Poesiarte
2011, Seconda puntata
Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.
1° febbraio 1933
Antonia Pozzi è una di quelle figure della letteratura italiana poco conosciute ma forse proprio per questo intrise di un malinconico mistero e di un fascino silenzioso. Nasce in una famiglia alto-borghese di Milano (il padre era un avvocato affermato e la madre una colta e raffinata contessa) e si dedica alla poesia fin dagli anni del liceo. Quel liceo che da un lato le fece scoprire la passione per gli studi le fece anche conoscere l'amore. Ma come capita solo nei più struggenti testi romantici, è un amore impossibile; infatti proprio negli anni degli studi liceali s'innamorò profondamente del suo professore di latino e greco. Ci sarà solo lui nella sua breve ma profonda esistenza; infine, osteggiata dai pudori del padre, deciderà di porre fine ai suoi giorni suicidandosi nel 1938. In quell'occasione, lasciò ai genitori una struggente lettera d'addio. Non fu solo poetessa ma anche fotografa; il che è fondamentale per comprenderne la poetica.
Antonia infatti voleva scoprire il profondo fascino e l'incomparabile verità delle piccole cose: dallo scatto fotografico all'accostamento di parole semplici ma ruvide come scogli erosi dal tempo, la giovane ricerca il vero attraverso una lacerante semplicità di mezzi. Non vi sono virtuosismi linguistici. Solo l'animo di una giovane donna che si racconta rendendoci, con un qualche sortilegio letterario, tutti protagonisti. Commovente come una bambina infelice e introspettiva come i grandi filosofi del passato.
Pudore ruota tutta attorno ad una similitudine. Nulla di apparentemente più semplice e “infantile”. La poetessa si paragona ad una
mamma piccola giovane che arrossisce sentendosi dire che il
suo bambino è bello. In realtà dietro a questa apparente chiarezza si celano significati molto più profondi. La parola per la Pozzi è espressione di un sentimento, è la traduzione dei moti interiori dell'animo; un bambino è, similmente, l'altro da sé della madre. Entrambe queste creature – perché di questo si tratta – vengono generate con dolore (si può partorire un figlio ma anche un discorso o una frase). In breve: la parola sta al poeta come il figlio sta alla madre.
Ma dal testo si evincono anche altre sottili verità. Di per sé il fatto che determinati discorsi – che noi possiamo solo immaginare – siano pronunciati dalla poetessa non crea particolare turbamento in lei; quello che la fa
arrossire e ridere beatamente risiede nel fatto che qualcuno, anche
solo con gli occhi, le faccia notare (
e tu me lo dici) che ha apprezzato quelle parole. Ossia: la parola è l'espressione di una verità più o meno inconscia; nel momento in cui qualcuno riesce a risolvere l'enigma e comprende la verità intrinseca di questo pensiero scritto (la parola, appunto) palesandone il significato, Antonia vive un dramma: è felice ma trema. E' felice perché in quell'istante è se stessa e trema perché sa che le convenzioni la condannano. La Verità che viene svelata genera nel soggetto paure e turbamenti, ma è anche un modo col quale la giovane può estrinsecare i suoi moti dell'animo più nascosti.
Se Antonia avesse potuto vivere quell'amore che non venne mai accettato dal bigotto genitore non avrebbe mai deciso di suicidarsi. Per fortuna che c'era la poesia, il mondo nel quale lei poté sempre essere ciò che voleva.
Riccardo Zironi