È una sorta di forma moderna di damnatio memoriae: la cancel culture è quel particolare fenomeno, sorto verso la fine degli anni 2010, per cui si tende a ostracizzare, boicottare o evitare soggetti che abbiano detto o fatto qualcosa ritenuto inaccettabile. Rowan Atkinson, il famoso attore che per anni ha impersonato Mr. Bean, ha detto che la cancel culture è come “la folla che nel Medioevo era in cerca di gente da bruciare”. In Italia, l’espressione viene spesso intesa in ottica allargata, e si usa talvolta anche in riferimento a quanti si fanno promotori di rivisitazioni o riletture della tradizione, se non di attacchi diretti. Per esempio, si è spesso parlato di cancel culture in riferimento ai monumenti danneggiati da attivisti (come quelli di Cristoforo Colombo negli Stati Uniti o, in Italia, quello di Indro Mondanelli). E adesso il ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, prova ad abolire la cancel culture per decreto.
Il ministro aveva già annunciato le proprie intenzioni a fine dicembre, quando, a margine di una visita a Villa Floridiana a Napoli, aveva bollato come una “barbarie” la cancel culture (“significa cancellare l’identità e la storia”, aveva detto: “Ciascuno di noi ha un dna collettivo che è la storia della nostra nazione, della nostra cultura”), e aveva annunciato che a breve un provvedimento contro la cancel culture sarebbe finito sul tavolo del Consiglio dei Ministri. Dove di preciso, lo aveva anticipato Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati e componente della Commissione di Vigilanza: “plauso al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano per aver introdotto nel Tusmar una norma contro la Cancel Culture, una pericolosa forma di negazionismo, revisionismo e cancellazione di storie, identità, simboli culturali. Una tendenza che, soprattutto negli Usa, sta provocando danni culturali, storici e sociali enormi, basti pensare alla distruzione delle statue di Cristoforo Colombo”.
Il Tusmar è il Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi e Radiofonici (decreto legislativo 208 dell’8 novembre 2021), che contiene la disciplina dei servizi di media (televisioni, radio, piattaforme social e così via), e che sarà modificato attraverso un decreto legislativo il cui schema è stato approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 21 dicembre. Lo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi è attualmente in corso di esame alla Camera: come da legge, gli schemi di decreti legislativi devono essere sottoposti al parere delle commissioni competenti in Camera e Senato.
La modifica fortemente caldeggiata da Sangiuliano riguarda l’articolo 4 del decreto legislativo 208 del 2021, che include i principi generali del sistema dei servizi di media audiovisivi e della radiofonia, a garanzia degli utenti e in materia di servizi di media in ambito locale. Attualmente i principi sono questi: la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione; la tutela della libertà di espressione di ogni individuo; l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione; il contrasto alle strategie di disinformazione; la tutela dei diritti d’autore e di proprietà intellettuale; l’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali e culturali religiose; la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale. Ecco: lo schema di decreto legislativo prevede che tra questi principi figurerà anche “il contrasto alla tendenza contemporanea di distruggere o comunque ridimensionare gli elementi o simboli della storia e della tradizione della Nazione (cancel culture)”.
Della modifica si è parlato qualche giorno fa, l’11 gennaio, quando si è tenuta, in Commissione Cultura, la Discussione in sede consultiva per pareri al governo. “Dal punto di vista sostanziale”, ha dichiarato il presidente della commissione, Federico Mollicone, “al dichiarato fine di mantenere memoria del passato e della cultura storica, viene aggiunto il principio del contrasto alla cosiddetta cancel culture, definita – dalla nuova lettera h) – come la tendenza odierna di distruggere o ridimensionare i simboli della storia e della tradizione della Nazione”. Il giorno prima, lo schema di decreto legislativo è stato presentato anche in Commissione Cultura al Senato, con relatore il presidente Claudio Fazzone che ha illustrato il provvedimento.
Non è comunque il primo provvedimento che giunge in tal senso sotto il governo Meloni. Qualcosa di simile è già stato presentato nella Legge sul Made in Italy (la numero 206 del 2023, approvata a fine anno), dove si legge, all’articolo 28, che “il Ministero della cultura adotta linee guida per assicurare che le opere musicali, audiovisive e librarie possedute dalle discoteche, cineteche e biblioteche pubbliche, ancorché oggetto di elaborazioni successive, siano conservate e rese fruibili anche nella loro versione originale, al fine di evitare che operazioni creative di riadattamento delle medesime opere con nuovi linguaggi comunicativi e divulgativi sostituiscano l’originale e ne facciano perdere la memoria”.
L’unica reazione dell’opposizione, al momento, è quella della senatrice Barbara Floridia del Movimento 5 Stelle, presidente della Commissione di Vigilanza Rai. “Quello sulla ‘cancel culture’”, ha detto in una dichiarazione resa al Fatto Quotidiano, “è un dibattito molto serio che andrebbe valutato nel suo complesso e non in chiave ideologica. Deprechiamo nella maniera più assoluta la messa al bando di capolavori della letteratura, dell’arte o del cinema in nome di una visione distorta di valori e standard morali del mondo di oggi. Allo stesso modo contrastiamo ogni forma di revisionismo ideologico della cultura e della storia. Ci chiediamo però se tutta questa complessità possa essere affrontata con due righe in un decreto che modifica il Tusma. È questo un modo serio di affrontare un fenomeno del genere che coinvolge la sfera pubblica, le piattaforme online e le dinamiche sociali, oltre che soprattutto la libertà di espressione e la capacità delle persone di esprimere le proprie opinioni? Non pensa il governo che la possibilità addirittura di erogare sanzioni, in questo campo forse può condurre proprio a quel conformismo ideologico che a parole vorrebbero contrastare? La vera forza delle nostre democrazie sta nella ricchezza del confronto e del dibattito pubblico. Pensare di sanzionare il reato di ‘politicamente corretto’ è l’ennesimo tentativo goffo di agire in campo culturale che rischia di creare solo distorsioni e nulla di più. L’identità nazionale non si salva per decreto”.
Cosa accadrà, dunque, se il Tusmar verrà modificato introducendo il principio del contrasto alla cancel culture? Diventerà paragonabile a chi nega la libertà di espressione qualcuno che, per esempio, chiederà di non suonare l’Inno a Roma di Puccini come accaduto quest’estate a Lucca? Un discorso come quello tenuto qualche giorno fa da Paola Cortellesi alla Luiss di Roma diventerà per legge oggetto di azioni contrasto? Sarà interessante vedere come verrà applicato il nuovo principio.
Nella foto, il ministro Sangiuliano.
Il ministro Sangiuliano prova ad abolire la cancel culture per decreto |