Il primo numero della rubrica "Plus!" condotta da Riccardo Zironi parte da una bellissima opera d'arte di El Greco conservata proprio nella città di Riccardo, Modena (presso la Galleria Estense): si tratta dell'"Altarolo Portatile" (clic) ed è forse la prima realizzazione che Domenikos Theotokopoulos eseguì durante il suo soggiorno veneziano. Un bellissimo articolo d'esordio, da non perdere!
A Modena, presso la Galleria Estense, è conservato uno splendido altarolo portatile dipinto da Domenico Theotokopoulos, in arte El Greco. Si tratta di un piccolo altare in legno, appunto, a due ante sovrapponibili, su cui l'artista diede vita a diverse scene di carattere religioso. Questo è uno dei dipinti che El Greco produsse nel suo primo periodo veneziano (1567 – 1570 circa) e giunse a Modena dopo varie peripezie: dopo essere stato conservato a Padova, a Modena e a Vienna, ritornò nella capitale del Ducato Estense per volontà di Francesco IV d'Este nel 1822. Venne ritrovato per caso in un armadio della Galleria Estense solo nel 1937 e fu poi attribuito al Theotokopoulos dal Pallucchini.
La cosa più sconcertante di questo piccolo oggetto – che, ad ante chiuse, è largo poco più di 23 cm ed alto quasi 18 – è lo scoppio abbacinante di luci e colori che vanno a delineare la narrazione pittorica e l'assoluta libertà espressiva dell'artista. Nel linguaggio del Theotokopoulos coesistono due diverse anime: da un lato, in quanto cretese, egli resta legato alla cultura delle icone – sempre coloratissime, caratterizzate da una forte rigidità delle linee e dalla staticità dei volti – e, dall'altro, seguirà le nuove conquiste pittoriche della pittura veneta del '500 di Tiziano e Tintoretto, quella pittura, insomma, inverantesi nel morbido scorrere della luce sulle grandi campiture dei colori della realtà.
Soffermiamoci ora brevemente sul retro dell'anta centrale dell'altare dove forse è dipinta la scena più interessante e rappresentativa dell'opera – la Veduta del Monte Sinai – perché denota l'assoluta modernità dell'artista cretese: egli rappresenta tre alte montagne, scurissime, qua e là screziate da veloci pennellate più chiare; ai piedi di quella centrale, su cui s'inerpica uno stretto sentiero, vi è il Monastero di Santa Caterina; nel punto più alto della medesima montagna un lampo rischiara il cielo e tinge le nubi di un rosso sanguigno. In primo piano, poi, sono state inserite alcune figure umane rese con un tratto così rapido, quasi furioso, che ci appaiono più come ectoplasmi che come vere e proprie persone.
Non c'è dubbio che questo altarolo abbia sia caratteristiche legate alla cultura bizantina che a quella del '500 veneto, ma, così come capita solo per i grandi geni, ci accorgiamo che quest'opera parla un linguaggio assolutamente nuovo e, infatti, le opere di El Greco non vennero capite appieno dai suoi contemporanei. Quelle tre montagne color terra di Siena bruciata potrebbero quasi essere assimilate agli scenari ruvidi e ancestrali che Pasolini inserì nella sua Medea così come gli “ectoplasmi” in primo piano, resi con guizzanti tratti sfaldati di colore, potrebbero quasi portarci ad un confronto con le evanescenti figure di Francis Bacon. Certamente il Theotokopoulos era troppo moderno; tant'è vero che abbiamo dovuto aspettare il periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale perché El Greco venisse finalmente compreso e considerato un grandissimo innovatore della pittura moderna europea.
Riccardo Zironi