Venezia, la città dove la cultura è inchiodata al palo


La situazione che si è creata a Venezia dopo la pandemia costringe la città a ripensare al suo modello di sviluppo. Non è semplice e non tutti hanno ancora colto l'opportunità (anzi). Ma cominciare a lavorare in una nuova direzione è doveroso.

Il 25 marzo la città di Venezia ha celebrato i suoi 1600 anni di esistenza, secondo la tradizione che la vuole fondata nel 421 d.C.. Non un anniversario come gli altri, dopo la crisi profonda che ha colpito la città, che ormai fondava non solo l’economia ma l’intera vita cittadina sui flussi turistici, nel corso del 2020. Crisi economica, crisi sociale, ma crisi che ha anche portato tanti dei residenti a scoprire la loro città, libera dalle masse turistiche, e ha portato un riequilibrio ambientale e qualche delfino a nuotare nel Canal Grande. Questo 1600esimo anno potrebbe essere l’anno di una rinascita, a ben vedere. Dopotutto, il governo non ha dimenticato Venezia e la sua specificità, garantendo 3,8 miliardi di euro del Recovery Plan proprio alla città lagunare. E quale momento migliore per lasciare alle spalle tre decenni di crescente monocultura turistica e spopolamento, se non quello di un collasso globale del turismo, in una città in cui nel 2019 solo un turista su dieci era italiano e si fermava per meno di tre notti in media? 

Purtroppo non tutti sembrano pensarla così. A partire da chi amministra la città, il sindaco Luigi Brugnaro, che per spendere i fondi del Recovery Plan ha ben altri piani. Piani poco noti, dato che ancora, nonostante le insistenze delle opposizioni, non sono stati svelati nel dettaglio. Eppure le anticipazioni giornalistiche iniziano a parlare chiaro: un nuovo porto per le crociere, una stazione a Mestre, un palasport da 15 mila posti a Tessera (dove giocherebbe la squadra di basket di proprietà del sindaco). Sembra incredibile, ma per il rilancio di una città delicatissima che conta un’attrattività culturale con pochi eguali al mondo, dove il settore turistico occupa una precentuale di lavoratori decisamente significativa sul totale, dove il cinema fa a spallate per girare un film in più, sembra che si punti non a riforme né a investimenti culturali per il rilancio, evitando le brutture del recente passato, ma a nuove importanti infrastrutture turistiche.

D’altronde la posizione dell’amministrazione (che, è bene ricordarlo, ha vinto le elezioni raccogliendo i voti fuori dalla laguna) è chiara da mesi: attendere il ritorno del turismo, attendere che tutto torni come prima, più di prima. Il sindaco ha usato parole e toni di disprezzo riguardo a ipotesi diverse (“dove sono quelli che non volevano i turisti? Dove sono finiti?”, diceva il 30 dicembre 2020), e agito attivamente per bloccare sul nascere ogni attività che rendesse possibile la costruzione di un’alternativa. In primo luogo facendo chiudere i Musei Civici, e con essi qualsiasi possibilità di coinvolgimento dei residenti. La vicenda ormai è nota: a dicembre la Fondazione a partecipazione comunale che li gestisce annunciava che avrebbe tenuto chiuse tutte le sedi fino ad aprile, mettendo tutti i dipendenti in cassa integrazione, con conseguente sospensione di ogni attività, anche quelle non rivolte al pubblico. Il motivo? Risparmiare 620 mila euro, utilizzando la cassa integrazione pagata con fondi statali, nonostante un bilancio in attivo grazie a 8 milioni di euro di aiuti ricevuti dal MiBACT. Ma le proteste cittadine hanno costretto in febbraio la Fondazione Musei Civici a riaprire i musei per qualche giorno, trovandosi alle porte una lunghissima coda di veneziani e veneti a smentire l’idea che la cultura interessasse solo ai turisti. Poi hanno comunque richiuso, trovandosi in campo il 27 febbraio duecento persone a manifestare contro questa gestione culturale e la serrata dei musei. Nei primi giorni di marzo, i musei riaprivano per due giorni in seguito ad un’interrogazione in consiglio comunale che aveva messo in imbarazzo la Fondazione.

Venezia, Palazzo Ducale, una delle sedi dei musei civici
Venezia, Palazzo Ducale, una delle sedi dei musei civici


Code per entrare a Palazzo Ducale nei giorni della riapertura
Code per entrare a Palazzo Ducale nei giorni della riapertura


La manifestazione per la riapertura dei Musei Civici di Venezia
La manifestazione per la riapertura dei Musei Civici di Venezia

In secondo luogo, la voglia di non invertire alcun trend è stata confermata dalla scelta amministrativa di non porre alcun ostacolo alla vendita della Casa dei Tre Oci, capolavoro del Novecento veneziano situato alla Giudecca, e sede negli ultimi anni di mostre fotografiche. Era di proprietà di una fondazione bancaria, la Fondazione di Venezia, e andrà in mano all’americano Berggruen Institute, che ne farà la sua prima sede europea. Non è una vendita importante solo per il valore del luogo e per l’ennesimo presidio culturale che la città rischia di perdere (in molti in città ricordano la facilità dei cambi d’uso che potrebbe comportare la nascita dell’ennesimo hotel), ma per il contesto in cui avviene. La Fondazione di Venezia, infatti, l’ha venduto per rifarsi delle perdite legate ad un’altra operazione di “speculazione culturale” fallita, quella del distretto M9 a Mestre

M9 è un museo senza collezione aperto nel 2018 e voluto dalla Fondazione di Venezia come fulcro di un nuovo spazio polifunzionale nel centro di Mestre. Un’area che era in gran parte di proprietà pubblica, e che la Fondazione acquisisce dal 2007 in poi per creare un distretto che si presenta come “polo culturale”, ma in cui in realtà circa il 70% degli spazi hanno finalità commerciale. In breve, il museo parte malissimo, conta meno di metà dei visitatori previsti nel 2019, anno in cui il turismo era più prospero che mai, e il 2020 mette la parola fine ai sogni di ottenere un museo che garantisse un pareggio di bilancio, grazie all’assenza di collezione, a mostre e lavoro a basso costo, e a biglietti dal prezzo sostanzioso. A maggio 2020 il debito della Fondazione sfiorava i 7 milioni di euro, in buona parte a causa della pessima gestione di M9, e si faceva strada la vendita del gioiello più grande: la Casa dei Tre Oci. Alle prime indiscrezioni giornalistiche insorsero sindaco e Fondazione. Emanuela Bassetti, membro del consiglio generale della Fondazione di Venezia, il 12 maggio dichiarava di poter “escludere con assoluta determinazione ogni ipotesi di vendita dei Tre Oci da parte di Fondazione. Qualsiasi ragionamento al riguardo è pertanto privo di fondamento”. A dicembre la messa in vendita diveniva ufficiale e a febbraio 2020 la vendita era cosa fatta. E c’è da sperare che ciò sia sufficiente, dato che il museo non accenna a riaprire e l’intero distretto M9, nella sua parte culturale, sembra destinato a vedere un cambio di gestione, forse come aule scolastiche: espediente per aiutare i bilanci della Fondazione. 

La Casa dei Tre Oci
La Casa dei Tre Oci


L'occupazione del Ponte della Libertà da parte dei lavoratori dello spettacolo
L’occupazione del Ponte della Libertà da parte dei lavoratori dello spettacolo

Sono sintomi di un sistema culturale, o meglio comparto culturale cittadino, al collasso, in cui, dopo decenni di speculazione sul costo del lavoro e sul turismo di massa, si assiste a un fuggi fuggi generale. Ogni fondazione cerca di accaparrarsi fondi pubblici per autotutelarsi, chiudendosi in sé stessa, lasciando la cittadinanza alle porte, come un castello. E i fondi arrivano, basti pensare ai 20 milioni di euro forniti dall’ex-MiBACT per ampliare gli spazi della Biennale: come sempre, fondi non vincolati all’impiego di buona occupazione e di progetti inclusivi per la cittadinanza. Un comparto, una pletora di realtà differenti, che non si è mai fatto sistema, tra università, fondazioni, teatri stabili, musei civici, musei statali, e decine e centinaia di aziende che lavorano con e per il turismo prima che per la città. Ma come hanno dimostrato sia le manifestazioni sia le code alle porte dei musei di febbraio, in laguna c’è fermento: in pochi vogliono tornare al mondo di prima. E aleggiano proposte che in altre parti d’Italia non sono neppure all’ordine del giorno: il ritorno dei musei civici a una gestione pubblica. La zona rossa ha dato un po’ di respiro a Fondazioni e Amministrazione, che pur è stata costretta a fare muro contro le opposizioni che chiedevano di condividere i piani per il Recovery Plan. Ma le mobilitazioni non si fermano. Pochi giorni fa la consigliera comunale Monica Sambo, tra le più attive sulla questione, è tornata a chiedere perché le biblioteche gestite dalla Fondazione Musei Civici non offrano servizi da remoto come le altre biblioteche cittadine. Poi il 27 marzo 300 lavoratori dello spettacolo hanno simbolicamente bloccato il Ponte della Libertà, per un rilancio del settore in città, parcellizzato e gestito risparmiando sul lavoro nonostante le enormi potenzialità: chiedono l’attivazione di un reddito di continuità e la creazione di un tavolo interministeriale (non solo cultura, ma anche lavoro e sviluppo economico) per poter pianificare una ripartenza del settore, superando lo schema dei sussidi occasionali.

Per ora però, nessuna risposta. Lo spettacolo è fermo, i musei civici sono fermi. Anzi, riaprono come centri di vaccinazione: o meglio, vengono utilizzati come centri di vaccinazione i meno remunerativi, come il Museo del Vetro a Murano, che peraltro costringerebbe chi deve vaccinarsi a prendere un vaporetto. E Venezia, tra spinte riformiste e incastellamenti, vede passare in quei 3,8 miliardi il proprio futuro: sociale, culturale, economico, urbanistico.


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Leonardo Bison

L'autore di questo articolo: Leonardo Bison

Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.





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