Con la caduta del governo Conte II e con l’incarico di formare un nuovo governo che il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha affidato all’ex presidente della BCE, Mario Draghi, si aprono anche le ipotesi sul potenziale nuovo ministro dei beni culturali. Il Collegio Romano al momento sembra essere escluso dalla maggior parte dei totoministri che vengono pubblicati sulla stampa, un po’ perché, nonostante la retorica che circonda il patrimonio culturale, si tratta di un ministero a cui giornali e opinione pubblica riservano solitamente poca considerazione, e un po’ perché si rincorrono voci di una riconferma di Dario Franceschini nelle vesti di titolare del dicastero (sono pochi i ministri per i quali si vocifera di un rinnovo, anche se sono ministeri importanti: si parla, per esempio, di Luciana Lamorgese all’interno e di Lorenzo Guerini alla difesa). Il campo però è aperto a tutte le ipotesi. Certo, per la cultura il ricordo più recente di un governo tecnico (quale sarà presumibilmente quello formato da Mario Draghi, ammesso che le consultazioni producano risultati utili: i condizionali, in questa fase, sono tutti d’obbligo) non è positivo: il ministro della cultura dell’ultimo governo tecnico che si è visto in Italia (il governo Monti, 2011-2013), Lorenzo Ornaghi, non ha certo lasciato il segno, e non era neppure del settore.
Il tempo che intercorre tra la caduta di un governo e la formazione di un nuovo consiglio dei ministri è tempo di bilanci. L’attuale ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, nel governo Conte II era al suo secondo mandato come titolare del Collegio Romano: il primo è stato dal 22 febbraio 2014 al 1° giugno 2018, sotto i governi Renzi e Gentiloni. Il secondo mandato è invece cominciato il 5 settembre 2019, dopo la parentesi di Alberto Bonisoli, ministro della cultura del governo giallo-verde. Franceschini è dunque, a oggi, il più longevo ministro della cultura della storia repubblicana. Su queste pagine analizzato il suo primo mandato, dalla A alla Z, all’indomani della sua nomina sotto il governo giallo-rosso. Vediamo dunque di fare adesso un ripasso su quello che Franceschini ha fatto in questo ultimo anno e mezzo.
Dario Franceschini |
Franceschini non ha risparmiato neanche il blocco dell’esportazione delle opere con valore inferiore ai 13.500 euro, stabilito nell’estate del 2018 da Bonisoli e rimosso a settembre 2020 da Franceschini. E ancora, sul fronte “valorizzazione”, Franceschini ha ripristinato anche le domeniche gratuite come lo erano prima di Bonisoli: una per mese (il predecessore aveva invece sospeso l’iniziativa nei mesi estivi creando piuttosto una “settimana della cultura”). In pratica, di quanto fatto da Bonisoli, l’unica iniziativa rilevante rimasta in piedi è l’ingresso a 2 euro nei musei statali per i giovani sotto i 25 anni.
Il Collegio Romano, sede del Ministero dei Beni Culturali. Ph. Credit Finestre sull’Arte |
Vale la pena soffermarsi un po’ più a lungo sulla seconda riforma Franceschini (con la prima ci riferiamo a quella avviata nel 2014 e poi aggiustata qua e là per tutto il primo mandato). In che modo è stato riorganizzato il MiBACT? Nel gennaio del 2020 sono stati creati sette nuovi musei autonomi, ovvero Palazzo Venezia e Vittoriano a Roma (qui è possibile leggere una lunga intervista alla neo-direttrice Edith Gabrielli, pubblicata proprio oggi, nella quale si fa il punto su come sarà il nuovo istituto, che causa pandemia ancora deve rivelarsi al pubblico), la Pinacoteca Nazionale di Bologna, il Museo Nazionale di Matera, Palazzo Reale a Napoli, il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, il Museo Nazionale d’Abruzzo e il Parco Archeologico di Sibari), e poi ancora sette nuove soprintendenze, l’inedita Soprintendenza del mare con tre sedi (Taranto, Napoli e Venezia) destinata alla tutela del patrimonio subacqueo, il ripristino dei segretariati regionali, la creazione della Direzione Generale Creatività Contemporanea (con competenze sull’arte contemporanea) e della Direzione Generale Sicurezza del Patrimonio Culturale.
La nuova riforma ha inoltre istituito l’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital Library, che si occuperà di promuovere programmi di digitalizzazione del patrimonio culturale. Non è stato minimamente toccato uno dei punti più discussi della riforma Franceschini I, ovvero la divisione delle competenze su tutela (rimaste alle soprintendenze) e valorizzazione (in capo ai musei). Questa divisione ha prodotto dei vulnus che ancora oggi si fanno sentire (è diventata, per esempio, più macchinosa l’attività di catalogazione dei reperti provenienti dagli scavi archeologici, giusto per fare un esempio), e questo senza contare le soprintendenze che vivono ancora in grave difficoltà (su questa rivista abbiamo documentato i casi di Novara e Alessandria e di Napoli).
Palazzo Reale, sede della Soprintendenza di Napoli. Ph. Credit Miguel Hermoso Cuesta |
Nei corridoi spesso si sente chiamare Franceschini “ministro del turismo” o “ministro dello spettacolo”, proprio perché nell’ultimo anno e mezzo la sua azione di ministro si è concentrata soprattutto su questi settori. Il turismo, in particolare, è sempre stato alla testa delle priorità di Franceschini, come da lui ribadito in più occasioni, sia prima che dopo la pandemia di Covid-19. Nel corso di un’audizione dell’ottobre del 2019, dichiarava che la sua azione avrebbe puntato soprattutto sul turismo diffuso, quello dei luoghi minori, dei piccoli borghi disseminati nel territorio. Ma non solo: la linea del ministero era quella di moltiplicare gli attrattori turistici internazionali. Una delle prime mosse in tal senso è stato l’avvio di una campagna per valorizzare i luoghi della cultura poco noti, di cui non si è potuto purtroppo apprezzare l’efficacia in quanto avviato solo un paio di mesi prima dello scoppio della pandemia.
Che Franceschini voglia però puntare sul turismo diffuso e sul turismo con capacità di spesa è evidente anche dalle sue dichiarazioni a pandemia in corso: “bisogna valorizzare quei luoghi”, ha dichiarato l’estate scorsa il ministro nel corso di un seminario della fondazione Symbola, “che hanno la possibilità di attrarre un turismo colto, intelligente e rispettoso. Non credo che la prospettiva nostra sia di tornare ai difetti che avevamo prima. Certo, per la nostra economia e per le nostre imprese turistiche dobbiamo collaborare affinché torni al più presto possibile il turismo internazionale, ma dobbiamo lavorare per indirizzarlo verso un turismo colto e sostenibile con capacità di spesa, rispettoso delle bellezze naturali, capace di capire la fragilità dei luoghi che attraversa. Questo è un turismo di cui ha esattamente bisogno l’Italia, quindi investire sul patrimonio materiale e immateriale, tutelarlo, valorizzarlo e farlo diventare una fonte di crescita”. Ed è in questa direzione che preme la continua insistenza del ministro sull’alta velocità: secondo Franceschini, infatti, il turismo diffuso e colto può essere praticabile solo se sostenuto da un’adeguata rete infrastrutturale. Quello che però al momento manca sembra essere una strategia definita, una programmazione: al momento non siamo andati molto oltre le dichiarazioni d’intenti, complice anche la pandemia. Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi. Soprattutto se il ministro sarà riconfermato.
L’azione di Franceschini si è poi concentrata molto sul FUS, il Fondo Unico dello Spettacolo, più volte rifinanziato e oggetto di importanti trasferimenti in periodo pandemico. Sul fronte ristori occorre dar atto a Franceschini di non aver fatto poco, almeno per lo spettacolo, meno invece per la riapertura dei cinema e dei teatri, che ancora languono con le porte chiuse e chissà quando potranno tornare ad accogliere nuovamente il pubblico.
Visitatori alla Villa Farnesina di Roma in periodo pre-Covid |
Uno dei “pallini” del ministro Franceschini (specialmente nel periodo pre-Covid) è la diplomazia culturale: il ministro non ha mai fatto mistero di ritenere le opere d’arte conservate nei nostri musei degli oggetti utili per rafforzare le relazioni internazionali, ricevendo per questo molte critiche dagli addetti ai lavori (soprattutto in merito alla vicenda dei prestiti delle opere di Leonardo da Vinci per la grande mostra del Louvre 2019). Su questo punto, sempre nell’audizione dell’ottobre 2019, il ministro aveva specificato che comunque “c’è una soglia di fronte alla quale la politica deve fermarsi e davanti alla quale io mi fermerò sempre: la valutazione scientifica sulla trasportabilità o meno di quest’opera che possono fare soltanto gli esperti (e ne abbiamo tanti). Di fronte a questo parere io mi fermo, anche se c’è una relazione internazionale”. Nel caso in cui l’Italia investa in diplomazia culturale (“nell’ambito della quale siamo una superpotenza”, secondo il ministro), aveva dichiarato Franceschini presentando alle commissioni cultura di Camera e Senato riunite le linee guida della propria azione di governo, “questo ci mette nelle condizioni di rafforzare tutta la nostra diplomazia, tutte le nostre relazioni internazionali: nessun paese al mondo ha alle spalle la nostra forza culturale e la nostra creatività”.
Non si tratta, beninteso, solo di prestare opere d’arte, ma anche di mettere le competenze e le eccellenze italiane nel settore dei beni culturali (siamo i primi al mondo, naturalmente) al servizio della comunità internazionale. Lo stiamo facendo con successo, ad esempio, con i caschi blu della cultura, un’invenzione del “Franceschini I” che continua a essere impiegata in missioni in tutto il mondo (la più recente per il terremoto in Croazia d’inizio gennaio). E c’è poi il fronte delle restituzioni e delle repatriations, uno dei temi più scottanti sull’agenda culturale di tanti paesi europei (l’Olanda, per esempio, ha fatto sapere tramite il suo ministro della cultura che valuterà la restituzione degli oggetti delle collezioni statali ai paesi d’origine). In quest’ultimo campo l’azione dell’Italia è stata molto timida, sia sul fronte delle uscite sia sul fronte delle entrate (non dimentichiamo che ci sono tante opere uscite illegalmente dall’Italia che si trovano in musei stranieri, e che sono state spesso oggetto di interrogazioni parlamentari). Su questo punto in seno al MiBACT esisterebbe pure un Comitato per le restituzioni, convocato alcune volte sotto Bonisoli, ma diventato poco incisivo e quasi irrilevante sotto Franceschini. È vero che per più di metà del nuovo mandato il ministro ferrarese ha avuto altre preoccupazioni (quelle della pandemia), ma adesso che fortunatamente si vede la luce in fondo al tunnel occorrerà riprendere anche questo discorso.
L’ex ministro francese della cultura Franck Riester e Dario Franceschini alla firma dell’accordo sui prestiti di Leonardo da Vinci e Raffaello |
La gestione della pandemia di Covid-19 si può suddividere in tre grandi capitoli: il blocco delle attività, gli aiuti e i progetti del Recovery Plan. Nel secondo caso, Franceschini ha lavorato tutto sommato bene, mettendo sul piatto della bilancia misure per un controvalore di dieci miliardi di euro, una cifra che equivale a cinque esercizi di bilancio del MiBACT. Numeri mai visti prima e che si spiegano solo in ragione dell’eccezionalità della situazione. Come è stato investito questo ingentissimo ammontare di risorse? Riassumiamo le misure principali: proroga della cassa integrazione per i lavoratori della cultura, sgravi contributivi per le imprese turistiche, rafforzamento delle indennità, fondi di emergenza e di ristoro (per i musei, per le imprese del turismo e della cultura, per le guide turistiche, per le agenzie di viaggio, per lo spettacolo), sospensione delle rate dei mutui, contributi a fondo perduto per i negozi delle città d’arte, sospensione della TOSAP, corso-concorso per la dirigenza tecnica del MiBACT, fondi per attivare collaborazioni esterne a supporto delle soprintendenze. Come si può ben vedere, si tratta soprattutto di misure di carattere assistenziale, ma per rilanciare il paese servirà uscire dalla logica dei sussidi e investire corposamente.
E su questo fronte sarà dunque utile presentare utili progetti per il Recovery Plan. C’è da dire che finora la cultura è stata ostacolata dalle liti in seno al governo proprio sul Recovery Plan, e la cultura è stata il settore che più di altri ne ha fatto le spese, come abbiamo ricostruito anche su queste pagine. Impossibile dunque fare una valutazione serena e approfondita in un momento così contorto: certo è che la cultura dovrà puntare molto sul Recovery Plan perché non ci stancheremo di affermare che si tratta di un settore strategico per il paese.
Per quanto riguarda, infine, il capitolo blocco delle attività, in questo caso Franceschini, fautore della linea più rigorista, si è dimostrato spesso rinunciatario, come quando annunciò, in due battute alla trasmissione di Fabio Fazio, che i musei avrebbero richiuso le porte (nonostante si siano rivelati luoghi sicuri). Su questo fronte si poteva fare molto di più: i musei, in quanto servizi essenziali, non avrebbero mai dovuto chiudere. In Spagna ci sono musei che nella seconda ondata non hanno mai chiuso (approfondiremo a breve questo argomento con un reportage), e anche in Italia si sarebbe potuta tenere una linea simile. Adesso si spera di capire quando si potrà tornare, per i musei, a una programmazione normale, e per cinema e teatri alla riapertura (dato che sono ancora chiusi).
Visitatori alla Galleria Borghese il giorno della riapertura dopo la prima ondata, il 18 maggio 2020 |
Abbiamo approfondito questo argomento, un altro degli assi strategici del Franceschini 2, con un’intervista che il direttore di Finestre sull’Arte, Federico Giannini, ha fatto proprio al ministro della cultura. La pandemia ha accelerato in modo spontaneo un processo che era già in atto, e molti musei hanno investito in digitalizzazione, ma non basta. Nell’intervista appena menzionata, Franceschini ha elencato alcune delle cose da fare: investire in formazione e personale (se assunto in forza al MiBACT o se esterno si vedrà), puntare sui fondi Next Generation EU (ovvero il cosiddetto Recovery Plan), puntare sul digitale come modo per valorizzare il patrimonio diffuso.
C’è però un punto che solleva molti dubbi: si tratta di ITsART, la cosiddetta “Netflix della cultura”, un progetto a cui il ministro continua a pensare fin dalla prima ondata della pandemia di Covid-19. Eppure i dubbi sono tanti, ben riassunti da un articolo di Francesco Carignani di Novoli pubblicato sulla nostra rivista: l’esclusione completa della Rai (quando già esisteva RaiPlay, portale simile a quello che è nelle intenzioni del ministro), il budget messo in campo (risicatissimo se ITsART avrà anche l’obiettivo di fare produzioni originali), la probabile discontinuità della qualità nel caso in cui la produzione venga affidata ai singoli soggetti che proporranno i contenuti, il ruolo di Chili. Insomma, forse sarebbe stato meglio concentrarsi su RaiPlay anziché avviare un progetto su cui pendono moltissime perplessità.
Resta ancora tantissimo da fare. Il problema più spinoso è quello del personale: è ancora bloccato il concorso dei 1.052 AFAV (assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza) che dovrebbero portare nuove leve nei ranghi del MiBACT, ma anche se dovesse sbloccarsi domani e le procedure dovessero terminare nel giro di pochi mesi, non basterebbero, perché il MiBACT soffre di enormi problemi di sotto-organico, lamentati dalle più varie sfere del MiBACT (rimandiamo, per esempio, all’intervista, che abbiamo pubblicato pochi giorni fa, a uno dei più valenti e capaci direttori che abbiamo in Italia, Stefano L’Occaso, direttore di Palazzo Ducale a Mantova, che ha dichiarato come il problema sia diffuso e di interesse generale, e che probabilmente gli appalti per il supporto al servizio di vigilanza, almeno nel caso di Palazzo Ducale, che soffre di un problema di grave carenza di custodi in relazione alla vastità del palazzo, non sarà una soluzione o una scommessa per il futuro): alcuni giorni fa il problema è stato denunciato anche da 15 funzionari del MiBACT, che hanno inviato alla stampa una lettera anonima, stante il decreto ministeriale del 23 dicembre del 2015 che impedisce loro di parlare ai giornali senza l’autorizzazione di un dirigente.
La prima priorità per il nuovo ministro della cultura sarà dunque l’avvio di un importante piano di assunzioni. E poi, ancora: ci sarà da comprendere in che modo investire in cultura le risorse Next Generation EU, ripensare a un nuovo legame tutela-valorizzazione, affrontare l’annoso nodo dei servizi esterni (lo scorso maggio, Franceschini assegnava 5 milioni di euro ad Ales spa, la società in-house del MiBACT, per occuparsi di vigilanza nei musei: come si è visto, non può essere questa la soluzione), anche alla luce della situazione stravolta dalla pandemia con molti musei i cui servizi sono affidati in concessione a privati (o che vengono gestiti in toto da fondazioni di diritto privato) che hanno preferito non riaprire in quanto economicamente non conveniente. Il nuovo ministro dovrà dunque lavorare anche per pensare a nuovi modelli di governance. E ancora, altre questioni da affrontare, alcune delle quali già accennate: le restituzioni, il tema grandi navi a Venezia, un’approfondita programmazione turistica che possa rilanciare l’Italia all’indomani della pandemia. Queste non sono che alcuni dei punti che sarà necessario e fondamentale affrontare, sia che al Collegio Romano vada una nuova figura, sia in caso di riconferma di Dario Franceschini.