L'Italia ratifica la Convenzione di Faro: sì definitivo alla Camera


L'Italia ha ratificato la Convenzione di Faro: questa mattina è arrivato il sì definitivo alla Camera.

L’Italia ha ratificato la Convenzione di Faro, ovvero la “Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società”, dopo un percorso lungo quindici anni: la Convenzione è stata infatti stipulata nella città portoghese di Faro il 27 ottobre del 2005. L’Italia aveva dapprima firmato il trattato nel 2013 ma per la ratifica serviva l’approvazione del Senato e della Camera: il Senato lo aveva approvato nell’ottobre del 2019 (147 voti a favore, 46 contrari e 42 astenuti), e stamani la Camera ha approvato con 237 favorevoli, 119 contrari e 57 astenuti. L’Italia si unisce così ad altri 39 paesi che avevano già ratificato la Convenzione di Faro (tra i quali Germania, Regno Unito, Spagna, Portogallo, Svizzera, Austria, Russia, Svezia, Norvegia, Finlandia).

La Convenzione di Faro è un documento che intende stabilire il valore del patrimonio culturale per la società europea, riconoscendo la conoscenza e il patrimonio culturale come diritti dell’essere umano. Si compone di 23 articoli suddivisi in cinque parti (Obiettivi, definizioni e principi; Il contributo del patrimonio culturale alla società e allo sviluppo umano; Responsabilità condivisa nei confronti del patrimonio culturale e partecipazione del pubblico; Controllo e cooperazione; Clausole Finali).

L’articolo 1 riconosce “che il diritto al patrimonio culturale è inerente al diritto a partecipare alla vita culturale, così come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, riconosce “una responsabilità individuale e collettiva nei confronti del patrimonio culturale” e sottolinea “che la conservazione del patrimonio culturale, ed il suo uso sostenibile, hanno come obiettivo lo sviluppo umano e la qualità della vita”. Si stabilisce poi che “il patrimonio culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione” e che una comunità di patrimonio è costituita da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future“ (art. 2); che ”tutte le forme di patrimonio culturale in Europa che costituiscono, nel loro insieme, una fonte condivisa di ricordo, comprensione, identità, coesione e creatività“ (art. 3), che chiunque ha diritto a ”trarre beneficio dal patrimonio culturale e a contribuire al suo arricchimento“ e che ”l’esercizio del diritto al patrimonio culturale può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà" (art. 4).

Ancora, la Convenzione impegna i paesi europei a “mettere in luce il valore del patrimonio culturale attraverso la sua identificazione, studio, interpretazione, protezione, conservazione e presentazione”, ad assicurare a tutti il diritto di fruirne, a “favorire un clima economico e sociale che sostenga la partecipazione alle attività inerenti il patrimonio culturale”, a “promuovere la protezione del patrimonio culturale” (art. 5), a “incoraggiare la riflessione sull’etica e sui metodi di presentazione del patrimonio culturale, così come il rispetto per la diversità delle interpretazioni”, a “sviluppare la conoscenza del patrimonio culturale come risorsa per facilitare la coesistenza pacifica” (art. 7), a “promuovere un approccio integrato alle politiche che riguardano la diversità culturale, biologica, geologica e paesaggistica al fine di ottenere un equilibrio fra questi elementi” (art. 8), a “definire e promuovere principi per la gestione sostenibile e per incoraggiare la manutenzione” (art. 9). Viene sottolineato anche il potenziale del patrimonio culturale come fattore nello sviluppo economico, pertanto la Convenzione impegna i paesi ad “accrescere la consapevolezza del potenziale economico del patrimonio culturale e utilizzarlo”, a “considerare il carattere specifico e gli interessi del patrimonio culturale nel pianificare le politiche economiche” e ad “accertarsi che queste politiche rispettino l’integrità del patrimonio culturale senza comprometterne i valori intrinseci” (art. 10).

Per quanto riguarda la gestione del patrimonio culturale, la Convenzione impegna le parti a “promuovere un approccio integrato e bene informato da parte delle istituzioni pubbliche in tutti i settori e a tutti i livelli”, a “sviluppare metodi innovativi affinché le autorità pubbliche cooperino con altri attori”, a “rispettare e incoraggiare iniziative volontarie che integrino i ruoli delle autorità pubbliche”, a “incoraggiare organizzazioni non governative interessate alla conservazione del patrimonio ad agire nell’interesse pubblico” (art. 11), a incoraggiare la partecipazione di tutti (art. 12), a “facilitare l’inserimento della dimensione del patrimonio culturale in tutti i livelli di formazione, non necessariamente come argomento di studio specifico, ma come fonte feconda anche per altri ambiti di studio”, a “incoraggiare la formazione professionale continua e lo scambio di conoscenze e competenze, sia all’interno che fuori dal sistema educativo” (art. 13), a potenziare “le iniziative che promuovano la qualità dei contenuti e si impegnano a tutelare la diversità linguistica e culturale nella società dell’informazione”, a favorire “standard internazionali per lo studio, la conservazione, la valorizzazione e la protezione del patrimonio culturale, combattendo nel contempo il traffico illecito dei beni culturali”, a combattere gli ostacoli che limitano l’accesso (art. 14), a monitorare leggi, politiche e pratiche sul patrimonio culturale (artt. 15, 16, 17).

Nell’immagine: Palazzo Montecitorio. Ph. Credit Manfred Heyde.

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