La mostra di Ai Weiwei si sviluppa sui due piani di Palazzo Fava a Bologna. Al primo piano una variegata selezione di opere dell’artista cinese: si passa dall’azione di rompere un antico vaso Ming ad un altro vaso Ming con sopra dipinto il logo della Coca Cola. E poi ancora, sotto una seconda teca, i cocci di un altro vaso rotto. Riflessioni sulle contraddizioni globali e capitalistiche della cultura cinese e della necessità di ripensare e azzerare il rapporto con una tradizione troppo ingombrante. Questa prima parte dell’esposizione appare poco incisiva e troppo legata alla rielaborazione dei codici formali e concettuali dell’arte occidentale dell’ultimo secolo. La mostra non restituisce la profondità e l’intensità dei temi di cui l’artista dichiara di volersi occupare.
Troviamo gli accumuli delle biciclette, simbolo della società cinese, e che in questo caso vengono assemblate in modo stilizzato e realizzate tutte con materiale dorato. La moltitudine di persone, che caratterizza la cultura cinese, viene resa in maniera fredda, inesorabilmente immobile, e in una modalità troppo debitrice della rielaborazione del ready made con artisti storici come Arman e Marcel Duchamp. Nella prima parte della mostra grandi quadri, realizzati con i famosi mattoncini del Lego, la fanno sicuramente da padroni. Qui troviamo ancora una volta la rielaborazione di famosi dipinti provenienti dalla storia e dalla cultura occidentale che l’artista ripropone con alcune variazioni. Per esempio la Gioconda viene riprodotta con i Lego e mantenendo impressa la vernice dei recenti atti vandalici realizzati da alcuni ambientalisti. In un grande quadro viene inserita una gruccia simbolo degli aborti clandestini, o l’artista che si sostituisce ad alcuni personaggi nelle scene rappresentate nei quadri.
Tutte queste rielaborazioni appaiono deboli se confrontate con l’imprevedibilità con cui queste stesse tematiche, si presentano nella nostra quotidianità e nei fatti di informazione. Abbiamo chiesto direttamente allo stesso artista se l’arte che vuole affrontare alcuni temi importanti debba oggi limitarsi alla “rappresentazione”, o debba anche mettere in campo concrete forme di resistenza, pena la totale marginalità. È sufficiente rappresentare la Gioconda sfregiata dagli ambientalisti per affrontare oggi il problema climatico in modo efficace? Senza nemmeno restituire il clamore mediatico che l’azione degli stessi ambientalisti ha provocato nella realtà? Rielaborare prevedibili icone della cultura pop, significa essere un artista “attivista” o protestare veramente contro qualcosa? Quando poi sappiamo che queste stesse opere diventeranno merce da vendere per centinaia e centinaia di migliaia di euro?
Se il fine è solo “far riflettere” sono molto più efficaci alcuni tremendi fatti di cronaca, come i bimbi sepolti nella villetta borghese o la freschezza e la vitalità delle azioni ambientaliste che ci colgono nel nostro quotidiano con modalità completamente imprevedibili e molto più incidenti. Nell’arte del nostro tempo non basta più rappresentare un problema per affrontarlo. Viviamo un presente complesso in cui tutti noi siamo produttori e consumatori di un’enorme quantità di informazioni. Questo ambiente saturo e imprevedibile rende la realtà più forte, significativa ed efficace, di qualsiasi fiction possiamo trovare sul piedistallo.
Al secondo piano di Palazzo Fava la mostra migliora in quanto alcune problematiche vengono affrontate in modo più chiaro e frontale. Come quando l’artista ha denunciato il crollo di una scuola in Cina che il governo cinese voleva nascondere e insabbiare. Sembra che dopo questo fatto l’artista abbia iniziato ad avere problemi con il governo cinese, fino ad una sua detenzione di ottanta giorni culminata con il suo rilascio. Al secondo piano le vicende drammatiche dell’immigrazione diventano un innocuo decoro da carta da parati e alcune scene di guerra diventano i motivi per piatti di porcellana e vasi antichi.
Interessante in queste opere come fatti drammatici si possano effettivamente mimetizzare nella nostra quotidianità; ma anche in questo caso sembra che l’artista contemporaneo arrivi sempre un po’ in ritardo rispetto ad un bombardamento di informazioni a cui, fuori dai musei siamo costantemente sottoposti. Rispetto ai temi e le aspettative di cui il lavoro di Ai Weiwei viene costantemente caricato dal sistema dell’arte nazionale e internazionale, la mostra appare deludente. Anche le famose foto dove l’artista mostra il dito medio verso cose e istituzioni del potere dominante appaiono francamente troppo ingenue nel affrontare tematiche complesse che non possono essere risolte con un semplice dito medio.