di
Federico Giannini
(Instagram: @federicogiannini1), scritto il 06/05/2019
Categorie: Recensioni mostre / Argomenti: Ottocento - Angelo Morbelli - Milano - Lombardia
Recensione della mostra “Morbelli. 1853-1919” alla GAM di Milano, dal 15 marzo al 16 giugno 2019.
Una delle conquiste più interessanti e feconde della mostra Morbelli. 1853 - 1919, la preziosa rassegna antologica che la Galleria d’Arte Moderna di Milano dedica ad Angelo Morbelli (Alessandria, 1853 - Milano, 1919) nel centenario della scomparsa, è il reperimento (con susseguente pubblicazione) d’una lettera inedita che il grande pittore alessandrino (ma milanese d’adozione) inviò al critico Gustavo Macchi, probabilmente agl’inizî del secondo decennio del Novecento (la missiva non è datata, ma si può ricavare una possibile collocazione temporale dai suoi contenuti). Nel testo, redatto con lo stile incalzante, colloquiale e fervido ch’era tipico delle lettere di Morbelli, l’artista riepiloga alcune delle caratteristiche fondamentali del divisionismo, il movimento di cui fu protagonista di spicco: “il cosiddetto Divisionismo”, scrive il pittore, “per me ha una legge come la prospettiva, è una risorsa come la velatura; dà certo una visione trasparente dovuta al fenomeno delle diverse lunghezze d’ondulazione che arrivano all’occhio, e mi pare di poterlo affermare (con una quasi sicurezza), dà una maggiore sensazione di... piani”. Questa rapida ma sugosa definizione che Morbelli dà dello stile che lo vide primeggiare è funzionale anche a farsi guidare tra le sale che compongono l’esposizione milanese: alla curatrice Paola Zatti (che peraltro, assieme allo studioso Niccolò Dell’Agnello, ha reso nota la lettera) si deve riconoscere il merito d’aver allestito una mostra che, pur nella sua brevità, procedendo con criterî assieme cronologici e tematici tocca pressoché tutti gli argomenti fondamentali dell’arte di Morbelli, con una selezione accurata, fondata sulle opere che compongono il nucleo morbelliano nelle raccolte comunali, e arricchita da numerosi prestiti d’opere capitali nel percorso del grande divisionista.
Che il legame tra Milano e Morbelli sia strettissimo, è noto: la mostra, in tal senso, fornisce occasione per ripercorrere non soltanto le tappe dell’arte del piemontese, ma anche quelle dell’interesse che la città ha nutrito (e continua a nutrire) nei suoi confronti. Un interesse che, certo, cominciò a delinearsi con qualche ritardo rispetto all’affermazione di Morbelli, che fino al 1912, malgrado i suoi crescenti successi e la presenza di sue opere in prestigiosi musei internazionali, non ebbe la soddisfazione di veder un proprio dipinto acquistato dalla città che lo aveva accolto adolescente, dove aveva studiato con alcuni grandi maestri, che aveva assistito al formarsi del suo indiscutibile talento, che lo aveva visto esporre e poi eccellere: il Comune ovviò solo sette anni prima della scomparsa dell’artista, garantendosi l’Inverno al Pio Albergo Trivulzio. Stando alla ricostruzione di Paola Zatti (che apre il catalogo della mostra), per vedere un’altra opera di Morbelli entrare a far parte delle pubbliche collezioni milanesi, fu necessario attendere il 1921, quando i suoi Giorni... ultimi! pervennero al Comune a seguito d’una donazione: è il 1921, peraltro, l’anno in cui la Galleria d’Arte Moderna viene spostata nella sua attuale sede, la Villa Reale. Altre opere giunsero alle raccolte civiche nel 1929 (Tempo di pioggia), nel 1931 (La Stazione Centrale di Milano) e nel 1935, quando il collezionista Luigi Beretta donò al Comune la sua collezione, della quale facevano parte le Guglie del Duomo e il Refettorio del Pio Albergo Trivulzio, oggi al Museo di Milano (istituto deputato a ospitare il lascito di Beretta, all’epoca in Palazzo Sormani e oggi in Palazzo Morandi). Risale invece al 1938 l’ultima acquisizione, la Venduta donata alla Galleria d’Arte Moderna dallo scultore Cesare Ravasco. Un breve riepilogo storico per ricordare come la GAM sia il luogo più adatto per accogliere una mostra pubblica su Angelo Morbelli.
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Una sala della mostra Morbelli. 1853 - 1919 alla GAM di Milano
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Una sala della mostra Morbelli. 1853 - 1919 alla GAM di Milano
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Una sala della mostra Morbelli. 1853 - 1919 alla GAM di Milano
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La rassegna s’apre sulla parete sinistra della prima sala, con uno straordinario confronto tra Angelo Morbelli e uno dei suoi primi maestri, il milanese Luigi Bisi (Milano, 1814 - 1886), noto soprattutto per le sue vedute d’interni: alla GAM è conservato un Interno del Duomo di Milano, per l’occasione spostato in mostra, onde essere esposto a fianco della Galleria di Vittorio Emanuele in Milano di Morbelli. L’accostamento non è soltanto funzionale a mostrare come quella “legge della prospettiva” alla quale l’artista d’Alessandria faceva cenno nella lettera a Macchi fosse una regola che Morbelli seguì fin dalle sue prime prove (aveva solo diciannove anni quando dipinse la Galleria Vittorio Emanuele), ma è anche una viva dimostrazione del modo in cui il pittore guardava alla realtà a lui contemporanea. Tra le due opere c’è uno scarto di tredici anni (del 1859 la veduta del Duomo di Bisi, del 1872 la Galleria del suo giovane allievo), ma l’acquerello di Morbelli, seppur ancora legato a una pittura tradizionale, palesa già elementi di spiccata modernità che contribuiscono ad aumentare il divario tra i due artisti: Morbelli, che all’epoca frequentava l’Accademia di Brera, propone un’angolatura più aperta rispetto a quella del maestro, con taglio fotografico che quasi anticipa il gusto odierno, di modo che lo sguardo dell’osservatore s’allarghi a includere anche la copertura della Galleria, costruita in vetro e acciaio, e già assurta a simbolo della metropoli in piena trasformazione (nel 1864 era stata aperta la Stazione Centrale, altro luogo della Milano moderna che affascinò Morbelli, e di lì a pochi anni la città avrebbe assistito alla fondazione del Corriere della Sera, all’apertura delle prime tramvie a vapore, all’inaugurazione della prima rete d’illuminazione elettrica d’Europa, entrata in funzione nel 1883). Un soggetto radicalmente innovativo (“non è propriamente un interno, ma nemmeno un edificio ripreso dall’esterno nella sua interezza”, scrive in catalogo Alessandro Oldani: “piuttosto si tratta di un involucro di ferro e vetro nel quale penetra la luce e nel quale interno ed esterno si confondono e si annullano a vicenda”) che sarebbe presto divenuto campo di sperimentazione privilegiato per i fotografi.
Senza osservare la parete opposta (ci s’arriverà tornando indietro dalla seconda sala), si tiene la sinistra e s’arriva nella sezione dedicata ai primi interessi di Morbelli per le tematiche sociali, e in particolare per le condizioni degli anziani, un filone che l’artista piemontese avrebbe continuato a praticare per tutta la sua carriera. Un’opera come la succitata Giorni... ultimi! ricopre un’importanza essenziale nel percorso di Morbelli, per diverse ragioni: si tratta, intanto, della prima sua opera ambientata al Pio Albergo Trivulzio, l’antico istituto fondato nel 1766 per volere del principe Antonio Tolomeo Gallio Trivulzio e che fin dalla sua apertura ha avuto la funzione di centro d’accoglienza per i poveri della città, in particolare per anziani e infermi (un ruolo che continua a svolgere anche al giorno d’oggi). All’epoca di Morbelli, il Pio Albergo Trivulzio era ancora ospitato nel Palazzo di Antonio Tolomeo, situato in Contrada della Signora (l’istituto sarebbe stato trasferito nel 1910 nella sede attuale, sulla via per Baggio, in un edificio appositamente costruito per rispondere a più moderni standard sanitarî): divenne luogo in cui Morbelli era uso recarsi per documentare una realtà che fino a quel momento non aveva ancora goduto di dignità artistica, per descrivere i risvolti più mesti e drammatici della nascente società industriale, con una lucidità che, all’epoca, conosceva pochi pari, e che aggiornava con sguardo moderno, indagatore e impietoso, benché compartecipe, una tradizione lombarda che vedeva in artisti come Molteni o Domenico Induno i più diretti precedenti. Quando Morbelli attese alla realizzazione di Giorni... ultimi! aveva trent’anni: risale al 1883 l’esposizione del dipinto a Brera, che gli valse il Premio Fumagalli e che gli procurò critiche favorevoli. E il Pio Albergo Trivulzio divenne luogo-simbolo dell’arte di Morbelli, presente nei suoi dipinti fino alle fasi estreme della sua attività.
La seconda sala della mostra è tutta dedicata al tema della vecchiaia, esaminata da Morbelli nell’amara dimensione dell’abbandono e dell’isolamento ai margini della società moderna, e con uno sguardo che si sofferma a prendere in considerazione anche tutti gli aspetti collaterali di tale condizione, a cominciare dalla morte protagonista de Il viatico, dipinto esposto per la prima volta nel 1884 a Brera, anch’esso ambientato al Pio Albergo Trivulzio, e descrizione della visita d’un sacerdote all’ospizio per somministrare il sacramento dell’estrema unzione a un ospite morente, sotto lo sguardo addolorato degli altri vecchi che trovavano accoglienza nell’istituto. Gl’intenti di Morbelli divennero programmatici all’inizio del Novecento, quando l’artista allestì uno studio nel Pio Albergo Trivulzio (era il 1902) col fine di produrre un ciclo che considerasse tutti gli aspetti della vita nella casa di riposo milanese: nacque così, nel 1903, il celeberrimo Poema della vecchiaia, peraltro riunito nel 2018, in una mostra dedicata alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia, per la prima volta dopo quella ch’era stata fino ad allora la sua unica esposizione pubblica, nell’ambito della quinta Biennale di Venezia, tenutasi nel 1903. Di quel ciclo esemplare, eccezionale capolavoro del divisionismo, sono presenti alla GAM Il Natale dei rimasti, che affronta il doloroso tema della solitudine, e Mi ricordo quand’ero fanciulla, dedito invece alla nostalgia e ai ricordi: in mostra è peraltro presentato affiancato a un dettagliato studio su carta quadrettata, custodito in collezione privata, che rappresentò per l’artista la prova finale prima della traduzione definitiva su tela. Questo confronto è uno dei punti salienti della mostra, e lodevole è anche l’inserimento, al centro della sala, d’una scultura di Ernesto Bazzaro (Milano, 1859 - 1937), intitolata Esaurimento, presentata anch’essa con successo alle mostre milanesi, e utile corollario che contestualizza la produzione morbelliana nel quadro d’un interesse per i temi sociali che aveva conquistato molti artisti.
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Luigi Bisi, Interno del Duomo di Milano (1859; olio su tela, 109,9 x 83,2 cm; Milano, Galleria d’Arte Moderna)
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Angelo Morbelli, La Galleria Vittorio Emanuele in Milano (1872; acquerello su cartone, 84,50 x 68 cm; Monza, collezione Roberto Pancirolli)
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Angelo Morbelli, Giorni… ultimi! (1882-1883; olio su tela, 98 x 157,5 cm; Milano, Galleria d’Arte Moderna)
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Angelo Morbelli, Il Viatico (1884; olio su tela, 112 x 200 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
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Angelo Morbelli, Il Natale dei rimasti (1903; olio su tela, 61 x 110 cm; Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro)
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Angelo Morbelli, Mi ricordo quand’ero fanciulla (Entremets) (1903; olio su tela, 71 x 112 cm; Tortona, “Il Divisionismo” Pinacoteca Fondazione C. R. Tortona)
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Angelo Morbelli, Mi ricordo quand’ero fanciulla, confronto tra il dipinto e lo studio
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Si torna alla sala da cui il percorso prende avvio, ma si guarda alla parete destra, che presenta al pubblico le Guglie del Duomo e la Stazione Centrale, due dipinti realizzati in due momenti ben distinti della carriera di Morbelli (il primo è del 1915-1917 mentre il secondo rimonta al 1899), ma accostati in quanto utili a reintrodurre i temi della luce e della prospettiva che costituiscono buona parte della struttura portante della mostra. La presenza d’opere dedicate alla stazione dei treni (quella in mostra è una seconda versione d’un dipinto che il pittore aveva presentato all’Esposizione di Brera del 1887, e che oggi è conservato a Roma, presso la sede centrale delle Ferrovie dello Stato) è anch’essa riflesso della costante attenzione che Morbelli riservava alla realtà della sua epoca, ma non solo: fu a partire dagli anni Ottanta che l’artista, pur mantenendo saldo il rigoroso impianto prospettico delle sue composizioni, come del resto accade anche nella Stazione Centrale, prese ad abbandonare una pittura aderente al dato naturale (ne è esempio la stessa Galleria Vittorio Emanuele presentata in apertura di percorso) per sperimentare nuovi effetti di luce e innovative applicazioni delle teorie sulla percezione dei colori (“Bisogna proprio disfarsi”, avrebbe scritto nel 1912 nel suo quaderno La via crucis del divisionismo, una serie di appunti sulla tecnica dei suoi quadri, “dell’abitudine di considerare i colori solo come tinte, ma bensì come luci più o meno pure, p.e. uno smeraldo puro, più vibrante che un altro verde, o lo stesso, chiaro ma misto”). In tal senso, l’esposizione delle Guglie del Duomo a fianco della Stazione Centrale è espediente funzionale a far risaltare lo sperimentalismo di Morbelli prima d’approfondirlo con le sezioni successive: le Guglie del Duomo affrontano pertanto un tema iconografico classico della pittura milanese, apportando però innovazioni tanto nel taglio scelto dall’artista (un roseto e un tetto stanno in primo piano, e le guglie appaiono dietro) quanto negli effetti luministici, con i cromatismi vivi che esaltano il profilo dei pinnacoli della cattedrale milanese, che risaltano dietro una lieve e sottile coltre di nebbia resa con quella pennellata scomposta ch’era già diventata cifra stilistica tipica del pittore.
La luce è protagonista di due opere come Incensum Domino e Solatium miseris, che aprono la terza sala e ripropongono il tema delle vedute d’interno a molti anni di distanza dalle opere giovanili (Incensum Domino è dei primi anni Novanta, mentre Solatium miseris è dipinto dell’ultima attività di Morbelli). L’artista ambienta i due quadri all’interno dello stesso edificio, la chiesa di Santa Maria dei Miracoli a Milano: nel più antico dei due dipinti, esposto a Milano nel 1892, colpisce la luce del sole che penetra dai finestroni e si rifrange sul pulviscolo atmosferico in raggi che investono le figure dei fedeli inginocchiati in preghiera, creando così un bilanciatissimo contrasto di parti illuminate e parti in ombra (ma non solo: è da notare il magistrale effetto della luce che fa brillare le tarsie sul pavimento in primo piano). Gli stessi effetti, benché con una tavolozza più scarna, una pennellata più rarefatta e un punto di vista allargato, ispirano Solatium miseris che, al pari del dipinto realizzato circa quindici anni prima, ottenne consensi da parte della critica, che non poté far a meno di rilevare il pathos, quasi mistico, che le due opere erano in grado di suscitare. Nel suo saggio in catalogo, la studiosa Giovanna Ginex individua in Solatium miseris un “preciso punto d’arrivo” della pittura divisionista di Morbelli, e lo vede quasi come summa delle osservazioni dell’artista, un sunto delle quali, tratto da un non meglio precisato appunto serbato in un archivio privato, è riportato nel testo della storica dell’arte: “Tenere i colori davanti sì bassi”, scriveva Morbelli, “ma presi con una luce se non massima, nemmeno minima, e digradando entro la chiesa, i colori si mescolano, si aerizzano coi fondi allontanati... non così i colori riproducenti la luce e irradianti, essi debbono, mi pare, prodursi puri il più possibile. / Tener tutto il dipinto a grandi masse e nel mistero, i dettagli debbono scomparire, i confini confusi, figure idem, deve infine predominare il chiaro oscuro-finestre! e penombra chiesa!!! (curar bene la composizione, prima di fissare il carbone, da non aver pentimenti)”. A chiudere il cerchio sottolineando il valore delle sperimentazioni di Morbelli, è Alla sorgente tiepida, dipinto di Vittore Grubicy de Dragon (Milano, 1851 - 1920), amico dell’artista alessandrino e come lui impegnato nell’opera di rinnovamento dell’elemento luminoso nella pittura di paesaggio, come dimostra il luminismo radioso e dagli accenti narrativi che permea il suo dipinto, anch’esso risalente agli anni Novanta.
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Angelo Morbelli, Le guglie del Duomo (1915-1917; olio su tela, 50 x 80 cm; Milano, Palazzo Morando – costume, moda, immagine)
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Angelo Morbelli, La stazione centrale di Milano nel 1889 (1889; olio su tela, 58 x 100 cm; Milano, Galleria d’Arte Moderna)
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Angelo Morbelli, Incensum domino! (1892-1893; olio su tela, 80,3 x 119,9 cm; Tortona, “Il Divisionismo” Pinacoteca Fondazione C. R. Tortona)
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Angelo Morbelli, Solatium miseris (1914; olio su tela, 130 x 199 cm; Milano, collezione privata)
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Il paesaggio, peraltro, è protagonista delle opere che Morbelli realizzò nel suo refugium della Colma, frazione di Rosignano Monferrato dove l’artista era solito soggiornare per concedersi momenti di riposo in campagna: proprio alla Colma, scrive nel catalogo Aurora Scotti, Morbelli “mise a punto la nuova tecnica divisionista esercitandosi en plein air, in un percorso graduale di schiarimento della gamma cromatica, attraverso la scelta di episodi di vita e scorci paesaggistici nelle immediate vicinanze della propria dimora”: un percorso che trova un apice ne La prima lettera, opera del 1890 che raffigura la giovane moglie dell’artista, Maria Pagani, intenta a leggere una missiva nel frondoso giardino della Colma (e forse proprio per l’intimità che traspare da quest’opera, uno dei capolavori della poetica degli affetti dell’artista piemontese, Morbelli risolse di non esporla in pubblico come pensava invece di fare inizialmente, ipotizzando d’inviarla alla Triennale di Brera). È questo un dipinto dove un Morbelli trentasettenne sembra finalmente giungere agli effetti di luce desiderati: l’artista modella la figura della consorte in un delicato controluce (s’osservino i bagliori sulle guance e sulle mani) chiuso ai lati dalle fronde degli alberi che fanno quasi da cornice. Risulta evidente come la tenuta della Colma non fosse solo luogo di svago, ma anche di sperimentazione: qui, tra i campi monferrini, il pittore ebbe modo di cimentarsi col variare delle stagioni, delle condizioni atmosferiche, dei momenti della giornata, come ben testimoniano due dipinti che la mostra con merito affianca, ovvero il già citato Tempo di pioggia e il precedente Giardino alla Colma, realizzati a cinque anni di distanza l’uno dall’altro (il primo è del 1916, del 1911 il secondo), ma nello stesso luogo (cambia leggermente il punto di vista), e con l’ormai acquisita pennellata divisa che sperimenta luci e toni differenti in una giornata di brutto tempo e con il sole che illumina il giardino dando luogo a vibranti effetti luministici (si notino i cespugli in mezzo alle siepi) che l’artista delinea con meticolosa accuratezza.
Animata dalla volontà di sperimentare è anche una delle opere più crude di Morbelli, Pall Mall Gazette (Venduta!), esposta per la prima volta a Londra nel 1888: con questo dipinto il pittore offrì una toccante testimonianza sul tema della prostituzione minorile ch’era stato oggetto d’un’inchiesta del quotidiano Pall Mall Gazette (di qui il titolo dell’opera) giusto in quel periodo, e sul quale l’artista tornava per la seconda volta, a distanza di quattro anni dalla prima redazione (avrebbe poi eseguito una terza versione del dipinto nel 1897). Protagonista è una ragazza giovanissima, adolescente, che s’abbandona mogia e sconsolata su di un letto, le braccia stese lungo i fianchi, i capelli scompigliati, lo sguardo rassegnato, spento e quasi privo di vita. La mestizia dei suoi occhi (e ch’è indice eloquente dell’affettuosa partecipazione di Morbelli, che s’occupava degli ultimi e degli emarginati perché veramente in pena per loro) contrasta col bianco abbacinante delle lenzuola, simbolo del candore e dell’innocenza perduti. I tempi del divisionismo erano ancora da venire, ma Morbelli eseguì alcuni interessanti esperimenti sull’uso del colore (ben chiariti da Gianluca Poldi in catalogo): per la sua Venduta, il pittore provò una preparazione a pastello, ripassando poi il tutto con tempera stesa in pennellate larghe e dense, probabilmente perché insoddisfatto delle prime fasi del lavoro, e pertanto forse desideroso di raggiungere una maggior luminosità con la tempera. Figure femminili più rassicuranti sono quelle che si trovano nei dipinti sul tema della maternità, peraltro posti in fruttuoso dialogo con una Aetas aurea di Medardo Rosso (Torino, 1858 - Milano, 1928) per sottolineare le similarità nella resa degli affetti: un’opera come Alba felice, di collezione privata, è impostata su di un taglio fotografico simile a quello di Venduta, e di nuovo protagonista è il controluce in cui si muovono le figure della madre e del suo bambino al momento del risveglio, mentre i bagliori delle prime luci del mattino cominciano a manifestarsi oltre le finestre facendo brillare i tessuti delle tende e donando vitalità a tutta la scena. È questo uno dei punti più alti della prima fase della carriera di Morbelli, una vetta cui l’artista era giunto per gradi: impossibile non citare, per esempio, i contrasti di luce e ombra in Amor materno, opera di poco precedente ma forse ancor più intima di Alba felice (sarà opportuno rammentare che l’artista, per giungere a un risultato soddisfacente, si fece consigliare dalla moglie per una più naturale definizione delle pose).
S’arriva infine all’ultima sala, dove la produzione matura di Morbelli è indagata sulla via che avrebbe condotto la pittura italiana verso il simbolismo. Lo stesso Morbelli sembra non essere immune a queste nuove sensibilità: interessante in tal senso è Il ghiacciaio dei Forni, un brano di paesaggio eseguito durante un soggiorno a Santa Caterina Valfurva, in Valtellina, nel 1910. Morbelli, con tutta probabilità, intese proporre un paesaggio che fosse anzitutto evocativo, e per tal ragione optò per un taglio inedito per un ghiacciaio, con un primo piano ravvicinato su di una distesa innevata tagliata per obliquo, mentre le cime vengono lasciate lontane, sullo sfondo, col risultato che i tipici rapporti tra i colori nelle rappresentazioni di ghiacciai risultino scombinati (tutti avranno presente il taglio più tradizionale per una montagna, con le rocce scure nella parte inferiore del dipinto o della fotografia, e le cime innevate sopra, col quale Morbelli stesso si cimentò, per esempio in Ave Maria, opera però non esposta alla GAM: qui tuttavia l’artista, arditamente, compì l’operazione esattamente inversa). Si chiude con l’emozione pura, intima e malinconica di Sogno e realtà, noto anche come il Trittico della vita, un dipinto del 1905, meditativo e intriso di nostalgia, che può essere a buon diritto ritenuto una sorta d’appendice o di chiusura del Poema della vecchiaia. Nei due pannelli laterali si collocano le solitarie figure di due poveri anziani rischiarati da lievi bagliori che illuminano a mala pena i loro volti lasciati in controluce: siedono in un interno domestico, lei colle mani giunte sul petto, mentre contempla un gomitolo, e lui che par quasi assopito. Una coppia, giunta alle fasi estreme dell’esistenza: assorti, cupi e scuri in volto, pensosi, ripetono a lenta cadenza i loro gesti quotidiani mentre si lasciano alle spalle il tempo che scorre inesorabile, e che diventa ulteriore motivo di riflessione di Morbelli. Al centro, un riquadro ci mostra una loro immagine da giovani: sono in piedi davanti a una balaustra, osservano il cielo stellato, lei poggia la testa sulla spalla di lui, si sussurrano parole colme di dolcezza, si abbracciano. È la dimensione del ricordo, dell’età felice che non può tornare, e la presa d’atto che il futuro riserva altre e più amare situazioni, ed è, si potrebbe pensare, la condanna degli ospiti del Pio Albergo Trivulzio, obbligati a vivere rammentando il passato e il vissuto per rendere meno amaro, triste e sgradevole un presente fatto d’angoscia e solitudine. Gioia e sofferenza, felicità e delusione s’incontrano a render chiaro e manifesto il titolo dell’opera. La trama della vita.
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Angelo Morbelli, La prima lettera (1890-1891; olio su tela, 106,5 x 78,5 cm; Milano, collezione privata)
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Angelo Morbelli, Tempo di pioggia (dopo la pioggia) (1916; olio su tela, 33,5 x 50 cm; Milano, Galleria d’Arte Moderna)
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Angelo Morbelli, Giardino alla Colma (1911; olio su tela, 36,5 x 58 cm; Milano, Museo dei Cappuccini)
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Angelo Morbelli, Pall Mall Gazette (Venduta!) (1887-1888; tempera su tela, 70 x 120 cm; Milano, Galleria d’Arte Moderna)
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Angelo Morbelli, Alba felice (1892-1893; olio su tela, 50 x 103 cm; Milano, collezione privata)
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Medardo Rosso, Aetas aurea (Age d’or; Età dell’oro; Maternità) (fusione postuma di Francesco Rosso su un modello del 1886; cera su gesso, 43 x 44 x 38,5 cm; Milano, Galleria d’Arte Moderna)
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Confronto tra l’Amor Materno di Morbelli e la Aetas Aurea di Medardo Rosso
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Angelo Morbelli, Il ghiacciaio dei forni (1910-1912; olio su tela, 75 x 94 cm; Milano, collezione privata)
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Angelo Morbelli, Sogno e realtà (Trittico della vita) (1905; olio su tela, tre pannelli, 112 x 80 cm, 112 x 79 cm, 112 x 80 cm; Milano, collezione Fondazione Cariplo)
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La rassegna della GAM non ha certo la pretesa d’essere onnicomprensiva (mancano molte opere importanti: si pensi ad Asfissia, a Battello sul lago Maggiore, o alle opere che narrano le condizioni di lavoro nelle risaie piemontesi), ma ciò non ha impedito alla curatrice di ordinare una mostra ricca e puntuale: la figura di Angelo Morbelli ne esce come straordinaria protagonista del suo tempo, e la rassegna, oltre a comporre un rapido ma significativo affresco della pittura di fine Ottocento in Italia, attraverso un impianto solido ben sottolinea la grande modernità di un artista che, come scrive Paola Zatti, “ha contribuito in maniera determinante all’evoluzione della pittura divisionista attraverso una sperimentazione tecnica consapevole e meditata; perché ha ideato, con fantasia, tagli compositivi inediti e destinati a far riflettere le generazioni successive; perché è riuscito a rappresentare alcuni scorci di vita con un realismo secco, privo di retorica, in immagini così piene del loro tempo da costituire alcuni tra i documenti visivi più efficaci della sua epoca”. Certo, la statura di Angelo Morbelli era già ben nota (ed è poi necessario aggiungere che era già stata pienamente compresa anche dai suoi contemporanei), e non è questa la prima mostra monografica dedicata al grande divisionista (anche se una rassegna nella sua Milano mancava da settant’anni), ma la raffinatezza del percorso di questa mostra del centenario, i brillanti accostamenti, gli apparati chiari, funzionali e adatti anche a un pubblico ampio, l’aver costruito la rassegna attorno alle opere della collezione permanente rievocandone anche la storia, l’acquisizione della lettera inedita, il valore dell’agile catalogo, sono tutti elementi che concorrono a fare di Morbelli. 1853 - 1919 un punto di passaggio importante nell’ambito degli studî sull’artista e sul divisionismo tutto.
S’aggiunga poi che uno dei leitmotif dell’esposizione (anzi, si tratta forse del tema che lega tutte le sale) è costituito dal rapporto tra Morbelli e Milano, che viene seguito lungo tutto l’arco della carriera del pittore, dalla formazione con Luigi Bisi fino alle opere sperimentali della maturità: un altro elemento che valorizza l’esposizione, secondo una duplice prospettiva (le trasformazioni della poetica di Morbelli raccontate attraverso gli scorci della città e i successi dell’artista, che quasi sempre mossero dal capoluogo lombardo, e in un certo senso anche la storia di Milano narrata dal pittore). Rimane, in ultimo, da domandarsi se questo legame così forte con la città, il contesto in cui la mostra è stata allestita, il suo racconto piacevole e ben organizzato, e ovviamente il fascino indiscutibile della pittura di Angelo Morbelli, saranno elementi sufficienti a far sì che l’arte del grande alessandrino possa finalmente entrare nelle corde d’un pubblico ampio, come meriterebbe.
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L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).