giovanni Battista, quello di Kansas City e quello della Galleria Corsini di Roma, posti uno accanto all’altro, insieme al San Girolamo penitente del Museu de Monserrat, accomunati da un morbido panneggio rosso che li avvolge in parte e dalla stessa impostazione nella composizione. E ancora: l’Incoronazione di spine conservata a Vicenza (altra opera dalle vicende attributive tormentate), il San Francesco in meditazione proveniente dal Museo Civico di Cremona e la Madonna dei Pellegrini dalla Basilica di Sant’Agostino di Roma. Tra le scoperte compiute grazie alle radiografie e alle riflettografie sono significative, nel Sacrificio di Isacco, la presenza di un’ara sacrificale al posto della pietra sulla quale ora Isacco poggia la testa, immobilizzata dalla mano di suo padre che sta quasi per ubbidire al volere divino, e l’utilizzo per lo stesso dipinto del blu oltremare per dipingere il cielo: il prezioso colore denota l’importanza del committente, Maffeo Barberini. Significative anche le modifiche al San Giovanni Battista della Galleria Corsini: viene abbozzato un agnello, tipico nell’iconografia del santo, e la canna con la croce era retta precedentemente con la mano sinistra. Si notano poi modifiche nell’abbigliamento della Vergine nella tela della Sacra Famiglia, nel manto rosso del San Giovanni Battista di Kansas City, che originariamente raggiungeva il margine destro della tela, l’aggiunta della sedia e della schiena del personaggio che si vede di spalle in basso a sinistra nell’Incoronazione di spine.
Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro |
Caravaggio, San Francesco in estasi (1598 circa; olio su tela, 93,9 x 129,5 cm; Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Art; Foto di Allen Phillips) |
Caravaggio, Marta e Maddalena (1598-1599; olio e tempera su tela, 100,2 x 135,4 cm; Detroit, Detroit Institute of Arts) |
Caravaggio, Sacrificio di Isacco (1603; olio su tela, 105,5 x 136,3; Firenze, Galleria degli Uffizi) |
Caravaggio, San Giovanni Battista (1604 circa; olio su tela, 172,72 x 132,08 cm; Kansas City, The Nelson-Atkins Museum of Art; Foto di Jamison Miller) |
Caravaggio, San Giovanni Battista (1604 circa; olio su tela, 97 x 131 cm; Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, Galleria Corsini; Foto di Mauro Coen) |
Caravaggio, San Francesco in meditazione (post 1604, 1606?; olio su tela, 128 x 90 cm; Cremona; Museo Civico “Ala Ponzone”) |
Caravaggio, Madonna dei pellegrini (1604-1605; olio su tela, 260 x 150 cm; Roma, Basilica di Sant’Agostino; Foto Giuseppe Schiavinotto, Roma) |
Dalla decima sala si assiste a un ulteriore cambiamento: le opere esposte appaiono sempre più cupe e suggestive, inducendo lo spettatore a un atteggiamento maggiormente meditativo. Questo perché nel maggio 1606 Caravaggio fu costretto a lasciare Roma a causa dell’uccisione in duello di Ranuccio Tomassoni. Da qui iniziò un esilio e un peregrinare continuo tra varie città che lo avrebbe portato a non fare più ritorno a Roma. Fino al 1610, quando stava per giungere la grazia per l’omicidio di Ranuccio, quindi decise di ritornare nella città che gli aveva dato onori e glorie, ma imbarcatosi la morte lo colse a Porto Ercole, spezzando per sempre il suo sogno. Nei feudi Colonna, a Palestrina, Paliano o Zagarolo, realizzò il San Francesco in meditazione (1606), ritrovato in una chiesa a Carpineto Romano e oggi conservato a Palazzo Barberini di Roma. A Napoli compì la Flagellazione di Cristo (1607), alla quale è riservato un allestimento meravigliosamente suggestivo in un gioco di luci e ombre che rimanda alla maggiore drammaticità del dipinto e alla sofferenza dell’umanità.
A Malta ritrasse il Cavaliere di Malta (1607-1608), oggi visibile alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze, mentre sempre a Napoli raffigurò la Salomè con la testa del Battista, conservata alla National Gallery di Londra. La datazione di quest’ultima opera è ancora dubbia: secondo alcuni critici è databile al 1607 per le somiglianze con la pala delle Sette opere di Misericordia, mentre Roberto Longhi l’aveva datata al 1610, quindi riconducibile al suo secondo soggiorno napoletano.
Il percorso espositivo si chiude con il Martirio di sant’Orsola (1610), considerato l’ultimo dipinto di Caravaggio, conservato alle Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli. Qui le figure sono delineate solo da poche pennellate di abbozzo e il buio della preparazione sovrasta la luce e le forme. Dalle indagini sono state scoperte una figura simile a quella oggi visibile, ma più ridotta nel San Francesco in meditazione, la figura di un domenicano in ginocchio sottogiacente al carnefice nella Flagellazione di Cristo, e una modifica all’abito della Salomè, opera dipinta su tela saia.
Caravaggio, Ritratto di un cavaliere di Malta (1607-1608; olio su tela, 118,5 x 95 cm; Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti) |
Caravaggio, Flagellazione (1607; olio su tela, 266 x 213 cm; Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte) |
Caravaggio, Salomè con la testa del Battista (1607 o 1610; olio su tela, 91,5 x 106,7 cm; Londra, National Gallery) |
Caravaggio, Martirio di sant’Orsola (1610; olio su tela, 143 x 180 cm; Napoli, Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia - Palazzo Zevallos Stigliano; Archivio Attività Culturali, Intesa Sanpaolo / Foto Luciano Pedicini) |
“Dentro Caravaggio” è accompagnata da un catalogo che affronta nei suoi saggi il tema della revisione del periodo giovanile di Caravaggio: Orietta Verdi, grazie a una sintesi dei documenti noti, ricostruisce la cronologia degli spostamenti dell’artista tra il 1595 e il 1597, Francesca Curti traccia la geografia dei primi luoghi da lui frequentati a Roma, tenendo conto delle relazioni con le varie botteghe con cui viene in contatto, Alessandro Zuccari propone una possibile successione cronologica delle sue prime opere, Sybille Ebert-Schifferer ripercorre le tappe più significative della vita di Caravaggio nel contesto delle relazioni con i personaggi che frequenta, mentre Riccardo Gandolfi che illustra la sua scoperta relativa al manoscritto Celio. Presenti anche saggi che si occupano della tecnica esecutiva dell’artista scritti da Keith Christiansen, Larry Keith e Claudio Falcucci, mentre al restauro e alle ricerche condotte dall’Opificio delle Pietre Dure è dedicato il saggio di Marco Ciatti, Cecilia Frosini e Roberto Bellucci. Un e-book allegato al catalogo mostra le radiografie e le riflettografie che nel percorso espositivo sono proiettate dai video citati. Una mostra in ogni caso da visitare per vedere dal vivo le magnifiche opere del grande Michelangelo Merisi e per comprendere i nuovi sviluppi delle scoperte relative all’artista.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.