Una dimensione onirica brulicante di diavoli, mostri, visioni e incendi apocalittici, quella che contraddistingue la disturbante arte dell’olandese Hieronymus Bosch. Visione, la sua, che ha contribuito a plasmare un Rinascimento altro, che alla passione per l’antichità classica opponeva l’interesse per l’oscuro e il bizzarro. Ed è proprio questo che prova a raccontare la nuova mostra aperta al pubblico fino al 12 marzo 2023, al Palazzo Reale di Milano, Bosch e un altro Rinascimento, anche se il visitatore, guidato dalla fervente passione per il pittore olandese, potrebbe vedere le sue aspettative disilluse nel trovare solamente una manciata di opere appartenenti all’artista. La retrospettiva milanese, curata da Bernard Aikema, Fernando Checa Cremades e Claudio Salsi, si fa però carico di raccontare non solo l’opera di Bosch, ma anche e soprattutto un Rinascimento estraneo, calpestato e fagocitato dalla grazia e dall’equilibrio di quello tipico italiano. E una volta scesi a compromessi e liberi da ogni preconcetto, si potrebbe rimanere sorpresi nell’imparare a conoscere un mondo nuovo, se vogliamo distopico, e di sicuro differente rispetto a ciò cui si è abituati.
Il visitatore inizia un viaggio nella penombra delle sale seguendo spiriti, creature mostruose e triviali desideri, nutrendo quella stessa ombra che Jung definiva come archetipo del diavolo e di tutte quelle possibilità dell’esistenza respinte perché non considerate proprie. Si entra, così, nella sala che ospita, per prima, il labirintico mondo delle Tentazioni di sant’Antonio, il trittico di Bosch risalente al 1502.
La grande opera, visibile sul fronte e sul retro, mette per la prima volta in mostra una tale abbondanza di droleries da far quasi scomparire il soggetto principale. Antonio era considerato archetipo dell’eremita e “padre dei monaci” e, molto probabilmente, Bosch ebbe la possibilità di conoscere la sua storia tramite la consultazione delle Vitas Patrum e attraverso la diffusa fioritura, dalla seconda metà del XV secolo, di monasteri e conventi nei Paesi Bassi. I pannelli del trittico rappresentano, da sinistra a destra, le tre fasi fondamentali della vita del santo, dal momento in cui Antonio abbraccia la vita eremitica, passando per la persecuzione del demonio, arrivando al superamento della tentazione e al conseguente raggiungimento della pace interiore. Sulla prima anta sant’Antonio è rappresentato due volte: mentre è sorretto, privo di sensi, da due monaci dopo un attacco del diavolo e, successivamente, in estatica preghiera trasportato in aria da demoni. Quest’ultima scena era estremamente congeniale agli artisti dell’epoca e descrive un evento verificatosi relativamente tardi nella vita del santo. Una mattina, infatti, mentre meditava cadde in estasi ed ebbe un’apparizione: si vedeva trasportato in aria, ora da due angeli, ora da due diavoli che pretendevano una resa dei conti per i peccati della sua gioventù. Da qui gli elementi del mondo di Bosch precipitano nel caos, in un guazzabuglio di figure strane, come un diavolo-lupo, un diavolo-cavaliere che tiene un pesce come lancia, pesci volanti e, nel prato, un gigante (motivo ricorrente anch’esso nella storia del santo) che Bosch rappresenta carponi, mentre assume le sembianze di una taverna. La taverna dell’olandese rappresenta tutta l’ambiguità del mondo, il peccato e la diabolica trappola per le anime, mentre nel paesaggio si trovano motivi e simboli ricorrenti che alludono al viaggio.
Nel pannello centrale è rappresentata la fase cruciale della lotta contro i demoni ammassati in grossi gruppi attorno al santo, che attaccheranno nell’ultimo pannello. Qui Antonio è invece rappresentato in ginocchio intento a osservare lo spettatore, mentre la diagonale della sua schiena accompagna lo sguardo al Cristo benedicente dinnanzi al suo crocefisso. Nell’ultimo pannello è rappresentata la meditazione di sant’Antonio, mentre delle figure volano in cielo per raggiungere i sabba alle streghe. In primissimo piano una donna nuda, la lussuria, mentre si affaccia da un tronco offrendosi al santo meditante. Vicino ad Antonio un nano con girandola e mantello rosso, simbolo dell’incoscienza e, ancora, in primo piano l’ultima tentazione: una tavola con pane e vino. È stato il cronista veneziano Marcantonio Michiel a descrivere per primo l’arte di Bosch come popolata di “inferni, mostri e sogni”, delineando il profilo di un artista estremamente fantasioso e di “pictor gryllorum”, ovvero un pittore di scene ridicole.
Ben più edulcorata e sognante è la messa in scena delle meditazioni di san Giovanni Battista, che per ragioni conservative lascerà la mostra il 13 febbraio. Il santo è qui rappresentato in meditazione su un prato e immerso in un paesaggio che risulta più realistico rispetto alle altre opere esposte. Ma l’illusione è infranta immediatamente con il Trittico dei santi eremiti. Bosch esegue questo olio su tavola tra il 1495 e il 1505: nel pannello centrale san Girolamo, riconoscibile dagli abiti cardinalizi, dalla croce e il leone, vaga nel deserto interrotto da rovine e bassorilievi. Il paesaggio continua nella tavola di sinistra che vede protagonista sant’Antonio abate, mentre, in quello di destra, è rappresentato sant’Egidio insieme alla cerva che lo nutrì durante il suo cammino da eremita.
Da qui si sviluppa l’intero percorso della mostra che segue non una cronologia precisa, ma tematiche differenti che accompagnano il pubblico in un viaggio quasi fra le stesse tentazioni del santo facendolo trovare ora in una lotta fra classico e anticlassico, ora tra sogni, magia, visioni apocalittiche, ora tra stampe, curiosità e macabro collezionismo. La seconda sala, in cui si affronta il tema del “classico e anticlassico tra Italia e penisola iberica”, racconta l’altra faccia del Rinascimento aprendosi con una versione post-boschiana delle Tentazioni di sant’Antonio di Jan Wellens de Cock, del 1525. Questo spazio ospita inoltre uno dei grandi del Rinascimento Italiano, Leonardo da Vinci, con alcune grottesche caricature da una delle pagine del Codice Trivulziano. E qui viene aperto un piccolo vaso di Pandora che mette in bilico le certezze relative a un’epoca che, sotto lo strato degli inni al bello e alla misura, nascondeva in realtà la stessa strampalata mostruosità tipica dell’arte di Bosch, a dimostrazione di come un Rinascimento fatto d’ibridazioni e di fascinazioni per l’eccentrico non era prerogativa esclusiva dell’arte nordica. Si prosegue, poi, tra “i sogni” allucinati e colmi di incubi di Marcantonio Raimondi, Albrecht Dürer, degli artisti della bottega di Bosch, passando per le pagine di un manuale per la divinazione del futuro attraverso la lettura dei simboli presenti nei sogni.
Il sogno, nel Cinquecento, seduce e sconvolge, e infiniti saranno i trattati o le rappresentazioni pittoriche come, per esempio, La visione di Tundalo (1491-1525 circa) che mette in scena il viaggio iniziatico del cavaliere che per tre giorni visitò l’aldilà. La leggenda è qui dipinta da un seguace di Bosch, che rappresenta il cavaliere dormiente seduto in basso, mentre è assistito da un angelo. Ma il cavaliere sembra quasi un elemento secondario in confronto alla grande testa dagli occhi vuoti e dalle cui orecchie crescono alberi, mentre dal naso scorrono monete. A destra, sono innumerevoli gli elementi caratteristici del repertorio boschiano, come un castello in fiamme, losche figure e strani mostriciattoli. A concludere il feroce incubo, una donna addormentata su un letto attorniato da bestie, come fosse il pasto di un macabro banchetto.
Quasi a ricercare un intrinseco significato e una qualche ragione di queste morbose visioni oniriche, il viaggiatore sarà guidato nella sala della magia, in cui la donna è esposta come oggetto e, sovente, considerata il diavolo. Si scopre così una celebre incisione, lo Stregozzo, derivante da un bulino di Albrecht Dürer, e che a sua volta riprendeva un’invenzione grafica di Mantegna, dove la strega è rappresentata come una vecchia laida con i capelli sciolti mentre cavalca lo scheletro di un animale terrificante e si ciba di bambini strappati alle famiglie nella notte del Sabba infernale.
Proseguendo nel percorso si potrà notare ancor meglio come i curatori, inserendo collegamenti con artisti italiani dello stesso periodo, abbiano seguito la loro difficile impresa di ricostruire un Rinascimento fatto di luci e ombre, di vita e morte. Un Rinascimento con un solo grande cuore pulsante, in cui mostruoso e grazia si contaminano, si mescolano e imparano l’uno dall’altro.
Così, nella sala delle Visioni Apocalittiche, è presentato un altro colossale dialogo, questa volta fra Dante Alighieri, con la sua Comedia, e le particolari rappresentazioni di Herri met de Bles II o le incisioni di Pieter Bruegel il Vecchio che torneranno nella stanza dedicata alla “stampa come mezzo di divulgazione” tra le strane figure di buffoni e mostri in precario equilibrio fra sogni e incubi. Vicino ad esse si trova un’altra opera di Bosch: il Trittico del giudizio finale. Un imponente olio su tavola che rappresenta, a sinistra il Paradiso, a destra l’Inferno e al centro il Giudizio svolto da Cristo che sovrasta un mondo di popolato da creature che alludono ai diversi peccati.
Prima di addentrarsi nel mondo delle stampe, si torna più approfonditamente tra le tentazioni di sant’Antonio che è stato, senza alcun dubbio, uno dei temi di maggiore successo della poetica di Hieronymus Bosch e dei suoi seguaci. Appartenente alla scuola dell’artista olandese è una tela, insolitamente grande, datata 1554 e in passato erroneamente attribuita a Pieter Bruegel il Vecchio sulla base della firma apocrifa “P.BRUEGHEL”. Il soggetto delle tentazioni di sant’Antonio fu spesso praticato dai seguaci di Bosch poiché forniva loro l’occasione di sfoggiare tutti quei mostriciattoli, demoni ed esseri tipici della “maniera boschiana”, tanto da mettere in secondo piano le sofferenze del santo per dare spazio al pandemonio fantastico che riempie l’intera superficie dell’opera, a differenza di quanto invece accade nelle Tentazioni di Bosch dove pure il santo conserva un ruolo importante.
Hieronymus Bosch non fu comunque amato e imitato solo nelle sue terre: anche gli Asburgo, che reggevano il Brabante fin dalla fine del Quattrocento, nutrivano per lui una profonda attrazione, tanto che Filippo II conservava a Madrid, all’Escorial e al palazzo del Prado, un grandissimo numero di opere dell’artista e della sua cerchia. Nelle collezioni di Granvelle era custodita anche una serie di quattro arazzi “alla maniera di Bosch” entrata nella collezione reale spagnola probabilmente già ai tempi di Filippo II. Il successo della collezione tessile fu così grandioso che don Fernando Alvarez de Toledo, terzo duca d’Alba, arrivò a possedere una serie simile, copiata dalla collezione di Granvelle. Nell’area della retrospettiva dedicata agli Asburgo, tra gli enormi arazzi, spicca una piccola tavola sempre rappresentante le tentazioni di sant’Antonio, ma che fu una delle prime opere di Bosch donate da Filippo II al Monastero dell’Escorial, dopo averla acquistata verso il 1563 dal marchese di Cortes. A differenza delle altre rappresentazioni delle tentazioni del santo, qui Antonio non è assalito dagli esseri maligni: il santo appare assorto nei suoi pensieri, seduto sotto il tronco di un albero cavo, e i diavoli, anziché tormentarlo, sembrano figure comiche ed estranee al contesto. Questa particolarissima interpretazione del soggetto iconografico è uno dei principali motivi che hanno portato diversi autori a considerare il dipinto come estraneo ai pennelli di Bosch, ma gli studi tecnici in merito hanno confermato essere autografa del maestro. Seguendo il labirinto di arazzi appartenenti agli Asburgo, il visitatore è condotto alla piccola sala dell’elefante, soggetto tra i più affascinanti nel nascente gusto per l’esotismo nell’Europa del Cinquecento. Lo stesso Bosch raffigurò questo animale nel Giardino delle delizie e questa sezione ha l’intento di evidenziare la fortuna di tale animale nell’iconografia del XVI secolo.
La retrospettiva milanese Bosch e un altro Rinascimento conclude il suo viaggio tra le curiosità e il collezionismo enciclopedico presentando una piccola “ricostruzione ideale” di Wunderkammer che sembra cercare uno stridente parallelismo con il marasma di una timida copia di bottega del trittico del Giardino delle Delizie e “per rendere ancora più suggestivo il rapporto”, come scrivono i curatori in catalogo, viene proposto “un gruppo di uccelli imbalsamati provenienti dal Museo di Scienze Naturali milanese e rappresentativi delle specie ricorrenti nel dipinto del Bosch.”
Nelle sale del Palazzo Reale di Milano va dunque in scena una mostra inusuale, nonostante non si tratti della prima che l’Italia dedica a Bosch: nel 2017, sulla scia delle iniziative per il cinquecentenario della morte del pittore (2016), il Palazzo Ducale di Venezia aveva dedicato un approfondimento alle opere dell’artista olandese presenti nelle collezioni pubbliche veneziane, tutte e tre restaurate per l’occasione. Ma certo è che l’opportunità di vedere un numero anche esiguo di opere di Bosch radunate in un unica sede espositiva è rara, specie se inserite in un percorso ampio come quello di Bosch e un altro Rinascimento, una mostra che è anche una somma di prime volte: Milano infatti non aveva mai visto una mostra su Bosch, vengono presentate alcune opere inedite (come la Discesa di Cristo al limbo attribuita a un seguace di Bosch e di proprietà della galleria De Jonckheere di Ginevra), e per la prima volta in Italia è possibile ammirare il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio di Bosch.
Ne risulta alla fine un percorso disturbante, sognante e pervaso da visioni inquietanti e forme differenti di angoscia e inferno. Un inferno che “l’altro Rinascimento” ha inseguito, braccato e intrappolato per sempre nella sua arte.