Si è conclusa da poco la settimana della moda a Milano, che dietro la potenza di fuoco del marketing porta con sé qualche polemica ma anche interessanti dibattiti su quanto questo mondo apparentemente effimero sia fondato su un antico bisogno di affermazione sociale. E così, vale la pena una piccola deviazione dalle vetrine via Montenapoleone, per arrivare a Palazzo Morando - Costume Moda Immagine, dove la mostra Daniele Tamagni. Style is Life ci permette di scoprire un fotografo prematuramente scomparso nel 2017 a 42 anni, vincitore di prestigiosi premi internazionali, come il Canon Young Photographer Award nel 2007, l’ICP Infinity Award nel 2010 e il World Press Photo Award nel 2011, e tramite il suo sguardo i luoghi in cui la moda è stata, ed è ancora, davvero un simbolo di impegno ed affermazione sociale.
Curata da Aïda Muluneh e Chiara Bardelli Nonino, promossa e organizzata dalla Daniele Tamagni Foundation in collaborazione con il Comune di Milano, è la prima grande retrospettiva del fotografo. La moda è oggetto della sua ricerca, non quella delle collezioni delle grandi maison, ma l’atto stesso di vestirsi e con quello affermare il proprio ruolo nel mondo. Come racconta Chiara Bardelli Nonino, co-curatrice della mostra: “Daniele era stato attratto dalla moda fin dagli esordi, ma in una declinazione per cui i brand e le fashion week del tempo non erano pronti. Voleva capire e fotografare lo stile, in particolare quel momento in cui il gusto da radicalmente personale si trasforma in un gesto, e volendo in un messaggio, destinato agli altri”.
Il mondo protagonista delle foto è spesso quello di comunità ancora ai margini della globalizzazione. Il progetto più simbolico della ricerca di Tamagni è quello che racconta i “dandy” di Bacongo, un quartiere di Brazzaville nella Repubblica del Congo, pubblicato nel 2009 da Trolley Books con il titolo “Gentlemen of Bacongo”. Sin dall’inizio del Novecento il movimento congolese dei sapeurs (il cui nome proviene da SAPE - Società degli Animatori e delle Persone Eleganti), avevano reinterpretato lo stile dei colonizzatori francesi, esibendosi all’interno delle loro comunità in performance in cui ostentazione, lusso e raffinatezza diventavano strumenti di resistenza culturale. Questa resistenza emerge, nelle foto di Tamagni, con una energia contagiosa, grazie ad una tavolozza di colori vividi, dettagli ricchi e accessori che catturano l’immaginazione. Trasmettono con una forza travolgente una piena gioia di vivere, capace di superare i confini del contesto, della storia e della situazione sociale in cui sono state catturate. Ogni foto è un’affermazione audace della vita, un inno alla forza umana e alla bellezza intrinseca dell’esistenza, così forte da convincere lo stilista inglese Paul Smith a trarre ispirazione alle fotografie del libro per disegnare la sua collezione primavera-estate del 2010.
Il percorso espositivo prosegue con i metallari del Botswana, un progetto del 2012, nel momento in cui il movimento afrometal era al suo culmine. Ospite di un gruppo heavy metal, Tamagni racconta il loro stile, gli accessori e gli strumenti, con un sapiente gioco di luci e contrasti e ci conduce verso un immaginario “dark africano”.
Completamente in contrasto, per ricchezza di colori, sono i ritratti della comunità delle lottatrici boliviane, conosciute come “pollera” per via delle gonne ampie e variopinte che si rifanno agli abiti tradizionali più che a abiti tecnici da combattimento. Una scelta simbolica che sfida la tradizionale divisione dei ruoli di genere portando avanti, anche attraverso il wrestling, forme concrete di emancipazione femminile a livello sociale e politico. È incredibile come Tamagni sia riuscito a fotografare la durezza dei combattimenti, e restituire un senso di leggerezza e di liberazione che sembra contraddire la stessa forza di gravità, non per niente con questo progetto ha vinto il World Press Photo.
Sono tutte comunità per cui “lo stile è vita”, come recita il titolo della mostra, che nelle foto di Daniele Tamagni dimostrano l’orgoglio di una libertà conquistata duramente, in cui lo stile diventa simbolo di condivisione di un progetto, di una battaglia, di una nuova identità, spesso non è ancora codificata dalla società, e per questo che deve essere dimostrata in modo eccessivo. Lo stile diventa così atto politico, sovversivo. Eppure, le fotografie di Tamagni ai nostri occhi abituati alla finzione sembrano le pagine pubblicitarie di una rivista patinata. Gli elementi ci sono tutti: outfit ricercati, la posa, la ricchezza di colore. La sola differenza è che le storie che le racconta sono reali, non sono dei set. Il suo sguardo innovativo ha unito insieme fotogiornalismo, fotografia di strada e fotografia di moda in uno stile unico.
E, appunto, la fotografia di strada è la declinazione del progetto con le giovani crew urbane di Johannesburg originate in un contesto politico fortemente repressivo. Con le sue fotografie di Joburg Style Battles del 2012 Tamagni documenta una scena variegata e vitale tra stile e performance, popolata da dance crews come i Vintage, e sottoculture come gli Smarteez.
Gli scatti rivelano un gusto originale nella scelta dei protagonisti e la capacità di avvicinarsi alla complessità delle loro storie e restituirle negli sguardi che attirano inevitabilmente chi li guarda. Ciò che rende queste immagini ancora più straordinarie è il loro coraggio, quello che traspare dai volti dei soggetti fotografati, riflettendo le loro storie di forza e determinazione, ma che appartiene anche al fotografo stesso, che ha osato scoprire l’Africa in un momento in cui il continente era ancora poco discusso.
“Daniele”, sottolinea la co-curatrice Aïda Muluneh, “ha intrapreso una missione per dimostrare quanto ricco sia il continente africano in termini di diversità e storie non ancora narrate, si è deliberatamente concentrato su individui ai margini della società̀, su coloro che sfidano le norme, privilegiando l’affermazione di sé rispetto all’approvazione altrui, su coloro che aprono la strada ai loro viaggi unici. A mio parere, ha scelto narrazioni strettamente allineate al suo cuore e al suo percorso di vita”.
Alla mostra si accompagna un libro, Style Is Life, che oltre alle foto raccoglie anche i contributi esclusivi di amici, galleristi, accademici, fotografi, giornalisti, come Alessia Glaviano, a capo di Global PhotoVogue: “Daniele Tamagni era speciale. Era sicuramente un anticonformista, un tipo eccentrico, difficile da comprendere, ma capace di trasformarsi magicamente quando, con la sua inseparabile compagna di vita, la macchina fotografica, individuava le storie più originali e inaspettate insieme ai loro ancor più originali protagonisti, per farne oggetto delle sue fotografie. Sempre sul filo di un’ironia surreale e seria, Tamagni possedeva il dono della meraviglia e dello stupore”.
A chiusura del volume una lunga intervista del padre Giordano Tamagni – elaborata con grande sensibilità dallo scrittore Angelo Ferracuti – che sottolinea vulnerabilità e coraggio del figlio nell’affrontare da autodidatta una carriera ostacolata da condizioni di salute precarie: “Oggi l’eredità di Daniele si trova nei musei che hanno acquisito le sue immagini più iconiche, tra cui il LACMA di Los Angeles, il Fine Art Museum di Houston, il Museum of Contemporary Photography di Chicago… così come è rappresentata dal Daniele Tamagni Grant che assegna una borsa di studio per frequentare il master annuale di fotogiornalismo al Market Photo Workshop di Johannesburg, la prestigiosa scuola fondata dal grande fotografo sudafricano David Goldblatt per offrire ai giovani di colore discriminati dall’apartheid”. Proprio a questo premio è dedicata l’ultima sezione della mostra, che presenta i lavori dei primi tre vincitori.
Ma questa mostra è prima di tutto un omaggio, a Daniele Tamagni, al suo percorso interrotto troppo presto; omaggio – nel senso di regalo – alla città di Milano e a chi vorrà visitarla, gratuitamente, fino al 1° aprile 2024; omaggio, infine a chi difende con coraggio la propria libertà, anche attraverso l’immagine con cui si presenta al mondo. Come scrive Deborah Willis, accademica della New York University su Daniele Tamagni: “le sue fotografie sono un esempio di resistenza, non solo raffigurando lo stile come una dichiarazione di liberazione personale, ma anche e soprattutto come forma politica incentrata sulla libertà”.