Uno dei formidabili rebus di Albrecht Dürer

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2011, Quinta puntata

Protagonista della quinta puntata della rubrica condotta da Riccardo Zironi è una famosa incisione di Albrecht Dürer, dal titolo di Melencolia I. Ci sono diversi esemplari di questa opera d'arte, e il pubblico italiano può osservarla presso la Fondazione Magnani-Rocca di Traversetolo, in provincia di Parma. Riccardo ci fornisce una suggestiva lettura dell'opera.


Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 – Norimberga, 1528) è uno di quegli artisti difficilmente ascrivibili ad uno stile poiché posseggono quell'aura di genialità che li porta ad avere il loro linguaggio espressivo il ricordo dei secoli passati e il miraggio delle opere future. Dürer fu un profeta nel senso letterario del termine: ci racconta storie ed eventi non ancora vissuti. Alla Fondazione Magnani Rocca sita a Mamiano di Traversetolo (Parma) è conservata una delle più seducenti incisioni da lui realizzate intitolata Melencolia I. Essa, larga solo 16,8 cm ed alta 23,9, per quanto piccola, ha in sé un universo complessissimo di simboli, rimandi, creature reali ed irreali, strumenti da lavoro, squarci di luce ed abissi d'ombra. E' quasi un rebus, un enigma che aspetta solo di essere risolto.

Cerchiamo di descriverlo. In uno scenario desolato ma carico di oggetti una figura femminile alata, dotata di uno sguardo penetrante e silenzioso, viene colta nella classica posa del Pensatore (posizione a cui nell'iconografia classica erano associati i filosofi); le pesanti e sinuose pieghe del suo abito scivolano a terra su un pavimento scabro ricolmo di oggetti. Qua possiamo osservare chiodi, martelli, assi di legno, una sfera e un cane scheletrico assopito, tutto raggomitolato su se stesso. Nella parte superiore dell'opera, a destra, a quello che probabilmente è il muro di un edificio vengono appesi tre oggetti misteriosi: una bilancia, una clessidra ed una campanella sotto la quale compare un quadrato magico scavato nella pesante massa muraria della costruzione. Al centro dello spazio del quadro vi sono un putto scrivano vestito, un pesantissimo solido geometrico e una scala che conduce lo sguardo dell'osservatore verso una dimensione altra (forse l'aldilà); l'immoto ed assordante silenzio della composizione viene squarciato dall'urlo funereo di un pipistrello sulle cui ali viene impresso il titolo stesso dell'opera. La tetra dimensione saturnina di questa incisione viene poi enfatizzata dal sole eclissato di cui noi possiamo solo vedere i raggi, aspri e taglienti.

Secondo l'interpretazione di vari critici, tra cui Panofsky, il significato di questa allegoria dovrebbe coincidere con la difficoltà dell'uomo – e, forse, dello stesso autore – di spiegare i misteri della natura. Parafrasando questa incisione, come se fosse una poesia ermetica, potremmo affermare che la conoscenza cui ogni saggio ambisce (la scala che sale verso l'infinito) può essere ricercata attraverso varie strade: la geometria, simboleggiata qua dai solidi accatastati a terra e dall'elegantissimo compasso nella mano della donna, i saperi artigianali (il martello, il seghetto, la pialla, le tenaglie e le assi di legno); possiamo altresì cercare di far leva su comportamenti virtuosi: la ponderatezza (la bilancia), la pazienza (la clessidra, simbolo dello scorrere inesorabile del Tempo) e la consapevolezza della natura mortale del genere umano (la campana infatti è legata ad una corda che esce dal quadro. Come a dire: l'ultimo rintocco del tuo esistere non dipenderà da te); l'uomo può infine avvalersi di quelle pratiche che oggi definiremmo esoteriche, l'alchimia e la numerologia (rappresentate qua dal quadrato magico: i numeri di ognuna delle sue righe e di ogni colonna, se sommati, danno 34. Nei due riquadri in basso vediamo anche la data dell'opera: 15_14); ciononostante, la Verità non sarà mai raggiunta dall'uomo che si limiterà a prendere atto della sua triste condizione d'inferiorità rispetto al creato; cosa che genererà in lui un forte senso di malinconia, appunto.

In questa incisione c'è tutto: ci sono già le ossessioni delle architetture di Boullée e Ledoux, la patetica malinconia di Füssli, lo Streben (cioè la tensione verso l'Infinito) di Friedrich e dei romantici tedeschi, la perversa oscurità di Blake e gli scenari simbolisti di Redon. La vera grande Arte è una sola ed imperitura perché cela in sé il mistero dell'esistenza e le ossessioni dell'umanità.

Riccardo Zironi








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