È stata inaugurata a Napoli la nuova mostra su Battistello Caracciolo, articolata tra il Museo di Capodimonte, Palazzo Reale e la Certosa di San Martino: più che una mostra, una vera immersione nel Seicento napoletano. Il percorso si snoda principalmente nella sala Raffaello Causa del Museo di Capodimonte, dove saranno esposte, fino al 2 ottobre 2022, circa ottanta tele dipinte dell’artista. Prosegue quindi, con questo evento, il filone di mostre incentrate sugli artisti napoletani o legati alla città, che ha incluso le mostre su Luca Giordano, Vincenzo Gemito ma anche Caravaggio, Santiago Calatrava, Jan Fabre e Picasso (con la sua fugace permanenza in città).
Nato a Napoli nel 1578 e morto nella stessa città nel 1635, Giovan Battista Caracciolo, detto Battistello, sarà uno dei protagonisti della stagione del naturalismo nella seicentesca Napoli vicereale, il cui maggior esponente è stato Caravaggio. Molte delle opere del Caracciolo non possono che richiamare spesso proprio le opere del Merisi, con paragoni spesso suggeriti proprio da un intelligente percorso museale.
Battistello Caracciolo viene “scoperto” da Roberto Longhi nel 1915, evidenziandone subito il rapporto di “seguace” del Caravaggio e definendolo un “patriarca bronzeo dei Caravaggeschi”. È proprio il bronzo, la tonalità molto utilizzata dal Caracciolo, a caratterizzare anche l’allestimento della mostra. Anche in questo caso, non è possibile non paragonare il percorso a quello della mostra Caravaggio Napoli del 2018, nella stessa sala Causa di Capodimonte. Mentre allora il visitatore esplorava la mostra nell’oscurità rischiarata solo dal chiarore dei dipinti, per questa mostra invece gli spazi espositivi, pur essendo caratterizzati de un percorso simile, sono stati contraddistinti da una tonalità bronzea, a simboleggiare in qualche modo un proseguimento dal percorso dello stesso Caravaggio, ma al tempo stesso anche un distaccamento.
Come notato dal professor Stefano Causa, Battistello è stato di quanto più simile ad un allievo, rispetto al Caravaggio, ma al tempo stesso se ne discostò notevolmente: un “caravaggesco infedele”. Battistello infatti sarà grande utilizzatore del disegno, oltre che artista abituato ad affrescare ed incidere, a differenza del maestro lombardo che, come è noto, oltre a dedicarsi solo alla pittura, non utilizzava schemi preparatori, cogliendo il naturalismo dei suoi modelli dal vivo. In quest’ottica assume una particolare importanza il corridoio dei disegni, che sottolinea questa grande differenza con il Caravaggio. Viene chiarito il ruolo del disegno nella genesi delle opere di Battistello, grazie anche all’attribuzione dei disegni in mostra, conservati al National Museum di Stoccolma, dove sono stati portati alla fine del Seicento dall’architetto Nicodemus Tessin il Giovane, di ritorno da un viaggio a Napoli. Tra i bozzetti, è particolarmente interessante quello sul primo Viceré di Napoli, utilizzato per l’affresco a Palazzo Reale, raffigurante la consegna delle chiavi della città.
Il percorso si apre con alcune video proiezioni che rimandano lo spettatore alle atmosfere del Seicento napoletano. L’allestimento della mostra, progettato da COR arquitectos & Flavia Chiavaroli, è stato studiato per esaltare le analogie con il Caravaggio, ma anche per studiare come Battistello se ne discostò. Lo spettatore però, tanta la straordinaria qualità delle opere esposte, rischia quasi di dimenticare questo gioco di richiami che il percorso suggerisce. Altri paragoni sono suggeriti dalla presenza e dall’accostamento delle opere di Francesco Curia, Jusepe de Ribera, Mattia Preti. Se gli accostamenti di queste tele sono più canonici, seppur sempre interessanti, sono invece di grandissimo effetto gli accostamenti con le varie sculture, tra cui quella di un Cristo flagellato paragonato alle opere del Caracciolo. Questi accostamenti ci suggeriscono in maniera intelligente come in passato pittori e scultori avessero significative influenze sulle opere degli uni e degli altri, in un’atmosfera spesso di confronto creativo.
In occasione della mostra, alcune opere sono state restaurate e ci appaiono quasi inedite. Impressiona in particolare l’Immacolata Concezione del 1627, proveniente dalla chiesa della Natività della Beata Vergine di Roccadaspide (Salerno), un’opera quasi sconosciuta, complice anche il pessimo stato prima del restauro. Colpisce anche la Liberazione di San Pietro dal carcere, eseguita per un altare della chiesa del Pio Monte della Misericordia, dove normalmente è conservata. Il dipinto che rappresenta l’opera di misericordia di visitare i carcerati già normalmente dialoga con le Sette Opere di Misericordia di Caravaggio nella stessa chiesa: adesso, a seguito del restauro, il dipinto di Battistello appare sorprendente ed ancora una volta richiama il Merisi con il personaggio in primo piano di spalle, ma soprattutto con l’angelo che accompagna il santo fuori dal carcere, il cui viso, avvolto nel chiaroscuro più evidente grazie al restauro, rappresenta un rimando ai personaggi caravaggeschi. Al fianco di quest’opera è stato esposto un elmo molto simile a quello dipinto, efficace espediente che rimanda a sua volta anche all’opera di Caravaggio, la Negazione di San Pietro (peccato che la fotografia di confronto esposta sia davvero piccola), dove compare quello che sembrerebbe lo stesso elmo utilizzato da Battistello nel suo dipinto.
Da sottolineare positivamente come le didascalie esplicative delle opere, forse ancora un po’ piccole e localizzate spesso in posizioni poco comode, siano spesso ricche di approfondimenti interessanti, guidando in maniera efficace anche il visitatore medio, con nozioni più specifiche.
La seconda sede della mostra è a Palazzo Reale in Piazza del Plebiscito. Qui lo spettatore potrà ammirare la cosiddetta Sala del Gran Capitano, il cui soffitto è stato affrescato da Battistello probabilmente tra il 1610 ed il 1616 e che rappresenta una delle poche opere originali seicentesche del palazzo, più volte modificato nel corso degli anni successivi. La sala potrà essere ammirata in modo inedito, giacché sono stati rimossi gli arredi ed il grande lampadario, inoltre presenta una nuova illuminazione che valorizza gli affreschi. L’ambiente faceva parte degli appartamenti del viceré durante il seicento e successivamente di Carlo di Borbone nel settecento. Il nome della sala deriva proprio dagli affreschi del soffitto che rappresentano le storie del Gran Capitano Gonzalo Fernández de Córdoba, che diventa primo viceré spagnolo di Napoli grazie a due vittorie sull’esercito francese. Se da un lato il Caracciolo si distacca dal suo maestro affrescando questo soffitto, seppur con una monumentalità naturalistica, ma priva dei classici chiaroscuri caravaggeschi, dall’altro lato omaggia il pittore lombardo includendo proprio il suo viso dietro le figure degli ambasciatori che offrono le chiavi della città al Gran Capitano.
La mostra si conclude con la terza sede, la certosa di San Martino, dove il percorso procede nella chiesa e nella galleria del Quarto del Priore. Chi ha precedentemente visitato la chiesa del complesso, resterà estasiato dalla nuova illuminazione, che anche qui valorizza gli affreschi come non mai. Il De Domenici affermava che “…le più belle opere di Giovan Battista si veggono nella chiesa bellissima di San Martino…”: vederle oggi con un’illuminazione tanto diversa rispetto a quella dell’epoca, potrebbe invitarci a riflettere sul rapporto originario della luce con le opere quando sono state realizzate. Allo stesso tempo, la scelta della Direzione regionale di Musei Campania di illuminare gli affreschi in maniera così moderna, ci dà la possibilità di leggere queste opere in modo estremamente più chiaro.
Nella Cappella dell’Assunta, il ciclo degli affreschi ripercorre i momenti salienti della vita della Vergine Maria. La Cappella di San Gennaro vede oltre agli affreschi del Caracciolo, gli interventi di Domenico Antonio Vaccaro e di Cosimo Fanzago. A seguito dell’eruzione del Vesuvio del 1631, i padri certosini decisero di affidare a Battistello una serie di affreschi sulla vita del Santo, per omaggiare il suo presunto intervento. La Cappella di San Martino presenta la pala d’altare San Martino e quattro angeli commissionata originariamente a Paolo Finoglio, ma giudicata dai certosini insoddisfacente. Venne chiamato quindi Battistello, che già aveva eseguito un’opera nella sala del capitolo e che realizzò questa tela nel 1630 circa. Nel Coro della Certosa, che ospita inoltre le opere di Massimo Stanzione, del Cavalier d’Arpino, e di Guido Reni, Battistello aveva dipinto nel 1622 La lavanda dei piedi, considerato un grande capolavoro dell’artista, con i suoi contrasti cromatici ed un chiaroscuro estremo. Il percorso nella Certosa dedicato al Caracciolo termina nella quadreria del Priore, dove è presente l’Assunta, opera del 1631, nata come pala d’altare nell’omonima Cappella, poi sostituita da un’opera di Francesco De Mura e quindi spostata qui, dove oggi sono presenti in mostra anche quattro bozzetti degli affreschi della Cappella di San Gennaro ed alcuni disegni.
L'autore di questo articolo: Francesco Carignani di Novoli
È esperto in management e politiche culturali.