di
Cinzia Compalati
, scritto il 17/05/2021
Categorie: Recensioni mostre / Argomenti: Arte contemporanea
Recensione della mostra “Aldo Giannotti. Safe and Sound”. A Bologna, MAMbo, dal 5 maggio al 5 settembre 2021.
Safe and Sound al MAMbo di Bologna non è tanto una mostra quanto una dichiarazione d’intenti. Quella che vi racconto io è solo una delle possibili mostre da visitare perché il divenire, l’agire e l’interazione sono più di quanto esposto. Ma andiamo con ordine. Il progetto (un progetto da vero writer fatto di disegni e parole) ci viene incontro già alla biglietteria dove quattro interventi hanno invaso i consueti spazi di accoglienza: sulle pareti gli schizzi delle idee mai realizzate per questa mostra (degne del MoRE. A Museum of refused and unrealised art projects), due neon di Cicli Continui e i primi giochi: se sei un artista (ma anche se non lo sei) puoi lasciare la tua opera d’arte negli armadietti, in Lockers, per tutta la durata della mostra, poi (l’artista ci dice) “scrivilo nel tuo cv”; se vuoi uscire puoi farlo (senza aver pagato il biglietto) attraverso l’installazione Safe/Dangerous Exit, porta del bar o varco disegnato sul muro. La dichiarazione d’intenti è fatta: ci sono modi, scelte, sliding doors, nella libertà di ciascuno la possibilità di scrivere (o annullare) nuove regole.
Con mappa alla mano (disegnata di suo pugno dall’artista per aiutarci a non perderci) si entra nella Sala delle Ciminiere e si attivano, come in una grande escape room, tutti i cortocircuiti di Giannotti: linguistici, visivi (da sempre presenti nel suo lavoro) ma, in questo caso, anche spaziali, percettivi e semantici. The Others è l’anticamera della mostra che invece si è realizzata: su un telo da cinema vedi ‘degli altri’ in una situazione analoga alla tua, in un’altra ‘anti mostra’, non capisci, ma ti fidi. Prosegui. E boom! Arriva il sovvertimento, totale, del concetto di istituzione museale, di ciò che è sicuro e di ciò che non lo è, di quello che è consentito o meno fare in una mostra. Ma anche per strada, a Bologna, nel mondo. Sono messe in discussione le regole, proprio le stesse regole così tanto incardinate nei musei.
Il visitatore viene a contatto con una realtà in cui è libero di esercitare potenziali alternative comportamentali, dove ad accompagnarlo ci sono dei custodi/performer che, semplicemente, fanno cose a cui non siamo abituati. Ne fanno tante, sempre nuove, sempre diverse. E forse il museo ci piace di più.
Partecipi. Disegni sul muro il tempo della mostra che passa. Prendi confidenza con il luogo. Conosci Aldo (che peraltro nemmeno si chiama Aldo ma Giosia Rinaldo) in Things That Hurt Me e guardandoti intorno. Se per qualche strana ragione hai con te una motosega puoi tagliare il cartongesso e portarti un’opera a casa (è avvenuto il 9 maggio scorso).
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Suggested path to visit the exhibition
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Lockers
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Safe/Dangerous Exit
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Things that hurt me
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The chainsaw
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Il furto-performance del 9 maggio
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The chainsaw
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Finalmente ti senti in confidenza. Hai voglia di scoprire di più. Hai già visto da un po’ che c’è un buco, in alto, nel muro che ti collega attraverso The Passage. After Aldo Rossi direttamente alle sale della collezione permanente. Ma aspetti a salire, ci sono ancora tante cose da sperimentare.
Qualche lavoro del passato anticipa la cifra ‘a scarti’ di Giannotti, in Mutual Surveillance ti colleghi (in un’azione di mutuo soccorso tra musei) con le stanza del MAMbo di Bogotà. I musei dovrebbero fare anche questo: guardarsi a vicenda (quando ho visitato io la mostra la connessione era interrotta per le proteste in piazza che si stavano svolgendo nella capitale colombiana. Vero o no, non mi è dispiaciuto affatto. Anzi l’installazione funzionava comunque).
Nella sala successiva con Mobile Staircase entriamo in un’installazione simbolo del progetto dove le regole museali saltano e per poter vedere le opere i visitatori devono spostare delle scale mobili e salirci sopra a proprio rischio e pericolo. Ti diverti perché il senso dell’assurdo e della novità ti piace. Un ampio spazio è dedicato ai Satellite Events, per ora è uno spazio bianco, con alcune cordicelle a muro, che prenderà forma e sostanza durante il corso dell’estate con il programma di eventi curato da Giannotti stesso.
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The passage after Aldo Rossi
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Mutual surveillance
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Mutual surveillance
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Mobile staircase
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Mobile staircase
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Satellite events
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Via, e ora si sale. Percorri un ponteggio-istallazione con opere collocate in una galleria in salita, e ti trovi nelle (in)toccabili sale della collezione permanente in cui Aldo non si ferma e in dodici postazioni (grazie alle sue istruzioni) performi il museo giocando a nascondino, battendo le mani, ballando, inventando storie, piegando cartoline che compongono un intervento collettivo.
Quanto riscendi ti senti felice (perché questa è una mostra che dà gioia) ti riguardi ancora un po’ intorno e imbocchi l’uscita. Ed eccoti, nella sala conclusiva, sei ‘gli altri’ (o “gli altri siamo noi” così come recita una canzone di Umberto Tozzi) lì davanti a un megaschermo gemello a guardare chi sta per iniziare questa esperienza espositiva. Tutto si ricompone, la mostra palindroma prende un senso e il grande neon luminoso Welcome e Goodbye spiega tutto in due parole.
Torni in strada, in Via Don Minzoni e la piccola scritta The Column (a cui prima non avevi dato troppo peso) ora ti tira dentro. Nella Sala delle Ciminiere è solo un cartongesso inaccessibile, qui fuori è il passage che connette ‘il dentro’ con ‘il fuori’, il pubblico specialistico del museo con le persone che passano per strada. Non ci sono più barriere, del resto anche il tunnel che ti fa tuffare nelle collezioni permanenti (a fine mostra resterà un vetro traccia dell’intervento di Giannotti) o le incursioni artistiche nel foyer avevano già messo in discussione le consuetudini museali. È un progetto politico, sociale, partecipativo che, innescando nuovi processi decisionali, delinea nuove geografie culturali. C’è ironia, studio, pensiero e visione. Ne usciamo sani e salvi.
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Performing the museum
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Performing the museum
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The Column
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The Others
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