di
Ilaria Baratta
, scritto il 09/06/2019
Categorie: Recensioni mostre / Argomenti: Antonio Fontanesi - Reggio Emilia - Emilia Romagna - Ottocento - Romanticismo
Recensione della mostra “Antonio Fontanesi e la sua eredità. Da Pellizza da Volpedo a Burri”, dal 6 aprile al 14 luglio 2019 ai Musei Civici di Reggio Emilia
Artista dotato di una forte sensibilità pittorica, a tratti poetica, Antonio Fontanesi (Reggio Emilia, 1818 – Torino, 1882) trascorse gli ultimi anni della sua vita nel più totale sconforto, a seguito dell’esito negativo, o meglio, di una vera bocciatura subita in occasione della presentazione di uno dei suoi ultimi e più ambiziosi dipinti, Le nubi, all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Torino del 1880. Il grande quadro non ricevette nemmeno la pur minima considerazione da parte della giuria che, evidentemente, non era a conoscenza oppure non apprezzava i cambiamenti che la pittura di paesaggio aveva avuto nei tempi più recenti. L’opera evidenziava il tratto altamente poetico con cui l’artista aveva raffigurato la natura e gli influssi artistici della tradizione, a cominciare dal paesaggio classico e ideale del secentesco Claude Lorrain (Chamagne, 1600 – Roma, 1682) per giungere al paesaggio olandese e infine a quello del romanticismo inglese.
Prende le mosse proprio da questo dipinto, ingiustamente non considerato, la mostra Antonio Fontanesi e la sua eredità, che il Palazzo dei Musei di Reggio Emilia dedica ad Antonio Fontanesi nel duecentesimo anniversario della sua nascita fino al 14 luglio 2019, testimoniando “l’ora più buia” della sua produzione, tra il 1880 e il 1882.
Le nubi risale al 1880 e raffigura “un gran cielo e una pianura immensa” a detta di Fontanesi stesso: sono qui evidenti i riferimenti al paesaggismo d’Oltralpe, in particolare a Corot (Parigi, 1796 – 1875) e a Poussin (Les Andelys, 1594 – Roma, 1665), e a Constable (East Bergholt, 1776 – Londra, 1837), soprattutto per quanto riguarda la luce vicina al reale, gli accostamenti cromatici e la matericità del colore. Accanto a questa tela di elevate dimensioni è stato posto uno dei numerosi bozzetti che l’artista eseguì per Le nubi, opere entrambe custodite alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. Caratteristica del suo modo di dipingere era infatti l’abitudine di trarre impressioni dal vero, nel contatto diretto con la natura, che successivamente venivano ripensate e rimodificate, anche nei soggetti, nella tranquillità del suo studio, di solito con dimensioni maggiori. Una sorta di “emotion recollected in tranquility” di William Wordsworth. L’impostazione dei due lavori appare sostanzialmente a specchio: è invertita la posizione di alberi e case; nell’opera finale risultano distinte le figure umane e animali, ma in entrambe le opere le nubi protagoniste rivelano la loro corposità e dominano l’ameno paesaggio sottostante.
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Sala della mostra Antonio Fontanesi e la sua eredità a Reggio Emilia, Palazzo dei Musei
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Sala della mostra Antonio Fontanesi e la sua eredità a Reggio Emilia, Palazzo dei Musei
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Sala della mostra Antonio Fontanesi e la sua eredità a Reggio Emilia, Palazzo dei Musei
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Antonio Fontanesi, Le nubi (1880; olio su tela, 200 x 300 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Antonio Fontanesi, Studio per Le nubi (1879-1880; olio su cartone, 51,7 x 75 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Da questo primo passaggio, la mostra reggiana ha volutamente ricreato, in modo egregio e intelligente, quella sala che, a distanza di diciannove anni dalla scomparsa dell’artista, ha restituito a Fontanesi la sua gloria: la svolta che segnò il vero riconoscimento da parte di critica e pubblico italiano e straniero si verificò infatti nel 1901 con la partecipazione postuma del pittore reggiano alla IV Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, anche se si trattava di una retrospettiva su un artista ormai sconosciuto e non di una mostra che intendeva omaggiarlo attraverso le sue opere più apprezzate. Fautori di questo passo decisivo furono i suoi più fedeli estimatori, che non lo abbandonarono mai, soprattutto dopo la sua morte. Primo su tutti, il torinese Marco Calderini che, dal 1886, aveva progettato e si era occupato di scrivere la biografia del maestro, pubblicata successivamente proprio nell’anno della svolta. La retrospettiva veneziana fontanesiana fu allestita nella sala d’onore dedicata a Umberto I e Margherita di Savoia, e Marco Calderini, a cui era stato affidato il compito di ordinare la sala, volle esporre sessantotto opere, tra dipinti, disegni e studî. Come detto, la mostra è riuscita a riunire nuovamente alcune delle opere protagoniste di quella sala del 1901, le più rappresentative della sua produzione di alta qualità: Il mattino e La quiete dalla GAM di Torino, Campagna con gregge, proveniente dagli Uffizi; Bufera imminente proveniente dalla collezione Giorgio Zamboni di Reggio Emilia; Solitudine, Ingresso di un tempio in Giappone e Marina in burrasca conservati nei Musei Civici di Reggio Emilia. E ancora, L’abbeveratoio dalla Pinacoteca di Bologna, Alla fontana dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e Altacomba da Aosta. Tutte opere a tema paesaggistico, per la maggior parte dove i soggetti sono calati in mezzo alla natura boschiva o campestre; opere che rispecchiano l’espressione coniata dallo stesso Fontanesi: “la poesia del vero”, per indicare la commistione di una sensibilità romantica in grado di fornire alle sue tele un tratto lirico e una luce ineguagliabili e una fedeltà al vero documentata da studio all’aria aperta.
Ne L’Abbeveratoio, in Campagna con gregge e in Bufera imminente, ad essere calate nella natura sono mucche che, all’ombra delle fronde, passeggiano, si rinfrescano in un piccolo specchio d’acqua o mangiano l’erba dei prati: situazioni di calma e tranquillità che accolgono lo spettatore profondendo quelle sensazioni; Bufera imminente infonde tuttavia un senso di sospensione e concentrazione drammatica attraverso le due mucche in primo piano, in una quiete che precede la tempesta. Una situazione di bufera è riproposta in Marina in burrasca: qui i toni divengono più cupi e terrosi, le vele si piegano per il vento, il mare s’increspa, i nuvoloni scuri avanzano impetuosamente e, grazie agli effetti suggestivi di controluce, tutto si carica di una forte espressività. Gli altri dipinti citati, come Il mattino, La quiete, Altacomba, Alla fontana, presentano ancora una volta una natura che trasmette serenità, come serene sono le persone raffigurate all’interno di questi: paesaggi soleggiati o ombreggiati dalla vegetazione con frequente presenza dell’elemento acqua, con cui i soggetti interagiscono, riproponendo anche il tema della fanciulla alla fonte. Caso a parte è Solitudine: qui una ragazza è rappresentata seduta al centro della scena assorta nei suoi pensieri; è un dipinto che trasmette a chi l’osserva una certa malinconia, ma senza alcun dubbio è rappresentativo di quel senso poetico che l’artista conferisce ai suoi quadri. Dipinti che evocano stati d’animo, come era nell’intento dello stesso artista.
Inoltre, sono opere che testimoniano un approccio innovativo rispetto all’epoca: Il mattino risente delle ricerche dei paesaggisti francesi, in particolare rimanda al dipinto conservato al Musée d’Orsay di Constant Troyon (Sèvres, 1810 – Parigi, 1865), Boeufs allant au labour: effet de matin, soprattutto per l’intenso effetto di controluce, per la purezza formale e l’equilibrio compositivo. La quiete presenta elementi in comune con l’arte di Corot sia per il suo raffinato lirismo che per la ripresa del motivo della figura in piedi intenta a curvare i rami dell’albero, come elemento di congiunzione tra cielo e terra. L’abbeveratoio fu influenzato invece dallo studio dai paesaggisti inglesi, in particolare dagli effetti luminosi dei romantici, come William Turner (Londra, 1775 – Chelsea, 1851) e Constable, mentre Bufera imminente risente della pittura olandese secentesca e del paesaggismo francese e inglese.
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Antonio Fontanesi, Il mattino (1855-1858; olio su carta applicata su cartoncino, 20,1 x 31,1 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Antonio Fontanesi, La quiete (1860 circa; olio su tela, 81,5 x 119 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Antonio Fontanesi, L’abbeveratoio (1867 circa; olio su tela, 112 x 134 cm; Bologna, Pinacoteca Nazionale)
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Antonio Fontanesi, Campagna con gregge (1867-1868; olio su tela, 151 x 192 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria Palatina di Palazzo Pitti)
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Antonio Fontanesi, Alla fontana (1867-1869; olio su tela, 103 x 78 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Antonio Fontanesi, Bufera imminente (1874; olio su tela, 102 x 141 cm; Reggio Emilia, Collezione Giorgio Zamboni)
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Antonio Fontanesi, Solitudine (1875; olio su tela, 115 x 150 cm; Reggio Emilia, Musei Civici)
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Antonio Fontanesi, Ingresso di un tempio in Giappone (1878-1880; preparazione a chiaroscuro su tela, 114 x 145 cm; Reggio Emilia, Musei Civici)
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Antonio Fontanesi, Marina in burrasca (1878-1880; olio su tela, 80 x 110 cm; Reggio Emilia, Musei Civici)
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L’idea di realizzare una retrospettiva dedicata a Fontanesi a distanza di quasi vent’anni dalla sua morte fu ben accolta da Antonio Fradeletto, segretario generale dell’Esposizione di Venezia fin dalla sua prima edizione, grazie a una sorta di coincidenza: i francesi desideravano presentare nella loro sala dipinti della collezione privata di Alexander Young, di cui facevano parte molti capolavori dell’École de Barbizon, scuola sviluppatasi in Francia che si proponeva come una corrente paesaggista del realismo. Esponenti di quest’ultima furono Corot, Troyon, Daubigny (Parigi, 1817 – 1878), con cui Fontanesi aveva intrattenuto rapporti diretti di stima e di amicizia: il progetto risultava quindi ottimale e ottenne grandi lodi, facendo riscoprire al pubblico uno dei pittori italiani più significativi nell’ambito paesaggistico dell’Ottocento. Grazie alla retrospettiva veneziana e alla pubblicazione della biografia del maestro reggiano, Fontanesi ricevette quella riconsiderazione tanto attesa, testimoniata da un’affermazione del poeta e scrittore Giovanni Cena: “Sono passati venti anni dalla sua morte. L’alba di Fontanesi spunta ora”.
Le successive sezioni offrono un panorama sulla fortuna critica di Fontanesi dopo la sua scomparsa: tra il 1892 e il 1915 i divisionisti videro in lui un loro precursore, nel 1924 Carlo Carrà (Quargnento, 1881 – Milano, 1966) propose una rilettura dell’artista nella monografia a lui dedicata, senza dimenticare la stima del Gruppo Novecento nei confronti del pittore, e infine tra il 1952 e il 1954 Fontanesi fu oggetto di studio e di letture critiche da parte di Roberto Longhi e Francesco Arcangeli. Perciò il visitatore vive l’attuale mostra reggiana in un crescendo di elogi e di giudizî positivi nei confronti dell’artista, seppur lui stesso non potesse aver modo di conoscerli, poiché postumi. È inevitabile a questo proposito una riflessione sulle tristi conseguenze di una stroncatura, che in questo caso provocò grande sconforto nel pittore proprio negli ultimi anni della sua esistenza. Un artista che trasferì il suo animo sensibile sulla tela e che, dopo la sua scomparsa e nonostante la considerazione di cui godette nei periodi più felici della sua carriera, venne totalmente dimenticato per anni, ma che è riuscito a riscattarsi solo dopo la sua morte (non venendone quindi mai a conoscenza) grazie a un gruppo di fedeli amici ed estimatori.
Un primo passo verso l’interesse per la sua arte si verificò nel 1892, in concomitanza con l’Esposizione Retrospettiva della Promotrice di Torino, dove vennero esposte sessantotto delle sue opere, tra disegni e dipinti. Fu Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato, 1859 – La Loggia, 1933) ad occuparsi direttamente dell’organizzazione della retrospettiva, l’autore del busto bronzeo di Fontanesi, esposto nella prima sala dell’attuale mostra, realizzato nel 1883 e oggi conservato alla Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti. Riguardo alla Retrospettiva del 1892, si hanno testimonianze delle visite di Vittore Grubicyde Dragon (Milano, 1851 – Milano, 1920), Giuseppe Pellizza da Volpedo (Volpedo, 1868 – 1907) e Angelo Morbelli (Alessandria, 1853 – Milano, 1919), che furono letteralmente chiamati all’appello dallo stesso Bistolfi: “Desidero che veniate tutti a veder Fontanesi!”. Questi, profondamente entusiasti della retrospettiva torinese, riconobbero nel maestro un precursore del loro modo di dipingere, ovvero del divisionismo; inoltre essi videro rappresentata nella sua arte una nuova concezione del paesaggio, in base alla quale nei suoi dipinti era raffigurato uno stato d’animo. In particolare Pellizza da Volpedo si riconobbe nell’arte del maestro e scrisse in una lettera indirizzata a Morbelli: “alcuni piccoli paesaggi sono quelli che più soddisfano le mie aspirazioni di pittura. In seguito sarò più che altro un paesista. Fontanesi m’aiuta a trovar me stesso; che altro non sono se non un solitario amante della vergine natura selvaggia diffondentesi nella luce”. Significativamente evidente è il confronto proposto tra il dipinto di Fontanesi dal titolo Novembre, del 1864, e I due pastori nel prato di Mongini (Novembre) di Pellizza da Volpedo, realizzato nel 1901. Non a caso Pellizza da Volpedo si era appuntato sul suo catalogo della retrospettiva di Torino il motivo di Novembre. In entrambi è comune il tema di fanciulli immersi nel silenzio della natura, presente in maniera similare in Solitudine. Protagonista di queste tele è tuttavia l’emanazione della luce sull’intero dipinto che fa risaltare i tratti di colore. Grubicy vedeva in Fontanesi l’esemplificazione delle sue riflessioni sul processo creativo: la suggestione provata di fronte a un paesaggio coinvolgeva secondo lui sia la fase creativa dell’artista che il momento della ricezione da parte del pubblico, il quale, osservando l’opera, avrebbe rievocato le impressioni provate dal pittore. Merita una menzione il dipinto di Angelo Morbelli intitolato Alba domenicale: anche qui i soggetti, come in Fontanesi, sono calati nella natura, trasmettendo una sorta di misticismo; presumibilmente le figure si avviano in silenzio verso il paese per assistere alla messa domenicale. Questa sezione riunisce capolavori che infondono un senso di pace, sono capolavori del silenzio.
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Antonio Fontanesi, Novembre (1864; olio su tela, 103 x 153 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Vittore Grubicy de Dragon, Inverno (1898; olio su tela, 47,1 x 39,5 cm; Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro)
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Giuseppe Pellizza da Volpedo, I due pastori nel prato di Mongini (Novembre) (1901; olio su tela, 45,3 x 62,2 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Angelo Morbelli, Alba domenicale (1915; olio su tela, 78 x 132 cm; Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi)
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La sezione successiva porta il titolo rievocativo di Numero, ordine, misura: termini rappresentativi degli anni Venti, posti da Gino Severini (Cortona, 1883 – Parigi, 1966) in esergo al volume Du cubisme au classicisme, utilizzati poi da Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963) per definire la sua arte e che Carlo Carrà vide adatti per la sua monografia illustrata dedicata a Fontanesi, pubblicata nel 1924. Si aprì così una nuova stagione di riscoperta dell’artista reggiano che si propagò dagli anni Venti agli anni Trenta del Novecento. A ispirare queste riflessioni sono dipinti come Il mulino, realizzato da Fontanesi tra il 1858 e il 1859, influenzato dalla lezione di Daubigny: sarà soprattutto Carrà a riprendere lo schema compositivo di questo dipinto, ben evidente in Capanni sul mare (1927) e in Pagliai (1929), dove in entrambi si notano edifici solitari immersi in un paesaggio, nel primo caso sulla spiaggia di Forte dei Marmi e nel secondo in una campagna. In Paesaggio toscano di Casorati i casolari illuminati dalla luce del sole sono sparsi tra le coltivazioni sulle colline, rileggendo il vedutismo ottocentesco in chiave contemporanea. Arturo Tosi (Busto Arsizio, 1871 – Milano, 1956) è qui in veste di collezionista delle opere di Fontanesi: tra le opere della sua raccolta anche una delle versioni di Solitudine, che venne data in prestito nel 1926 alla Mostra dei macchiaioli toscani e dei paesisti piemontesi.
Di Fontanesi scrisse anche Margherita Sarfatti sul Popolo d’Italia nel 1922, definendolo “uno di quegli uomini provvidenziali che la natura ogni tanto crea, e la società perfeziona perché servano da ponte, da collegamento con la stirpe successiva, con la generazione nuova. La sua eredità, frutto di una vita errante, nutrita di passioni, di incontri e di molte città (Ginevra, Parigi, Londra, Torino, Tokyo), è un’eredità prolifica, l’esito di un tragitto fecondo: l’artista emiliano come l’ape trasportò il polline”.
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Antonio Fontanesi, Il mulino (1858-1859; olio su tela, 46,3 x 57,4 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Carlo Carrà, Capanni sul mare (1927; olio su tela applicata su cartone, 44 x 63 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Carlo Carrà, Pagliai (1929; olio su tela, 69 x 90 cm; Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi)
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Felice Casorati, Paesaggio toscano (1929 circa; olio su legno, 45 x 65,5 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris)
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A conclusione della mostra viene presentata la lettura critica di Fontanesi compiuta tra il 1952 e il 1954 da Roberto Longhi e Francesco Arcangeli. Quest’ultimo scrisse nel catalogo della mostra Pittori Emiliani dell’Ottocento di Palazzo dell’Archiginnasio di Bologna che “sarebbe fuorviante voler includere la pittura fontanesiana entro limiti regionali, o addirittura nazionali; perché essa appartiene di diritto al grande romanticismo europeo”. Arcangeli vide quindi nell’arte del maestro reggiano gli influssi dei romantici inglesi, quali Constable e Turner. Come affermò nel suo testo Lo spazio romantico, l’interpretazione romantica di Fontanesi nasceva dalla consapevolezza di un’altra idea di natura che si sviluppò fin dalla prima metà degli anni Cinquanta. “La natura non è più solo l’oggetto della visione, di una percezione empirica da fermare sulla tela. È un nuovo pensiero che muove da uno stato d’animo e al tempo stesso lo amplifica”; il significato della parola natura include “tutto l’irrazionale degli elementi del cuore”. Nei suoi ulteriori saggi, Arcangeli giunse a considerare, grazie all’apporto dell’arte informale, l’arte sia di Constable che di Turner come un’apertura verso la modernità. E nei cosiddetti ultimi naturalisti intravede, in una prospettiva romantica, un’estrema manifestazione delle radici della modernità. Ciò vale quindi per Ennio Morlotti (Lecco, 1910 – Milano, 1992), Pompilio Mandelli (Luzzara, 1912 – Bologna, 2006), Mattia Moreni (Pavia, 1920 – Brisighella, 1999), Sergio Romiti (Bologna, 1928 – 2000) e anche per Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), che pur non appartenendo agli ultimi naturalisti, deve al critico una lettura esistenziale che si accosta al naturalismo romantico. D’altra parte anche Roberto Longhi affiancò l’arte di Fontanesi, nel catalogo della XXVI Biennale di Venezia del 1952, ai romantici inglesi.
Non a caso è stato scelto di proporre per quest’ultima sezione il dipinto di Fontanesi dal titolo Tramonto sul Po a San Mauro, del 1878-1881, dove ben evidente è l’attenzione verso gli effetti luministici e l’intenzione di raffigurare uno spazio che tende all’infinito con forte impatto emotivo, ma soprattutto la tendenza a rendere predominante la funzione espressiva della materia e del colore, rifacendosi alla lezione turneriana. Pittura materica che fu predominante negli anni Cinquanta del Novecento, esemplificata in mostra da opere come Paesaggio sul fiume (Adda) o Studio di nudi (Bagnanti) di Ennio Morlotti, Paesaggio autunnale di Pompilio Mandelli, Composizione di Sergio Romiti, Sole e rovo di Mattia Moreni, dove gli strati di colore sembrano fuoriuscire dalla tela tanto sono spessi, densi e letteralmente impastati tra loro, per giungere all’utilizzo di materiali diversi, come in questo caso iuta lacerata, in Abstraction with Brown Burlap (Sacco) di Alberto Burri.
Completano il percorso espositivo due parentesi dedicate al ciclo di dipinti che Fontanesi realizzò tra il 1845 e il 1847 per il Caffè degli Svizzeri di Reggio Emilia e all’opera A Parella entrata a far parte della collezione di Giuseppe Ricci Oddi, nella cui Galleria di Piacenza è custodito un rilevante nucleo di opere dell’artista. Per il Caffè degli Svizzeri gli furono commissionati cinque dipinti da collocare sulle pareti del negozio: si tratta di lavori molto scenografici, con vedute naturalistiche, a cui si aggiunge l’elemento sublime romantico, ben riconoscibile soprattutto in Eremo dopo il temporale e ne La cascata. Solo recentemente è stata posta in discussione la tela raffigurante la Veduta del lago di Costanza con l’isola di Reichenau, fino a non molto tempo fa nota come Terrazza e giardino sul lago: è stato confermato infatti che la tela proviene dalla Svizzera ed è una veduta dal vero, in quanto rappresenta il lago di Costanza con l’isola di Reichenau visti dal castello di Wolfsberg a Ermatingen; identificazione compiuta grazie a due acqueforti inglesi ottocentesche che riproducono lo stesso soggetto e su cui è scritta la località.
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Ennio Morlotti, Paesaggio sul fiume (Adda) (1955; olio su tela, 55 x 80 cm; Parma, Collezione Barilla di Arte Moderna)
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Pompilio Mandelli, Paesaggio (1952; olio su tela, 75 x 80 cm; Collezione privata)
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Sergio Romiti, Composizione (1954; olio su tela, 55 x 75 cm; Bologna, UniCredit Art Collection, Quadreria di Palazzo Magnani)
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Mattia Moreni, Sole e rovo (1956; olio su tela, 170 x 100 cm; Collezione privata)
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Alberto Burri, Abstraction with brown burlap (Sacco) (1953; olio, vernici, applicazioni in seta su iuta, 85,7 x 100 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Antonio Fontanesi, Veduta del lago di Costanza con l’isola di Reichenau (1850 circa; olio su tela, 179 x 192 cm; Reggio Emilia, Collezione Fondazione Manodori)
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Antonio Fontanesi, La cascata (1850 circa; olio su tela, 179 x 192 cm; Reggio Emilia, Collezione Fondazione Manodori)
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Antonio Fontanesi, Ponte sul torrente (1850 circa; olio su tela, 179 x 192 cm; Reggio Emilia, Collezione Fondazione Manodori)
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Antonio Fontanesi, Eremo dopo il temporale (1850 circa; olio su tela, 179 x 192 cm; Reggio Emilia, Collezione Fondazione Manodori)
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Riguardo a Ricci Oddi, il collezionista amante della pittura paesaggistica dell’Ottocento si avvicinò all’arte di Fontanesi forse grazie all’esposizione di Torino del 1902 o alla presenza delle opere del maestro nel Museo Civico torinese nel 1911. Tuttavia, all’artista reggiano dedicò nel palazzo di famiglia un’intera sala con dipinti, disegni e acqueforti e nel 1925 arrivò a possederne oltre ottanta.
Al fine di delineare chiaramente la vita e l’arte del pittore, la rassegna propone inoltre una linea del tempo e mappe geografiche, compresi i suoi numerosi spostamenti da una città all’altra, e un percorso cronologico della sua rivalutazione critica mediante le più significative esposizioni.
Antonio Fontanesi e la sua eredità si propone come una rassegna piccola, ma ben pensata e articolata, dietro cui è stato compiuto un attento e accurato lavoro di ricerca condiviso tra i Musei Civici di Reggio Emilia e la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino. La suddivisione delle sezioni definite con appropriati titoli rende la mostra fruibile e comprensibile a tutti i visitatori, persino ai più piccoli, per i quali è stato pensato un apposito percorso didascalico.
Il catalogo a corredo della mostra comprende saggi di approfondimento su tutte le sezioni dell’esposizione, le opere in mostra accompagnate dalle relative schede (solo per i dipinti di Fontanesi) e una proposta per un’antologia critica. Strumenti ulteriormente utili per fornire una visione completa dei propositi della rassegna, già ben presentati e condivisi nel corso della visita.
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L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.