Apollo di Dosso Dossi

Poesiarte

2010, Quinta puntata

Un paesaggio campestre all'imbrunire. Un dio in primo piano, solo con la sua musica, intona il suo lamento per un amore non corrisposto, finito in modo drammatico. È l'Apollo di Dosso Dossi, un Apollo che in questo dipinto smette per un attimo di essere un dio per diventare un uomo tormentato, sofferente, angosciato per un amore che non può e non potrà avere lieto fine.

L'artista lascia già presagire quale sarà l'epilogo della vicenda: Dafne, la bella ninfa dei boschi amata da Apollo, è visibile in secondo piano, con le braccia protese verso l'alto che iniziano a trasformarsi in alloro. Al dio non resta altro che la magra consolazione di eleggere a pianta sacra l'alloro, che da questo momento in poi sarebbe diventato un simbolo di gloria imperitura.

Apollo prova a mitigare i suoi affanni con la musica, con la sua arte prediletta. Tra le sue mani ha una lira, ma non la classica lira della tradizione greca: una rinascimentale lira da braccio, strumento con il quale i musicisti delle corti del settentrione d'Italia amavano accompagnare il loro canto. La musica era parte essenziale della vita di corte, e in particolare della corte ferrarese presso la quale Dosso Dossi lavorò: il duca Alfonso d'Este era solito intrattenersi ascoltando le rappresentazioni delle “cappelle”, gruppi di musicisti che intrattenevano i sovrani non soltanto durante le cerimonie ufficiali, ma anche in privato e durante le feste di corte.

Sembra quasi di sentire le note malinconiche che escono dalla lira da braccio di Apollo: il suo è un canto accorato, dedicato alla ninfa che non vuole concedergli il suo amore. Il suo è anche un canto solitario: la città è lontana, sullo sfondo, e il dio vuole che siano soltanto le piante e gli arbusti gli unici esseri viventi che possano ascoltare il suo lamento.

Intanto il sole sta ormai tramontando per lasciare spazio alla sera: gli ultimi bagliori del giorno illuminano il giovane, bellissimo e quasi effeminato volto di Apollo, un volto che ricorda anche le classiche composizioni di Raffaello. Gli occhi sono fissi sull'archetto e sono carichi di emotività, mentre il corpo è possente e muscoloso, e il fine manto verde calato a coprire soltanto le gambe ci lascia osservare tutto il fascino espresso dalla fisicità di Apollo. La prestanza e il vigore ispirate dal corpo del dio contrastano un po' con lo struggimento che si evince dall'espressione: anche in tale contrapposizione sta la bellezza di questo dipinto.

Un dipinto, realizzato intorno al 1525, in cui i sapori raffaelleschi si mescolano a suggestioni giorgionesche: Dosso Dossi si era formato proprio studiando i capolavori del maestro di Castelfranco Veneto e aveva poi completato la sua preparazione recandosi a Roma per osservare da vicino le realizzazioni dei grandissimi del rinascimento. E così il pittore unisce nella composizione un Apollo classico e raffaellesco a un paesaggio che ricorda alcuni dipinti di Giorgione. Il tutto per un risultato che ispira ideale bellezza e denso lirismo: due caratteristiche che fanno di questa opera un grande capolavoro.

Federico Giannini








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