Poesiarte
2011, Quarta puntata
Le gaggie della mia fanciullezza
dalle fresche foglie che suonano in bocca...
Si cammina per il Cinghio asciutto,
qualche ramo più lungo ci accarezza
la faccia fervida, e allora, scostando
il ramo dolce e fastidioso, per inconscia vendetta
si spoglia di una manata di tenere foglie.
Se ne sceglie una, si pone lieve
sulle labbra e si suona camminando,
dimentichi dei compagni.
Passano libellule, s'odono le trebbiatrici lontane,
si vive come in un caldo sogno.
Quando più la cicala non s'ode cantare,
e le prime ombre e il silenzio della sera ci colgono,
quasi all'improvviso, una smania prende le gambe
e si corre sino a perdere il fiato,
nella fresca sera, paurosi e felici.
Bertolucci: un poeta della visione, con una scrittura antitetica all’Ermetismo, apparentemente spontanea e ricca di toni biografici, ma con una connotazione fortemente realistica. Più vicino per scelte stilistiche ed intima natura a Pascoli piuttosto che a Montale, e per questo un autore atipico, in contrasto con i poeti del suo secolo.
Con una forte passione per la cinematografia, passione giovanile che trasmetterà ai suoi due figli poi divenuti entrambi registi, Bertolucci osserva con sguardo nitido e partecipe il paesaggio, il mondo intorno a lui. Egli dirà:
Il nostro occhio di continuo inquadra: sia che guardi un paesaggio o, che fa lo stesso, una strada di grande città, o una stanza deserta. Alle luci, cui in un film sapientemente pensa mettiamo uno Storaro, nella nostra giornata è il giro del sole, il primo addensarsi delle ombre che ci “pensa”.
Per questo la sua poetica risulta essere solo in apparenza lineare e idillica e sarebbe riduttivo considerare le sue rime unicamente come semplici bozzetti impressionistici, poiché quei versi riescono a trasmettere emozioni e sentimenti con un sapiente uso del simbolismo. E quindi il paesaggio, quel paesaggio che ritroviamo anche in questo componimento fatto di giornate calde d’estate, di cicale, libellule, di fili d’erba messi in bocca per fischiare e di trebbiatrici al lavoro, risulta inquadrato da una cinepresa densa di memoria e storia. L’autobiografismo è il tratto dominante, con il suo mondo dell’infanzia, gli affetti, i luoghi cari, i ricordi, le tradizioni familiari dei quali Bertolucci si dimostra geloso poiché divengono per lui l’unico luogo di rifugio contro l’imbarbarimento della società e lo scempio del tempo che fugge e tutto cancella.
Il ricordo della sua fanciullezza, quindi, è un sogno in cui perdersi e dal quale lasciarsi cullare, anche se quella corsa a perdifiato nella frescura della sera con la quale si conclude il componimento, ci lascia paurosi e felici.
Chocolat 3B